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1997 fuga da Bagnai

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Ecco la prova che inchioda Bagnai!






Oh, vabbè, avrei di meglio da fare, ma finalmente mi avete rotto i coglioni e quindi vi regalo il quarto d’ora di celebrità che non nego a nessuno: se non l’ho negato agli avversari, perché dovrei negarlo agli “alleati”? Ai nemici ci penso io, e anche agli “amici”, perché Dio ha qualcosa di meglio da fare che occuparsi di quattro sconclusionati diversamente economisti. Diversamente economisti e diversamente molte altre cose, del resto: ecco, potremmo chiamarli “i diversamente”, un po’ come quando a Roma i camerieri ti dicono “vuole un’acqua liscia o una leggermente”? Difficile far capir loro la differenza fra sostantivo e avverbio, ma in questa forzatura c’è del buono: la sintesi. E allora sì, facciamo così: i nostri “alleati” li chiameremo “i diversamente”....

Bene, intanto mettiamoci al livello dei “diversamente” e battiamoli con le loro armi: al loro collage propongo di opporre questo mio collage:



Che ne dite? Si somigliano? Non tanto, vero? Certo, perché basta decontestualizzare a sufficienza un’affermazione per trasformarne completamente il significato. L’operazione è resa particolarmente semplice nel caso in cui si sia sufficientemente miserabili da essere accecati dall’invidia, rosi dal livore, bisognosi di celebrità a buon mercato, e, naturalmente, non attrezzati né culturalmente né intellettualmente per comprendere il contesto nel quale certe affermazioni sono state fatte.

Un esempio?

Eccolo:



Un povero “diversamente” ammalato di “qualcosismo” e in cerca di pubblicità, direte voi.

Sì, naturalmente.

D’altra parte, uno che con un portale di “ricerca economica” riesce oggi, in piena crisi, ad avere solo 305 follower su Twitter, nonostante abbia invitato due fuori classe come Borghi e Rinaldi a Londra (affittando uno scantinato a LSE), e twitti praticamente una minchiata al giorno, non deve essere molto capace di far fruttare le risorse che gli vengono affidate, e questo, va da sé, dovrebbe mettere in allarme molto più i suoi clienti che noi. Il fatto che vada in cerca di pubblicità a buon mercato rientra però nella logica delle cose, e noi, che siamo umani, gliela facciamo subito. Se organizzi un convegno con Borghi e non entri neanche un attimo nei top trend di Twitter diciamo che stai alla comunicazione come il Peter Sellers di Hollywood Party sta all’idraulica (o alla storia dell’orologeria), ma lasciamo stare (tra l’altro, non la capiresti e non ho tempo di spiegartela).

Tuttavia, siccome, grazie al simpatico sellino pugliese (l’uomo che sussurrava ai trulli), questa storia che Bagnai nel 1997 era libberista torna come la peperonata, archiviato lo squallido Fugazzi, e confermatogli che da oggi è dove era, nell’Inferno di Cip e Ciop (in quello di Dante ho visto molti gironi, ma non quello che fa rima con loro), ragioniamo seriamente e una volta per tutte su cosa scrivevo nel 1997. Avrei altro da fare, sto occupandomi del futuro, perché ho la preparazione tecnica, lo spessore culturale e la tempra umana per farlo, ma sono anche convinto che dal passato si possa, anzi, si debba imparare. Questa vorrei fosse la principale lezione de L’Italia può farcela, anche se purtroppo se bene che la prima (e ultima) lezione che la storia ci insegna è che non si apprendono mai le lezioni della storia.

Nel 1997 ero euroscettico perché la professione a livello internazionale lo era, e questo ve l’ho sufficientemente dimostrato, e perché lo era il mio maestro. È abbastanza normale che un uomo di scienza (come del resto un artista) venga influenzato dal proprio maestro: poi, se c’è, la personalità emerge. Se non c’è, sei Fugazzi, ma di questo abbiamo parlato fin troppo.

Sempre nel 1997, era appena stato varato, con il sostanziale plauso della sinistra tutta (esclusi pochi lungimiranti economisti come Leonello Tronti, e pochi politici che conoscerete voi, e che comunque non riuscirono a farsi sentire o capire), il pacchetto Treu.

Sempre nel 1997, tanto per dire, io ero reduce (da un paio d’anni, a dire il vero) da una lunga esperienza transalpina, dove avevo avuto modo di osservare un mercato del lavoro (e un sistema previdenziale, ecc.) radicalmente diverso dal nostro. Tanto per farvi capire, uno dei miei amici era un funzionario del Ministero della Giustizia svizzero, che aveva chiesto e ottenuto un part-time perché si voleva diplomare da baritono. Un attimo che lo goooooglo... Ecco, sono contento: vedo che è riuscito a fare quello che voleva (non avevo mai controllato, ma grazie ai "diversamente" sono stato spinto a farlo: vedete: dai "diversamente" può nascere un fiore. Bravo Alain!). Di fronte a me avevo un’assunzione a tempo pieno, nella quale nemmeno volendo avrei potuto chiedere un part-time per dedicarmi a quel cibo che solum è mio, certo non dei “diversamente”, nemmeno in un periodo nel quale noi già riuscivamo a vivere con il part-time di Roberta, che le fruttava 1400000 lire, equivalenti a ben più di 1400 euro attuali! No: io ero full-time per forza, così come, di converso, oggi, molti sono part-time per forza, e non per scelta. Vogliamo dirlo che una flessibilità buona esiste? Be’, tanto se non lo dico qui, l’ho scritto nel mio ultimo libro. Per me, nel 1997, un mercato del lavoro nel quale io avessi potuto adempiere con disciplina e onore il mio dovere verso lo Stato per metà del tempo, e per l’altra metà farmi i fatti miei, sarebbe stato un progresso. Nel 2014, un mercato del lavoro nel quale chi vuole lavorare full-time può farlo, purché non si faccia assumere full-time e si faccia pagare come un part-time, è evidentemente un regresso.

Ma come ci veniva venduto nel 1997 il pacchetto Treu?

