Ecco la prova che inchioda Bagnai!
Oh, vabbè, avrei di meglio da fare, ma finalmente mi avete rotto i coglioni e quindi vi regalo il quarto d’ora di celebrità che non nego a nessuno: se non l’ho negato agli avversari, perché dovrei negarlo agli “alleati”? Ai nemici ci penso io, e anche agli “amici”, perché Dio ha qualcosa di meglio da fare che occuparsi di quattro sconclusionati diversamente economisti. Diversamente economisti e diversamente molte altre cose, del resto: ecco, potremmo chiamarli “i diversamente”, un po’ come quando a Roma i camerieri ti dicono “vuole un’acqua liscia o una leggermente”? Difficile far capir loro la differenza fra sostantivo e avverbio, ma in questa forzatura c’è del buono: la sintesi. E allora sì, facciamo così: i nostri “alleati” li chiameremo “i diversamente”....
Bene, intanto mettiamoci al livello dei “diversamente” e battiamoli con le loro armi: al loro collage propongo di opporre questo mio collage:
Che ne dite? Si somigliano? Non tanto, vero? Certo, perché basta decontestualizzare a sufficienza un’affermazione per trasformarne completamente il significato. L’operazione è resa particolarmente semplice nel caso in cui si sia sufficientemente miserabili da essere accecati dall’invidia, rosi dal livore, bisognosi di celebrità a buon mercato, e, naturalmente, non attrezzati né culturalmente né intellettualmente per comprendere il contesto nel quale certe affermazioni sono state fatte.
Un esempio?
Eccolo:
Un povero “diversamente” ammalato di “qualcosismo” e in cerca di pubblicità, direte voi.
Sì, naturalmente.
D’altra parte, uno che con un portale di “ricerca economica” riesce oggi, in piena crisi, ad avere solo 305 follower su Twitter, nonostante abbia invitato due fuori classe come Borghi e Rinaldi a Londra (affittando uno scantinato a LSE), e twitti praticamente una minchiata al giorno, non deve essere molto capace di far fruttare le risorse che gli vengono affidate, e questo, va da sé, dovrebbe mettere in allarme molto più i suoi clienti che noi. Il fatto che vada in cerca di pubblicità a buon mercato rientra però nella logica delle cose, e noi, che siamo umani, gliela facciamo subito. Se organizzi un convegno con Borghi e non entri neanche un attimo nei top trend di Twitter diciamo che stai alla comunicazione come il Peter Sellers di Hollywood Party sta all’idraulica (o alla storia dell’orologeria), ma lasciamo stare (tra l’altro, non la capiresti e non ho tempo di spiegartela).
Tuttavia, siccome, grazie al simpatico sellino pugliese (l’uomo che sussurrava ai trulli), questa storia che Bagnai nel 1997 era libberista torna come la peperonata, archiviato lo squallido Fugazzi, e confermatogli che da oggi è dove era, nell’Inferno di Cip e Ciop (in quello di Dante ho visto molti gironi, ma non quello che fa rima con loro), ragioniamo seriamente e una volta per tutte su cosa scrivevo nel 1997. Avrei altro da fare, sto occupandomi del futuro, perché ho la preparazione tecnica, lo spessore culturale e la tempra umana per farlo, ma sono anche convinto che dal passato si possa, anzi, si debba imparare. Questa vorrei fosse la principale lezione de L’Italia può farcela, anche se purtroppo se bene che la prima (e ultima) lezione che la storia ci insegna è che non si apprendono mai le lezioni della storia.
Sì, naturalmente.
D’altra parte, uno che con un portale di “ricerca economica” riesce oggi, in piena crisi, ad avere solo 305 follower su Twitter, nonostante abbia invitato due fuori classe come Borghi e Rinaldi a Londra (affittando uno scantinato a LSE), e twitti praticamente una minchiata al giorno, non deve essere molto capace di far fruttare le risorse che gli vengono affidate, e questo, va da sé, dovrebbe mettere in allarme molto più i suoi clienti che noi. Il fatto che vada in cerca di pubblicità a buon mercato rientra però nella logica delle cose, e noi, che siamo umani, gliela facciamo subito. Se organizzi un convegno con Borghi e non entri neanche un attimo nei top trend di Twitter diciamo che stai alla comunicazione come il Peter Sellers di Hollywood Party sta all’idraulica (o alla storia dell’orologeria), ma lasciamo stare (tra l’altro, non la capiresti e non ho tempo di spiegartela).