Il pacchetto Treu ci veniva venduto, all’epoca, come un intervento di emergenza per creare lavoro, e la letteratura scientifica (Bertola e Ichino, citati nel mio lavoro) indicava nella rigidità del mercato del lavoro la causa della nostra disoccupazione strutturale. Notate che, sempre nel 1997, noi avevamo rivalutato da circa un anno e mezzo, e che avevamo avuto una jobless recovery dopo la svalutazione del 1992, per motivi che adesso mi sono molto più chiari di allora (ne parlo nel prossimo policy brief di a/simmetrie), come mi sono evidentemente più chiari nel 2014 di quanto non lo fossero nel 1997 gli effetti che la flessibilità “alla Treu” avrebbe avuto nel 2000 (per dire). Del resto, anche Gordon e Dew-Beckerci hanno messo un po’ a capirli, no? (e fra l’altro solando Travaglini, ma lasciamo stare). Va da sé che avrei potuto essere più bravo, e prevedere nove anni prima quello che l’economista sul cui testo avevo studiato macroeconomia nel 1985 non avrebbe capito se non nove anni dopo! 

Non è buon allievo chi non supera il maestro, e io evidentemente non sono un buon allievo.

Ma sono un buon maestro.

Fatte queste premesse, vi chiarisco contesto e messaggio del lavoro.

Il contesto era semplice: Roberta lavorava part-time (come vi ho detto) per un’associazione di migranti. L’associazione organizzava un convegno a Riva del Garda, in collaborazione con l’EZA, sul tema che sapete. Lei mi propose come relatore, l’altro relatore essendo Filippo Maria Pandolfi, che all’epoca si era ritirato dalla vita politica, dopo esser stato parlamentare italiano, ministro delle Finanze, del Tesoro, dell’Industria, dell’Agricoltura e Commissario Europeo. Uno de passaggio, insomma, che fra l’altro era anche stato, come gli appassionati sanno, il relatore della Democrazia Cristiana chiamato ad esprimere la dichiarazione di voto favorevole all’entrata nello Sme, al bel tempo in cui Napolitano era contrario. Apprendo oggi da Wikipedia che conosceva Tremaglia, il che probabilmente spiega perché fosse lì, stante il fatto che l’associazione che organizzava era di stretta osservanza democristiana, ma Tremaglia era, nella destra, il politico che più si era adoperato per i diritti degli emigrati italiani (per ovvi motivi).
Era prevista una pubblicazione di atti, e già che ci siamo ecco la relazione di Pandolfi. Io comunque ero già ricercatore (anche se non avevo ancora preso servizio), e quindi non avevo bisogno urgente di pubblicazioni. Dare un’occhiata agli atti però vi aiuterà a capire il contesto.

Voi penserete: certo che dire che l’euro non avrebbe risolto nulla, per di più dicendo che Modigliani non aveva capito nulla, di fronte a un notabile democristiano ultraeuropeista, ed essendo in attesa di presa di servizio in un dipartimento infestato da allievi ultraeuropeisti di Modigliani (alcuni dei quali politicamente attivi, come Baldassarri, maestro di Piga), era un bel gesto di coraggio!


Ma vorrei rassicurarvi. Io non sono mai stato particolarmente coraggioso. Sono sempre stato abbastanza distratto e molto incosciente. Quello che vorrei rassicurasse voi, deve però preoccupare i nostri nemici: il coraggioso si arresta di fronte a qualcosa, l’incosciente non si arresta di fronte a nulla. Nulla, capito? Nulla. Poi non dite che non ve l’avevo detto, cari “diversamente”.

E così abbiamo chiarito il contesto.

Veniamo ora al messaggio: il messaggio è che l’euro sarebbe stata una sòla. Come avevo scelto di trasmetterlo, questo messaggio? In modo efficace, perché quello inefficace sinceramente non mi appartiene. Qual è il modo efficace? Semplice: smontare il discorso dell’avversario usando la forza dell’avversario, come abbiamo fatto col TTIP, cioè usandone il linguaggio e lo schema concettuale.

Voi dite che l’euro porterà vantaggi? Bene, allora vediamoli. Ops, sorpresa, sono uno zero virgola. Ma voi fate come vi pare, eh!

Certo, avrei benissimo potuto fare, in trenta minuti, una lezzioncina di economia monetaria internazionale ai rappresentanti dei “Trentini nel mondo” o dei “Catanesi in Brasile”. Sarebbe stato un successone! Non stentate a crederlo, vero? Poi i “diversamente” si stupiscono se nessuno li ascolta! Io non mi stupisco: se non sapete parlare tanti linguaggi, incluso quello dell’avversario, e incluso quello che il vostro pubblico può capire, allora, amici cari, è del tutto ovvio che aggiungerete al vostro pregresso fallimento umano (dietro il quale ci possono essere tante cose: sfortuna, sciagure familiari, o anche semplicemente la genetica) un fallimento divulgativo.

Mi ci vedete voi a spiegare a persone che a 14 anni erano partite per l’Argentina e si erano fatte il mazzo per una vita, arrivando anche a posizioni di prestigio, cos’è il tasso di cambio reale e cos’è un’area valutaria ottimale? Io, cosa fossero, ovviamente lo sapevo: vedi il passo citato dal "diversamente" (riquadro in basso a sinistra del suo capolavoro di arte povera), dove evidenzio l’importanza di un’armonizzazione dei mercati reali. Ma non potevo dedicare a quello che era e tutt’ora è un libro dei sogni (“più Europa”), né a quello che era e tutt’ora è un argomento che sfugge ai più (l’euro è stato fatto per impedire alla Germania di rivalutare) i trenta minuti a mia disposizione. Li impiegai in modo più proficuo, con disappunto lieve ma civile di Pandolfi, e, ovviamente, buon feedback degli astanti (comunicatori si nasce).

Spiegai quindi che l’euro non avrebbe portato vantaggi né in termini di riduzione dei costi di transazione (perché la letteratura seria li aveva già quantificati, e perfino studiosi in conflitto di interessi li denunciavano come irrisori), né in termini di riduzione dei tassi di interesse. In particolari, erano fasulli due argomenti di Modigliani. Il primo, quello che ho riportato nel mio collage (in alto a destra), era il mio contributo "politico": la Bce sarebbe stata una Bundesbank 2.0, quindi l’idea che unendoci si sarebbe ridotta la German governance era ovviamente una fesseria (e di questo abbiamo parlato). Il secondo, dove risiedeva il mio contributo “tecnico”, era l’idea fasulla ora come allora che il problema della mancata crescita si potesse risolvere riducendo lo “spiazzamento finanziario”, cioè facendo abbassare i tassi di interesse e, per quella strada, alimentando investimenti, crescita e occupazione.