Tuttavia, siccome, grazie al simpatico sellino pugliese (l’uomo che sussurrava ai trulli), questa storia che Bagnai nel 1997 era libberista torna come la peperonata, archiviato lo squallido Fugazzi, e confermatogli che da oggi è dove era, nell’Inferno di Cip e Ciop (in quello di Dante ho visto molti gironi, ma non quello che fa rima con loro), ragioniamo seriamente e una volta per tutte su cosa scrivevo nel 1997. Avrei altro da fare, sto occupandomi del futuro, perché ho la preparazione tecnica, lo spessore culturale e la tempra umana per farlo, ma sono anche convinto che dal passato si possa, anzi, si debba imparare. Questa vorrei fosse la principale lezione de L’Italia può farcela, anche se purtroppo se bene che la prima (e ultima) lezione che la storia ci insegna è che non si apprendono mai le lezioni della storia.
Nel 1997 ero euroscettico perché la professione a livello internazionale lo era, e questo ve l’ho sufficientemente dimostrato, e perché lo era il mio maestro. È abbastanza normale che un uomo di scienza (come del resto un artista) venga influenzato dal proprio maestro: poi, se c’è, la personalità emerge. Se non c’è, sei Fugazzi, ma di questo abbiamo parlato fin troppo.
Sempre nel 1997, era appena stato varato, con il sostanziale plauso della sinistra tutta (esclusi pochi lungimiranti economisti come Leonello Tronti, e pochi politici che conoscerete voi, e che comunque non riuscirono a farsi sentire o capire), il pacchetto Treu.
Sempre nel 1997, tanto per dire, io ero reduce (da un paio d’anni, a dire il vero) da una lunga esperienza transalpina, dove avevo avuto modo di osservare un mercato del lavoro (e un sistema previdenziale, ecc.) radicalmente diverso dal nostro. Tanto per farvi capire, uno dei miei amici era un funzionario del Ministero della Giustizia svizzero, che aveva chiesto e ottenuto un part-time perché si voleva diplomare da baritono. Un attimo che lo goooooglo... Ecco, sono contento: vedo che è riuscito a fare quello che voleva (non avevo mai controllato, ma grazie ai "diversamente" sono stato spinto a farlo: vedete: dai "diversamente" può nascere un fiore. Bravo Alain!). Di fronte a me avevo un’assunzione a tempo pieno, nella quale nemmeno volendo avrei potuto chiedere un part-time per dedicarmi a quel cibo che solum è mio, certo non dei “diversamente”, nemmeno in un periodo nel quale noi già riuscivamo a vivere con il part-time di Roberta, che le fruttava 1400000 lire, equivalenti a ben più di 1400 euro attuali! No: io ero full-time per forza, così come, di converso, oggi, molti sono part-time per forza, e non per scelta. Vogliamo dirlo che una flessibilità buona esiste? Be’, tanto se non lo dico qui, l’ho scritto nel mio ultimo libro. Per me, nel 1997, un mercato del lavoro nel quale io avessi potuto adempiere con disciplina e onore il mio dovere verso lo Stato per metà del tempo, e per l’altra metà farmi i fatti miei, sarebbe stato un progresso. Nel 2014, un mercato del lavoro nel quale chi vuole lavorare full-time può farlo, purché non si faccia assumere full-time e si faccia pagare come un part-time, è evidentemente un regresso.
Ma come ci veniva venduto nel 1997 il pacchetto Treu?
Il pacchetto Treu ci veniva venduto, all’epoca, come un intervento di emergenza per creare lavoro, e la letteratura scientifica (Bertola e Ichino, citati nel mio lavoro) indicava nella rigidità del mercato del lavoro la causa della nostra disoccupazione strutturale. Notate che, sempre nel 1997, noi avevamo rivalutato da circa un anno e mezzo, e che avevamo avuto una jobless recovery dopo la svalutazione del 1992, per motivi che adesso mi sono molto più chiari di allora (ne parlo nel prossimo policy brief di a/simmetrie), come mi sono evidentemente più chiari nel 2014 di quanto non lo fossero nel 1997 gli effetti che la flessibilità “alla Treu” avrebbe avuto nel 2000 (per dire). Del resto, anche Gordon e Dew-Beckerci hanno messo un po’ a capirli, no? (e fra l’altro solando Travaglini, ma lasciamo stare). Va da sé che avrei potuto essere più bravo, e prevedere nove anni prima quello che l’economista sul cui testo avevo studiato macroeconomia nel 1985 non avrebbe capito se non nove anni dopo!
Non è buon allievo chi non supera il maestro, e io evidentemente non sono un buon allievo.
Ma sono un buon maestro.
Fatte queste premesse, vi chiarisco contesto e messaggio del lavoro.
Il contesto era semplice: Roberta lavorava part-time (come vi ho detto) per un’associazione di migranti. L’associazione organizzava un convegno a Riva del Garda, in collaborazione con l’EZA, sul tema che sapete. Lei mi propose come relatore, l’altro relatore essendo Filippo Maria Pandolfi, che all’epoca si era ritirato dalla vita politica, dopo esser stato parlamentare italiano, ministro delle Finanze, del Tesoro, dell’Industria, dell’Agricoltura e Commissario Europeo. Uno de passaggio, insomma, che fra l’altro era anche stato, come gli appassionati sanno, il relatore della Democrazia Cristiana chiamato ad esprimere la dichiarazione di voto favorevole all’entrata nello Sme, al bel tempo in cui Napolitano era contrario. Apprendo oggi da Wikipedia che conosceva Tremaglia, il che probabilmente spiega perché fosse lì, stante il fatto che l’associazione che organizzava era di stretta osservanza democristiana, ma Tremaglia era, nella destra, il politico che più si era adoperato per i diritti degli emigrati italiani (per ovvi motivi).
Era prevista una pubblicazione di atti, e già che ci siamo ecco la relazione di Pandolfi. Io comunque ero già ricercatore (anche se non avevo ancora preso servizio), e quindi non avevo bisogno urgente di pubblicazioni. Dare un’occhiata agli atti però vi aiuterà a capire il contesto.
Voi penserete: certo che dire che l’euro non avrebbe risolto nulla, per di più dicendo che Modigliani non aveva capito nulla, di fronte a un notabile democristiano ultraeuropeista, ed essendo in attesa di presa di servizio in un dipartimento infestato da allievi ultraeuropeisti di Modigliani (alcuni dei quali politicamente attivi, come Baldassarri, maestro di Piga), era un bel gesto di coraggio!
Ma vorrei rassicurarvi. Io non sono mai stato particolarmente coraggioso. Sono sempre stato abbastanza distratto e molto incosciente. Quello che vorrei rassicurasse voi, deve però preoccupare i nostri nemici: il coraggioso si arresta di fronte a qualcosa, l’incosciente non si arresta di fronte a nulla. Nulla, capito? Nulla. Poi non dite che non ve l’avevo detto, cari “diversamente”.
Ma vorrei rassicurarvi. Io non sono mai stato particolarmente coraggioso. Sono sempre stato abbastanza distratto e molto incosciente. Quello che vorrei rassicurasse voi, deve però preoccupare i nostri nemici: il coraggioso si arresta di fronte a qualcosa, l’incosciente non si arresta di fronte a nulla. Nulla, capito? Nulla. Poi non dite che non ve l’avevo detto, cari “diversamente”.
E così abbiamo chiarito il contesto.
Veniamo ora al messaggio: il messaggio è che l’euro sarebbe stata una sòla. Come avevo scelto di trasmetterlo, questo messaggio? In modo efficace, perché quello inefficace sinceramente non mi appartiene. Qual è il modo efficace? Semplice: smontare il discorso dell’avversario usando la forza dell’avversario, come abbiamo fatto col TTIP, cioè usandone il linguaggio e lo schema concettuale.