A quel tempo non avevo una visione organica come l’ho maturata adesso della intrinseca instabilità della finanza privata, del fatto che essa era la radice e non la soluzione di tanti problemi, e via dicendo. Avevo però il primo modello econometrico aggregato dell’Eurozona pubblicato su rivista scientifica (sarebbe stato pubblicato anni dopo, le cose, come forse non saprete, spesso vanno per le lunghe, e il progetto era stato ideato da Carlucci), e lo utilizzai per vedere se era vero che c’era un margine per la discesa dei tassi di interesse, tale da garantire che ci sarebbe stato un sufficiente rilancio dell’occupazione. La risposta era un sonoro e fragoroso no. Siccome sapevo di essere distorto contro l’euro, perché influenzato dal mio maestro, confrontai i risultati con quelli della letteratura empirica rilevante. La risposta rimaneva uno stentoreo, assordante no. Non ci sarebbe stato alcun “dividendo” dell’euro in termini di aumento dell’occupazione via calo dei tassi e rilancio della domanda. Questo diceva il modello, e questo ripetei lì, dal che ovviamente conseguiva che sia i migranti nostri che quelli altrui sarebbero stati in forte difficoltà, appunto perché “solo condizioni ordinate del mercato del lavoro possono favorire l’integrazione sociale del migranti”, e d’altra parte non si vedeva nemmeno l’ombra di “politiche di riforma e armonizzazione delle legislazioni comunitarie in materia di istruzione, lavoro e previdenza sociale, volte a favorire effettivamente la mobilità del fattore lavoro”, mobilità che ritenevo dovesse essere volontaria, e non coattiva, come era stata per i “Trentini nel mondo” e come è oggi per tutti gli italiani, dato che la migrazione ha “elevatissimi costi umani” (dei quali nessun fanatico del "più Europa" come il trullo whisperer parla oggi, e figuratevi se ne avrebbe parlato nel 1997)!

Del resto, chiunque legga il lavoro vede bene che quando dico (nell'introduzione) che "altrettanto e forse più importante è la riduzione della disoccupazione nei paesi di accoglienza" non sto sostenendo che l'euro l'avrebbe portata: sto sostenendo un dato di fatto, che oggi tutti vedono. Perché gli italiani stanno diventando razzisti? Perché c'è sempre meno lavoro per loro. Se ce ne fosse, ci sarebbe anche più integrazione (e più mobilità sociale), e la mia conclusione era che l'euro certamente non avrebbe portato più lavoro.

Chiaro?

Questo è quello che c’è scritto nel lavoro del 1997: è scritto come volevo dirlo, con i limiti che la mia esperienza di vita e scientifica dell’epoca evidentemente ponevano alla mia visione complessiva. Sì, avrei voluto diplomarmi in conservatorio, pur lavorando, pensa un po’: dell'economia me ne fregava quanto me ne frega adesso, meno di un sedicesimo della metà di un cazzo (il che non mi impedisce di pubblicare), e avrei voluto avere un'esistenza più equilibrata fra i miei diversi interessi: in Europa era possibile! E come sarebbero state implementate le riforme all’epoca non lo capivano nemmeno gli ordinari di economia del lavoro: sarebbe stato molto bello che da ricercatore in econometria (in attesa di presa di servizio in un Dipartimento che era ed è ultraeurista) io potessi capirlo completamente! Mi limitavo quindi a riportare quello che la letteratura scientifica diceva. Cosa deve fare un ricercatore, se non dar (criticamente) conto della letteratura scientifica? Certo che oggi sarei molto più critico, ma allora cosa avrei dovuto fare? Forse avrei dovuto spogliarmi di fonte alla platea e urlare a Pandolfi “fascista di merda!”? Sarebbe stato un bel gesto eclatante, non c’è che dire. Ma, a parte il fatto che non credo che “l’uomo di polsino” meritasse tanto, l’efficacia comunicativa sarebbe stata nulla (come è stata nulla l’efficacia di Donald nella sua breve e sconclusionata parabola).

Come nel Tramonto dell’euro, anche allora preferii usare il frame dell’avversario per far passare il messaggio con la mia fermezza e la mia capacità di comunicazione, quella capacità e quella fermezza che i “diversamente”, porelli, invidiano. Fanno male: minus habens si nasce, e se loro lo nacquero non è colpa loro, o comunque non siamo certo noi a fargliene una colpa (avendo ben altro da fare), e sarebbe bene che smettessero di farsene una colpa anche loro, e che vivessero più sereni, nel recinto che la loro diversità impone loro, senza ammantarsi di competenze che non hanno (“economista”... de che?) e senza venire a seccare chi sta lavorando anche per loro (se pure molto a malincuore, lo confesso).

Vorrei chiudere facendovi notare una cosa.

Da tutti c’è da imparare.

Sono stato felicissimo di aver invitato Riccardo Puglisi il 12 aprile (il paper che lui ha discusso in quella sede è in corso di pubblicazione su una rivista di fascia A), e di aver invitato Francesco Lippi l’8 novembre (il paper che lui ha discusso in quella sede è molto migliorato, per merito suo, e spero di poterlo presto proporre a una rivista). Sono stato ancora più felice quando, andando a Omnibus, Andrea Pancani mi ha detto: “Sai, ho invitato Lippi, non lo conoscevo, l’ho conosciuto a Pescara e l’ho trovato efficace. Stai facendo un ottimo lavoro, non si vedono spesso convegni dove persone di idee opposte ma di qualità dibattono civilmente. In Italia mancano think tank come il tuo.” Certo: perché il compito di un think tank è sì quello di fare una proposta, ma anche quello di elevare la qualità del dibattito, cosa che fa bene a tutti, visto che la verità in tasca è matematicamente certo che non ce l’abbia nessuno. Vi faccio un esempio: posto che ogni trasmissione italiana di “informazione” deve avere un Ciornalisten e un libberista, voi preferite che il libberista sia Boldrin o Scacciavillani, che, per quanto bene gli voglia, comunque buttano tutto in caciara, o Lippi, che per lo meno ti fa articolare un ragionamento? Magari due anni fa le circostanze erano diverse, ma oggi, nel 2014, vi assicuro che è meglio così. Alzare il livello del dialogo significa, ovviamente, aprirsi a tutte le opinioni, e poi ragionarci su, cosa che, ad esempio, non fa il Festival dell’economia, il quale (si aprono le scommesse) non inviterà nemmeno quest’anno l’autore degli unici due bestseller di economia italiani degli ultimi tre anni! Ma fanno bene: non potrei esimermi dal rinnovargli la mia gratitudine per la loro censura, e gli sono vieppiù grato per una scelta che li squalifica, per motivi uguali e contrari a quelli per i quali la mia scelta di apertura qualifica me e tutti noi.

Del resto, come dico sempre nell’ultimo libro, farebbe comodo anche alla “destra” (intesa come pensiero liberale, e come difesa degli interessi del capitale) che esistesse una “sinistra” (intesa come pensiero socialista, e come difesa degli interessi del lavoro). Il fatto che questa sinistra non esista significa che gli interessi del lavoro alla fine andranno difesi con la violenza, perché la democrazia in Italia è sospesa. Questo è il mio terrore, e questa è una delle mie tante previsioni che purtroppo si avvereranno. Ma io, e non il trullo whisperer, sto lavorando perché questa previsione non si avveri, e il mio successo su questa strada lo fa schiumare di impotente livore.

In ogni caso, io avrò la coscienza a posto, perché avrò parlato.

E comunque, dopo, ci sarà bisogno anche dei Boldrin (e soprattutto dei Lippi) per ricostruire questo paese, e con loro si dovrà e, almeno per quanto mi riguarda, si potrà parlare, perché con qualcuno o qualcosa si può parlare.

Ma attenzione: se si deve parlare con tutti, non si può parlare col niente.

Ecco, per il niente, dopo, non ci sarà nessuno spazio. E gli ominicchi che mi mettono in bocca parole distorte per farsi pubblicità, o peggio ancora, come nel caso dello squallido trullo whisperer, per cercare di scalfire la mia credibilità, allora, con loro cosa faremo? Li cercheremo casa per casa, non per sopprimerli, perché non esistono (e sopprimere ciò che non esiste non si può, per la contraddizion che nol consente), ma per avere il piacere di ascoltare letto dalla loro viva voce tutto il mio articolo del 1997. Sarà piacevole sentirli balbettare parole che non capiscono. Poi chiuderemo definitivamente il capitolo.

I "diversamente" non sono il male: sono la banalità del male.





(ecco, bravo, Fugazzo, ora sfoga anche tu il tuo meschino livore. Sai, basta scrivere “Bagnai” in una pagina web e qualche click arriva. Ma da quando esiste questo blog le donne e gli uomini di valore navigano altrove alla ricerca di notizie tenendosi sempre ben vicine delle mollette da applicare alle narici. Poi tornano qui a prendersi una boccata d’aria fresca. Le tue scuse sono respinte a priori, tu sei il niente, et in nihil reverteris... A te, e soprattutto ai tuoi clienti, che ne hanno tanto, ma tanto, ma tanto bisogno, auguro buona fortuna...).

1997 fuga da Bagnai: il prequel

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La segnalazione del lettore

Il 23/06/2013 16:34, @Mirkuz ha scritto:
Ciao prof,
è da un po' che non ci sentiamo, dato che m'hai bannato per violazione del punto 2).
Non per questo ho smesso di seguirla, anche perché molti miei contatti su twitter la retwittano di continuo e finisco col tenermi aggiornato lo stesso.
Hi visto che di recente ha pubblicato  una sfilza ' di PDF.
Proprio in uno di questi
http://www.unich.it/docenti/bagnai/research/Eur.pdf
lei sembra in qualche modo condividere l'idea che per ridurre la disoccupazione in europa ci voglia più flessibilità del lavoro.
La prima cosa che ho pensato è stata "eccallà la classica frase decontestualizzata".
Mi sono letto tutto l'articolo, nella parte iniziale ho trovato quello che mi aspettavo, cioè una forte critica al dividendo dell'euro anche se con parole più dolci di quelle che ha oggi, ma nell'ultima parte non sono riuscito a trovare una coerenza con quello che dice oggi e di cui accusa la sinistra di averci tradito.
So che probabilmente non mi risponderà,
le consiglio, da lettore, di scrivere al più presto qualcosa a riguardo sul suo blog.
Saluti,

@Mirkuz


2013/6/23 Alberto Bagnai <alberto.bagnai@fastwebnet.it>
Questo fa seguito a un Tweet di uno dei tanti traditori rifondaroli. Ovviamente avete messo in moto la macchina del fango, e va bene così. Adesso capisco di aver fatto bene a bloccarti. Credo che tu debba leggere tutto l'articolo e situare l'affermazione nel contesto storico. Io, come vedresti leggendo bene, mi limito a dire che quella è la ricetta che sembrava all'epoca la più affermata in letteratura (appoggiando questa affermazione con i dati di Bertola e Ichino, che per me all'epoca erano solo due economisti).

La mia prescrizione è che si sarebbe dovuti andare verso una omogeneizzazione dell'economia reale (mercati del lavoro ecc.) per incrementare certo la mobilità e perché no, anche la flessibilità, che però non era intesa, ex ante, da nessuno, come quello che è stato ex post, ovvero precarizzazione selvaggia e proliferazione di contratti "atipici" senza tutele. Io avevo l'esempio di altri paesi, dove era possibile e perfettamente naturale avere un part-time senza essere discriminati negativamente in termini reddituali ecc. Questa mi sembrava una flessibilità intelligente, e su questo ti assicuro che c'è un ampio accordo (e c'era anche allora) anche con economisti progressisti. Dove sta scritto che dobbiamo tutti e tutta la vita lavorare otto ore al giorno?

So benissimo che una manica di traditori fascisti, smascherati dalla mia opera di divulgazione, adesso vogliono dire che io sono un capitalista corrotto nemico del proletariato ecc.

Tu sei libero di credergli: un giorno saprai se potrai avere rispetto di te stesso.

Sono stanco di rispondere ai ragli, e quindi, perdonami, questa è l'ultima volta che ci sentiamo. Cosa devo scrivere nel blog lo so io, non devo certo giustificarmi di fronte a ogni pezzettino di merda che solleva il ditino. Non so se ti è chiaro.