Voi dite che l’euro porterà vantaggi? Bene, allora vediamoli. Ops, sorpresa, sono uno zero virgola. Ma voi fate come vi pare, eh!
Certo, avrei benissimo potuto fare, in trenta minuti, una lezzioncina di economia monetaria internazionale ai rappresentanti dei “Trentini nel mondo” o dei “Catanesi in Brasile”. Sarebbe stato un successone! Non stentate a crederlo, vero? Poi i “diversamente” si stupiscono se nessuno li ascolta! Io non mi stupisco: se non sapete parlare tanti linguaggi, incluso quello dell’avversario, e incluso quello che il vostro pubblico può capire, allora, amici cari, è del tutto ovvio che aggiungerete al vostro pregresso fallimento umano (dietro il quale ci possono essere tante cose: sfortuna, sciagure familiari, o anche semplicemente la genetica) un fallimento divulgativo.
Mi ci vedete voi a spiegare a persone che a 14 anni erano partite per l’Argentina e si erano fatte il mazzo per una vita, arrivando anche a posizioni di prestigio, cos’è il tasso di cambio reale e cos’è un’area valutaria ottimale? Io, cosa fossero, ovviamente lo sapevo: vedi il passo citato dal "diversamente" (riquadro in basso a sinistra del suo capolavoro di arte povera), dove evidenzio l’importanza di un’armonizzazione dei mercati reali. Ma non potevo dedicare a quello che era e tutt’ora è un libro dei sogni (“più Europa”), né a quello che era e tutt’ora è un argomento che sfugge ai più (l’euro è stato fatto per impedire alla Germania di rivalutare) i trenta minuti a mia disposizione. Li impiegai in modo più proficuo, con disappunto lieve ma civile di Pandolfi, e, ovviamente, buon feedback degli astanti (comunicatori si nasce).
Spiegai quindi che l’euro non avrebbe portato vantaggi né in termini di riduzione dei costi di transazione (perché la letteratura seria li aveva già quantificati, e perfino studiosi in conflitto di interessi li denunciavano come irrisori), né in termini di riduzione dei tassi di interesse. In particolari, erano fasulli due argomenti di Modigliani. Il primo, quello che ho riportato nel mio collage (in alto a destra), era il mio contributo "politico": la Bce sarebbe stata una Bundesbank 2.0, quindi l’idea che unendoci si sarebbe ridotta la German governance era ovviamente una fesseria (e di questo abbiamo parlato). Il secondo, dove risiedeva il mio contributo “tecnico”, era l’idea fasulla ora come allora che il problema della mancata crescita si potesse risolvere riducendo lo “spiazzamento finanziario”, cioè facendo abbassare i tassi di interesse e, per quella strada, alimentando investimenti, crescita e occupazione.
A quel tempo non avevo una visione organica come l’ho maturata adesso della intrinseca instabilità della finanza privata, del fatto che essa era la radice e non la soluzione di tanti problemi, e via dicendo. Avevo però il primo modello econometrico aggregato dell’Eurozona pubblicato su rivista scientifica (sarebbe stato pubblicato anni dopo, le cose, come forse non saprete, spesso vanno per le lunghe, e il progetto era stato ideato da Carlucci), e lo utilizzai per vedere se era vero che c’era un margine per la discesa dei tassi di interesse, tale da garantire che ci sarebbe stato un sufficiente rilancio dell’occupazione. La risposta era un sonoro e fragoroso no. Siccome sapevo di essere distorto contro l’euro, perché influenzato dal mio maestro, confrontai i risultati con quelli della letteratura empirica rilevante. La risposta rimaneva uno stentoreo, assordante no. Non ci sarebbe stato alcun “dividendo” dell’euro in termini di aumento dell’occupazione via calo dei tassi e rilancio della domanda. Questo diceva il modello, e questo ripetei lì, dal che ovviamente conseguiva che sia i migranti nostri che quelli altrui sarebbero stati in forte difficoltà, appunto perché “solo condizioni ordinate del mercato del lavoro possono favorire l’integrazione sociale del migranti”, e d’altra parte non si vedeva nemmeno l’ombra di “politiche di riforma e armonizzazione delle legislazioni comunitarie in materia di istruzione, lavoro e previdenza sociale, volte a favorire effettivamente la mobilità del fattore lavoro”, mobilità che ritenevo dovesse essere volontaria, e non coattiva, come era stata per i “Trentini nel mondo” e come è oggi per tutti gli italiani, dato che la migrazione ha “elevatissimi costi umani” (dei quali nessun fanatico del "più Europa" come il trullo whisperer parla oggi, e figuratevi se ne avrebbe parlato nel 1997)!