E ora porta pure questa lettera a PXXXXXXXXX perché la pubblichi nella sua fogna, alla quale forse anche tu meriti di appartenere. Spero di sbagliarmi, e lo vorrei tanto, perché mi sembra di ricordare dei tuoi interventi appropriati (questo non lo è), ma better safe than sorry.

Nessuno ha fatto in quaranta anni per la coscienza di classe di questo paese quello che io ho fatto in due anni. Dovrete convivere con questo fatto.

A.



Il giorno 23/giu/2013, alle ore 17:24, Mirkuz ha scritto:

Caro prof,
Io le ho chiesto, IN PRIVATO, una spiegazione più dettagliata e le ho consigliato di spiegare la questione per bene sul blog.
Se avessi voluto smuovere fango, avrei mandato l'articolo a tutti quelli che hanno interesse a sputtanarla e non mi sembra di averlo fatto.
Non so chi sia pasquinelli (giuro, ora lo cerco su google)
Io sono iscritto al gruppo facebook "Economia 5 Stelle" ed ho visto li la citazione estrapolata dal suo paper, mi sono andato a leggere il paper e poi le ho scritto.
So benissimo che lei non ha scritto da nessuno parte "io condivido al 100% Bertola e Ichino", ma mi sembra l'abbia presentata come l'analisi più attendibile, senza le interessanti specifiche che mi ha elencato per mail. e non ne ha preso le distanze cosa che invece ha fatto per tutta la prima parte dell'articolo.
Lei ha un grosso difetto, se qualcuno le fa un domanda che a lei pare di ovvia risposta, lei lo etichetta come traditore.
Io non sono traditore di nessuno, non sono un economista e cerco di capire.
Quando uno cerca di capire cose che non conosce, è ovvio che ponga domande a chi più ne sa, ed in questo caso, a chi le ha scritte.
Ripeto, se avessi voluto spalare fango, avrei preso quella citazione e l'avrei spammata nel web per bene.
Cosa che probalbilmente stanno facendo altri, MA NON IO.
Nonostante il blocco, io la seguo, la reputo la miglior figura in circolazione (anche se avrei da ridire sulla sua comunicazione) , e proprio per questo le ho consigliato una rapida spiegazione sul suo blog, perchè una volta che una bufala o citazione viene diffusa viralmente sarà ben più difficile diffondere altrettanto viralmente smentite e rettifiche.
poi pensi di me quello che vuole.
sopravviverò.
Saluti
Mirkuz


2013/6/23 Alberto Bagnai <alberto.bagnai@fastwebnet.it>
Bene. Tu sei una persona onesta. Allora scusami. Quanto al virale o non virale, sono stato oggetto in questi mesi di ben altri attacchi, son sopravvissuto, e ormai ho altri interlocutori. Un motivo ci sarà.



2013/6/23 Mirkuz

Questo lo so benissimo, il problema è che gli interlocutori non bastano..
Ci sono 59 milioni di italiani medi con cui bisogna interloquire, e come sa meglio di me è già di per se una battaglia contro i mulni a vento

mi scusi se insisto le faccio un caso banale:
io mi confronto tutti i giorni con tante persone sull'argomento dell'euro, argomentando come lei che l'euro è fascista e ci impone scelte che non hanno nulla a che vedere con la sinistra.
Spesso mi trovo a discutere con gente "di sinistra" laureata in economia e quindi è già di per se una lotta impari.
Ovviamente non posso che fare riferimento a Lei, a Borghi (che è di destra) etc..
Nel momento in cui mi si controbatte dicendo " ah ma bagnai vuole la flessibilità del lavoro", che si fà?
faccio copia e incolla di una parte della mail precedente?
gli dico " ma sai, devi guardare il contesto storico, e poi flessibilità non significa per lui quello che in realtà hanno fatto"
Io nel frattempo sono bruciato, ll mio mico ha vinto e chi ascoltava da ragione a lui.
per questo ritengo che una smentita ufficiale taglierebbe la testa al toro, e al piddino.
Questi partono già troppo avvantaggiati per lasciargli sul piatto d'argento anche la storiella del Bagnai capitalista.
Non lo faccia per lei, che ovviamente sa difendersi.
lo faccia per noi che abbiamo già troppe difficoltà
saluti


Con il ritardo cognitivo che lo caratterizza, arriva il trullo whisperer...




Il 02/08/2013 19:01, Alessandro Greco ha scritto:
Eppure pag 14 è così chiara. Fanno così pena questi economisti? 
Dire che l'euro non potrà nulla per l'occupazione se non con riforme flessibilità etc è una conclusione ovvia al vostro livello. Il che non significa che chi vi giunge la auspichi.

Ma che mondo di merda.

Se hai tempo spendici un post... Schifosi venduti.

Alessandro Greco


-------- Messaggio originale --------
Oggetto: Re: il CV luuuuuuuuungo....
Data: Sat, 13 Dec 2014 22:19:37 +0100
Mittente: Mirkuz
A: Alberto Bagnai <alberto.bagnai@fastwebnet.it>


Dopo un anno e mezzo hai seguito il mio consiglio :)


Segue la replica di Fugazzi

Professore, 
La ringrazio per la risposta e per aver chiarito nonché contestualizzato a dovere il suo paper del 1997. Fermo restando che ho apprezzato il suo lavoro nel corso degli anni, la mia non voleva essere una critica maliziosa né siamo alla ricerca di visibilità.
Nel nostro piccolo, da diverso tempo, per lo meno qui oltre confine, spieghiamo ai nostri concittadini che cosa può essere fatto per aiutare il Paese a superare l’attuale congiuntura economica. Tutto questo, ed è una doverosa precisazione, nel nostro tempo libero, cioè a nottetempo e durante i fine settimana. Saremo piccoli, ma non usiamo Twitter come metro di misura. Sappiamo però che ai nostri quattro eventi organizzati quest’anno a Londra hanno preso parte trecento persone (il conteggio non include gli eventi “esterni” per es. quello di Riscossa Italiana al quale abbiamo semplicemente contribuito invitando i nostri lettori ed amici).
Siamo molto grati a voi accademici per aver fatto, credo bene, un lavoro di sensibilizzazione. Senza il vostro contributo mediatico molte persone comuni non si sarebbero economicamente acculturate e forse mai avrebbero trattato o approfondito la questione monetaria ed europea. (Non è il mio caso specifico visto che sono attivo già da qualche anno prima che la questione “no euro”, in Italia, finisse in TV e su Twitter).
Non siamo alla ricerca di visibilità, ma piuttosto vorremmo che anche i divulgatori più loquaci, tra cui La annovero, spostassero il dibattito su questioni più “terrestri”. Il che equivale a dire, che cosa può essere concretamente fatto per sostenere le PMI.
Molti divulgatori, diciamo, minori, nel senso che non frequentano i programmi televisivi, lo stanno facendo e le nostre attività si inseriscono in questo contesto di “messa a terra”, cioè di ricerca di soluzioni fattibili e volte a rendere meno dolorosa, e quindi superando, la morìa economica delle PMI. Ed è proprio questo l’ambito di “ricerca” seguito dal sottoscritto nel corso dell’ultimo biennio con tanto di “bigino” di proposte per la crescita (A.B.C. Italia – Abbiamo Bisogno di Crescita http://www.amazon.it/dp/1291943234) che nel suo piccolo ha riscosso buoni riscontri da parte di lettori e critica (e oltre 800 copie in 5 mesi, ma questi sono dettagli… essendo scrittore e commentatore per passione ed amor di Patria). Vorremmo che anche i divulgatori più loquaci seguissero questo sentiero al fine di spostare il dibattito da Twitter e dalle aule universitarie ai banconi del Parlamento.
Cordiali saluti
Stefano Fugazzi

Kind regards / Distinti saluti

Stefano Fugazzi


E ora, visto che sono a casa mia, aggiungo due parole...

Caro Stefano,

forse sarai anche in buona fede, ma a me della tua buona fede me ne frega quanto di quella di Prodi: zero. Hai usato un metodo di marketing inaccettabile facendoti megafono dell'altrui disonestà intellettuale. Volevi il tuo quarto d'ora di celebrità e lo hai avuto, te ne regalo un altro per spiegarti un paio di cose.

Il "bigino" lo puoi arrotolare stretto. In una crisi economica le proposte di chi economista non è servono a poco, e quel poco è nocivo. La finta dialettica fra "ragion pura" e "ragion pratica" che ti proponi di incarnare ti rivela per un personaggio ambizioso (buon per te) ma intellettualmente non limpidissimo. Io non sono "loquace" e quale sentiero devo scegliere lo so da me. Ti ho accordato diritto di replica, cosa che non ho fatto con persone molto più importanti di te e che ho trattato molto peggio per aver fatto molto meno, solo perché volevo far capire a tutti una cosa.

So io cosa dire e quando dirlo e gradisco che nessuno mi venga a dare alcun consiglio in merito.

I poveri fessi che si sono inteneriti per il Fugazzi, o che hanno citato a sproposito Dante, non hanno ovviamente la benché minima idea di cosa ci fosse dietro. C'era dietro un anno e dispari di attaccucci personali orchestrati da bucce d'uomini disparate, che avevano in comune solo l'esser state sputate dalla vita. I 5 stelle dei quali per primo avevo smascherato il progetto pinochettiano, il povero Keynes delle Murge, così livido di furore per esser stato spodestato dal suo trono di "ideologo""de sinistra". Andate, vi prego, a leggere la discussione sotto al post di quella persona che usurpa il titolo di economista, non avendo alcuna esperienza di ricerca né professionale in materia. È una discussione molto interessante, perché fa capire quanto er Melanzana (eletto da lui a nume tutelare) abbia inquinato il dibattito. Questo tipo di giochini screditano chi li conduce, e infatti l'unico gruppo che ha invitato il trullo whisperer a esprimersi in una sede parlamentare è stato, a mia memoria, il Movimento 5 Stelle (dopo di che, va da sé, io ho declinato analogo invito, perché non mi sembrava proprio il caso). Nessuno fra i decisori politici della sinistra prende più sul serio chi ha condotto sulla pelle degli italiani il gioco di "avercelo più a sinistra". Questo gioco ha fatto troppi morti.

Dove però si vede la scarsa consistenza del Fugazzi è proprio qui: nel fatto che mi attacchi, sulla base del presupposto che io non faccio abbastanza per la piccola impresa, citando le calunnie evidenti di un poveraccio per il quale il mio principale crimine sarebbe l'interclassismo, e che ha nel suo DNA lo sterminio dell'imprenditore in quanto nemico di classe visto come catarsi salvifica. Fugazzi, non so se te ne rendi conto (non credo, mi sembri abbastanza inconsapevole), ma non puoi ergerti a paladino della piccola impresa usando le parole di chi considera gli imprenditori come nemici, e più in generale di chi ha in mente un Keynes caricaturale, tutto spesa pubblica e cambio rigido, che non è quello che risulta da una lettura anche superficiale delle opere di Keynes.

Keynes era un liberale, non uno statalista cialtrone alla trullo whisperer ("famo gli investimenti pubblici che tutto s'aggiusta"... E la bilancia dei pagamenti?); Keynes era contro il cambio fisso, non lo difendeva come i complici (umanamente falliti) del progetto (politicamente fallito) che ci opprime; Keynes era quello del quale si parla qui, insomma.

Per questo motivo, caro Fugazzi, a me della tua buona o cattiva fede interessa meno di zero. Hai fatto, ahimè, la figura del pirla, e soprattutto di quello che non ha il senso delle proporzioni. L'addendum di oggi serve a chiarire che non hai chiare alcune dinamiche politiche. Cosa fare per la piccola e media impresa l'ho chiarito nel Tramonto dell'euro e ancor più in L'Italia può farcela. Gli imprenditori lo stanno capendo? Non direi. Peggio per loro. Se non vogliono sostenere l'unica voce autorevole ed ascoltata di critica al sistema, si troveranno senza voce quando il sistema crollerà. Se i vari Melanzana non si autodistruggeranno (cosa probabile, dato che nessuno ne può più di certi atteggiamenti), gli impenditori rischieranno di trovarsi così esposti al loro astratto furore classista, in un momento nel quale, come riconosce la parte migliore della sinistra (e quindi non il trullo whisperer), è indispensabile che prevalga il senso profondo dell'interesse nazionale e della sua tutela come presidio indispensabile per un esercizio concreto della normale dialettica democratica.