Del resto, chiunque legga il lavoro vede bene che quando dico (nell'introduzione) che "altrettanto e forse più importante è la riduzione della disoccupazione nei paesi di accoglienza" non sto sostenendo che l'euro l'avrebbe portata: sto sostenendo un dato di fatto, che oggi tutti vedono. Perché gli italiani stanno diventando razzisti? Perché c'è sempre meno lavoro per loro. Se ce ne fosse, ci sarebbe anche più integrazione (e più mobilità sociale), e la mia conclusione era che l'euro certamente non avrebbe portato più lavoro.
Chiaro?
Questo è quello che c’è scritto nel lavoro del 1997: è scritto come volevo dirlo, con i limiti che la mia esperienza di vita e scientifica dell’epoca evidentemente ponevano alla mia visione complessiva. Sì, avrei voluto diplomarmi in conservatorio, pur lavorando, pensa un po’: dell'economia me ne fregava quanto me ne frega adesso, meno di un sedicesimo della metà di un cazzo (il che non mi impedisce di pubblicare), e avrei voluto avere un'esistenza più equilibrata fra i miei diversi interessi: in Europa era possibile! E come sarebbero state implementate le riforme all’epoca non lo capivano nemmeno gli ordinari di economia del lavoro: sarebbe stato molto bello che da ricercatore in econometria (in attesa di presa di servizio in un Dipartimento che era ed è ultraeurista) io potessi capirlo completamente! Mi limitavo quindi a riportare quello che la letteratura scientifica diceva. Cosa deve fare un ricercatore, se non dar (criticamente) conto della letteratura scientifica? Certo che oggi sarei molto più critico, ma allora cosa avrei dovuto fare? Forse avrei dovuto spogliarmi di fonte alla platea e urlare a Pandolfi “fascista di merda!”? Sarebbe stato un bel gesto eclatante, non c’è che dire. Ma, a parte il fatto che non credo che “l’uomo di polsino” meritasse tanto, l’efficacia comunicativa sarebbe stata nulla (come è stata nulla l’efficacia di Donald nella sua breve e sconclusionata parabola).
Come nel Tramonto dell’euro, anche allora preferii usare il frame dell’avversario per far passare il messaggio con la mia fermezza e la mia capacità di comunicazione, quella capacità e quella fermezza che i “diversamente”, porelli, invidiano. Fanno male: minus habens si nasce, e se loro lo nacquero non è colpa loro, o comunque non siamo certo noi a fargliene una colpa (avendo ben altro da fare), e sarebbe bene che smettessero di farsene una colpa anche loro, e che vivessero più sereni, nel recinto che la loro diversità impone loro, senza ammantarsi di competenze che non hanno (“economista”... de che?) e senza venire a seccare chi sta lavorando anche per loro (se pure molto a malincuore, lo confesso).
Vorrei chiudere facendovi notare una cosa.
Da tutti c’è da imparare.