Lasciate l'internazionalismo a chi se lo può permettere, o perché è "nato bene", o perché è beato.

Noi dobbiamo ricostruire il nostro paese. Tu, purtroppo, caro Fugazzi, col tuo modus operandi ci hai dimostrato di non poterci aiutare. Ma sei stato ugualmente utile perché ci hai permesso di mettere in evidenza le tattiche di disinformatia usate da chi ha sostenuto un progetto nemico dei nostri interessi e della nostra democrazia.

Sed de hoc satis...

Fra un po' parleremo di un'altra categoria di imbecilli. Nel frattempo, scusatemi, ma ho altro da fare.

Ai seguaci (lettera pastorale sulle virtù teologali)

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Dilettissimi fratelli e sorelle,

mi ha appena chiamato er Pennellone, cui va l'indubbio merito di aver contribuito a rendere scorrevole e coerente er libbro, per dirmi che siamo alla seconda ristampa, cioè alla terza tiratura.

Vi esorto quindi ad aver fede: la speranza di avere er libbro non sarà frustrata. Sulla carità facciamo un discorso a parte, tanto lo capirebbe solo Marco S. (come Sanfedista), che (incidentalmente) io e er Pennellone ringraziamo per aver segnalato qualche lieve imprecisione, rettificata nelle ristampe. Chi non fa non falla, d'altra parte. E, come dice Renzo a don Abbondio, posso aver fallato... ma ho sempre fatto un mazzo così alla concorrenza (cioè ai don Abbondio)!

L'umile servo nella vigna del web 2.0.

Guru (testis fidelis et verus).





(Peccator videbit et irascetur...)

(ah, a proposito, er Pennellone è uno di voi, e da tempo. Ormai siamo una specie di massoneria deviata, o più che altro deviante, altro che le Ur-Lodges...)

Tacci SUA: la paggella (prima parte)

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Mi scuso se vi sto trascurando, ma in questi giorni sono alle prese, come tanti altri colleghi italiani, con la SUA-RD (scheda unica annuale della ricerca dipartimentale). All'atto pratico, significa che devo entrare in interfacce che il nostro nuovo amico Michele Boldrin definirebbe (a ragione) "fascio-borboniche" (io preferisco un più sobrio: "enigmatiche") per fornire agli organi del Ministero informazioni che per lo più hanno già (perché gliele ho fornite, come ogni collega, attraverso il sistema U-GOV). Tralascio il fatto che sicuramente esiste una legge della Repubblica che vieta all'amministrazione di chiedere informazioni che siano già in suo possesso: eventualmente, se ne avete conoscenza, potete indicarmela nei commenti). Lo scopo finale di questo bell'esercizio dovrebbe essere quello di attribuire i fondi di ricerca secondo il "merito" (more on this later). Intanto, mentre il mastino di servizio arrossisce ascoltando il profluvio di orrende bestemmie che sgorgano spontanee dalla mia bocca nel dovermi sottoporre a questo simpatico passatempo, mando un pensiero affettuoso ai colleghi che all'interno del mio dipartimento stanno coordinando il lavoro (rovinandosi le vacanze di Natale), segnalo di non essere il solo a nutrire qualche perplessità, e, però, come sempre, vedo anche il bicchiere mezzo pieno: ad esempio, analizzando puntigliosamente i criteri del Ministero, mi sono accorto di avere più pubblicazioni di quanto credessi. Meglio così. Altro bicchiere mezzo pieno? Da associato non posso dirigere un dipartimento, il che mi risparmia una quantità di rogne abissale, alle quali in questo periodo aggiungerei senz'altro quella di promuovere una lettera come quella dei colleghi della Sapienza.

Gli aspetti fastidiosi della vicenda sono tanti, ma qui ve ne sottopongo uno solo: il fatto che i criteri di valutazione della ricerca cambiano continuamente nello spazio e nel tempo.

Ad esempio, i peerla del "Bagnai non pubblica in fascia A" (fatto, fra l'altro) non sanno che questo tipo di classificazione è diventato operativo da un paio di anni, ed è già stato sottoposto a infinite polemiche (vedi ROARS, passim) e a un paio di revisioni (in due anni). I tempi di produzione di un articolo scientifico sono lunghissimi. In questo momento, ad esempio, ho in terza lettura presso una rivista che nel frattempo è diventata di fascia A un articolo sottoposto tre anni e 26 giorni or sono. Non c'è fretta, ovviamente... Poi mi chiedete perché mi incazzo quando salta fuori il cretino che dice che un economista è l'esperto che saprà domani perché quello che prevedeva ieri non è successo oggi! Quello che prevedevamo quattro anni fa in quell'articolo (che ovviamente è stato pensato e scritto prima di essere mandato alla rivista) nel frattempo è successo, ma noi passeremo per degli ottimi previsori del passato, visto che questi sono i tempi di produzione della ricerca (per chi sa cosa sia la ricerca).

Capite quindi bene che vista questa inerzia, sarebbe importante muoversi con un sistema di riferimento stabile. "Indirizzare" la propria ricerca è come pilotare una superpetroliera, non come guidare un motorino: magari è meglio avere un'idea della rotta, e sperare che nessuno ti tagli la strada.

Invece no.

Posso dare per scontato che quando vorrò far domanda da ordinario, le regole saranno cambiate nuovamente (cioè il mio ministro mi avrà tagliato la strada), e quindi devo sparare alla cieca. Mi conviene aspettare quattro anni un articolo ultrafichissimo, o scrivere dieci articoli medi, o battermene totalmente il belino?

Non è dato saperlo.

Io, dal mio punto di vista, trovo molto divertente che il Weltwirtschaftliches Arkiv, sul quale avevo pubblicato nel 1999, sia diventato di fascia A solo dall'anno successivo, e per il solo fatto di aver affiancato al nome tedesco anche quello inglese di Review of World Economics(mantenendo stessi editor, stesso editore, stesso comitato scientifico: insomma: la stessa stessissima identica rivista, come del resto vedete dal suo sito, che vi fornisce gli articoli dal 1970 a oggi senza alcuna soluzione di continuità). Mi sono sempre riproposto di vedere quanti amici degli amici abbiano pubblicato su quella rivista, la cui qualità è rimasta identica (e molto alta), prima e dopo la data fatidica. Sono sicuro che ci faremmo due risate, ma oggi non ho tempo.