Sono stato felicissimo di aver invitato Riccardo Puglisi il 12 aprile (il paper che lui ha discusso in quella sede è in corso di pubblicazione su una rivista di fascia A), e di aver invitato Francesco Lippi l’8 novembre (il paper che lui ha discusso in quella sede è molto migliorato, per merito suo, e spero di poterlo presto proporre a una rivista). Sono stato ancora più felice quando, andando a Omnibus, Andrea Pancani mi ha detto: “Sai, ho invitato Lippi, non lo conoscevo, l’ho conosciuto a Pescara e l’ho trovato efficace. Stai facendo un ottimo lavoro, non si vedono spesso convegni dove persone di idee opposte ma di qualità dibattono civilmente. In Italia mancano think tank come il tuo.” Certo: perché il compito di un think tank è sì quello di fare una proposta, ma anche quello di elevare la qualità del dibattito, cosa che fa bene a tutti, visto che la verità in tasca è matematicamente certo che non ce l’abbia nessuno. Vi faccio un esempio: posto che ogni trasmissione italiana di “informazione” deve avere un Ciornalisten e un libberista, voi preferite che il libberista sia Boldrin o Scacciavillani, che, per quanto bene gli voglia, comunque buttano tutto in caciara, o Lippi, che per lo meno ti fa articolare un ragionamento? Magari due anni fa le circostanze erano diverse, ma oggi, nel 2014, vi assicuro che è meglio così. Alzare il livello del dialogo significa, ovviamente, aprirsi a tutte le opinioni, e poi ragionarci su, cosa che, ad esempio, non fa il Festival dell’economia, il quale (si aprono le scommesse) non inviterà nemmeno quest’anno l’autore degli unici due bestseller di economia italiani degli ultimi tre anni! Ma fanno bene: non potrei esimermi dal rinnovargli la mia gratitudine per la loro censura, e gli sono vieppiù grato per una scelta che li squalifica, per motivi uguali e contrari a quelli per i quali la mia scelta di apertura qualifica me e tutti noi.
Del resto, come dico sempre nell’ultimo libro, farebbe comodo anche alla “destra” (intesa come pensiero liberale, e come difesa degli interessi del capitale) che esistesse una “sinistra” (intesa come pensiero socialista, e come difesa degli interessi del lavoro). Il fatto che questa sinistra non esista significa che gli interessi del lavoro alla fine andranno difesi con la violenza, perché la democrazia in Italia è sospesa. Questo è il mio terrore, e questa è una delle mie tante previsioni che purtroppo si avvereranno. Ma io, e non il trullo whisperer, sto lavorando perché questa previsione non si avveri, e il mio successo su questa strada lo fa schiumare di impotente livore.
In ogni caso, io avrò la coscienza a posto, perché avrò parlato.
E comunque, dopo, ci sarà bisogno anche dei Boldrin (e soprattutto dei Lippi) per ricostruire questo paese, e con loro si dovrà e, almeno per quanto mi riguarda, si potrà parlare, perché con qualcuno o qualcosa si può parlare.
Ma attenzione: se si deve parlare con tutti, non si può parlare col niente.
Ecco, per il niente, dopo, non ci sarà nessuno spazio. E gli ominicchi che mi mettono in bocca parole distorte per farsi pubblicità, o peggio ancora, come nel caso dello squallido trullo whisperer, per cercare di scalfire la mia credibilità, allora, con loro cosa faremo? Li cercheremo casa per casa, non per sopprimerli, perché non esistono (e sopprimere ciò che non esiste non si può, per la contraddizion che nol consente), ma per avere il piacere di ascoltare letto dalla loro viva voce tutto il mio articolo del 1997. Sarà piacevole sentirli balbettare parole che non capiscono. Poi chiuderemo definitivamente il capitolo.
I "diversamente" non sono il male: sono la banalità del male.
(ecco, bravo, Fugazzo, ora sfoga anche tu il tuo meschino livore. Sai, basta scrivere “Bagnai” in una pagina web e qualche click arriva. Ma da quando esiste questo blog le donne e gli uomini di valore navigano altrove alla ricerca di notizie tenendosi sempre ben vicine delle mollette da applicare alle narici. Poi tornano qui a prendersi una boccata d’aria fresca. Le tue scuse sono respinte a priori, tu sei il niente, et in nihil reverteris... A te, e soprattutto ai tuoi clienti, che ne hanno tanto, ma tanto, ma tanto bisogno, auguro buona fortuna...).