Prima della recente invenzione della fascia A, che criteri aveva chi avesse voluto indirizzare la propria ricerca verso una parvenza di qualità? Ma, direi principalmente l'impact factor, un criterio bibliometrico rozzo, ma universalmente noto. Considerando che in economia le riviste migliori sono quelle nelle quali devi scrivere che la disoccupazione non esiste (perché è il lavoratore che ha scelto di avere più leisure), il fatto che la ricerca venga misurata con un criterio del cazzo mi sembra un problema minore. Di conseguenza, prima dell'ultima VQR (valutazione della qualità della ricerca), mi ero regolato appunto così: cercando di pubblicare su riviste che fossero "impattate" (magari poco), pur consentendo la pubblicazione di lavori "eterodossi" (cioè nei quali si ammetta che qualche volta chi non lavora preferirebbe farlo)!

Scelta sensata, e ovviamente, direte voi, premiata dal sistema meritocratico, giusto?

E come no! Infatti, andando a spulciare nelle interfacce fascio-borboniche, che ti trovo? La mia pagella della precedente tornata di valutazione, quella riferita al periodo 2004-2010 (per inciso: la valutazione della ricerca andrebbe fatta su cicli triennali, ma 2010 meno 2004 non fa sette nemmeno un un mondo nel quale, come per i colleghi di ROARS, 2+2=5; d'altra parte, mi spiegate che minchia di senso ha fare valutazioni triennali se una rivista di fascia A ci mette più di tre anni a dirti se il tuo articolo è buono o fa schifo?).

E allora guardiamola insieme questa pagella. In teoria posso guardarla solo io: nemmeno il mio direttore di dipartimento può sapere quello che c'è scritto, tant'è vero che poi il Dipartimento, per decidere se sono bravo e assegnarmi dei fondi, deve procedere adottando, nella sua autonomia statutaria, dei criteri ulteriori (che non sono né quelli coi quali viene valutata la ricerca, né quelli coi quali vengono valutati i candidati ai concorsi: sì, insomma, se vi viene in mente il labirinto degli specchi di un luna park state andando vicini a una rappresentazione corretta del mondo nel quale viviamo noi umili servi nella vigna della Ricerca...).

Have a look!


Er Bagnai aveva due prodotti buoni e uno accettabile. Ma, dettaglio che fa la delizia dell'intenditore, dei due prodotti buoni uno era non impattato (quello su International Economics and Economic Policy), mentre quello "accettabile" (su Applied Economics)era impattato (se pure poco: 0.424). Notate bene che questa valutazione ovviamente non si sa chi l'abbia emessa, né in base a quali criteri, né si sapeva se questi criteri sarebbero rimasti stabili nel tempo (anzi: si sapeva di no, e infatti sono cambiati). Il dato però è che regolandomi come a quel tempo pareva fosse giusto fare, sono rimasto penalizzato (idem nella definizione di fascia A, per i motivi di cui sopra, ma lasciamo perdere).

Ed ecco perché, nell'accingermi a completare la ricerca della SUA, mi viene spontaneo alle labbra un "tacci sua...". Dove "tacci", per chi fosse diversamente europeo, è aferesi di mortacci: un affettuoso pensiero per gli antenati di chi mi tiene inchiodato al PC a occuparmi di minchiate, mentre ho tre referaggi da fare e un referaggio al quale rispondere su un articolo al quale, fra l'altro, tengo parecchio.

Comunque, ho giurato sulla bandiera (io), quindi procedo con le minchiate.

Se ci fate caso, questo era un post tecnico...



(ah, ovviamente l'articolo su Applied Economics si occupava di economia post-keynesiana - e quindi non piaceva agli "omodossi" - e lo faceva per dire ai post-keynesiani che sono dei pirla - e quindi non piaceva ai post-keynesiani. Non è un complotto! Sono io che preferisco perdere un amico che una buona risposta...)

a/simmetrie vs. IMF: scenari a confronto

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(...sarebbe Davide contro Golia, e sapete come va a finire...)

Dunque: come vi dicevo, la SUA è una bella rottura di scatole, ma non è solo per questo che vi sto trascurando. Ho dovuto correggere le bozze di alcuni paper ritenuti trascurabili da ordinari del settore ORTO-S/01 (ma stranamente non da riviste internazionali), ho dovuto presentare al Dipartimento, che oggi ha espresso parere favorevole, la proposta di cofinanziare un assegno di ricerca tramite a/simmetrie, ho dovuto contattare altri sponsor (per trovare i soldi da dare al Dipartimento), ho dovuto referare paper, ho dovuto tenere il primo appello di esami, ecc. Tante cosette. Fra queste, naturalmente, sto mandando avanti il lavoro col modello, che non è semplicissimo, ma ci sta dando soddisfazioni. Mi dovete scusare se non vi sto facendo vedere molto. Rimedio a partire da oggi: soci e principali stakeholders (avete presente quei politici che "sorprendentemente" stanno prendendo posizione contro l'euro? Ecco, ad esempio quelli...) sono stati avvertiti con un minimo di anticipo: ma quelli che pagano siete voi, e io non sono, come certi personaggi in cerca di editore, uno che pensa che siccome è dalla parte del giusto, degli altri può fottersene, per cui "passata la festa, gabbato lo santo"!

Se pagate, avete diritto di divertirvi, e se pagate la ricerca, avete diritto di consultarne (e di comprenderne, e di criticarne) i risultati.

Vi segnalo quindi che la prima versione del modello di a/simmetrie è online. Il paper è molto lungo, perché da pag. 48 inizia un delirio di appendici tecniche, inclusi gli output originali delle stime (qualcosa di cui di solito ci si vergogna, il che rende i paper più corti, ma le simulazioni meno affidabili). Anche le prime 48 pagine sono piuttosto tecniche, e provvederò durante le vacanze a guidarvi alla lettura passo passo (alcune cose le abbiamo già viste insieme in questo blog, altre necessitano di un po' di post "tecnici", di quelli che piacciono a voi, per essere inquadrate bene). Il paper (e il suo gemello, che sarà online fra pochi giorni) rispondono di fatto alle interessanti osservazioni di Boltho e Lippi (in parte riassunte qui). Quando avremo finito di parlarne vi renderete ancor meglio conto di quanto sia utile confontarsi con chi non la pensa come noi.

Intanto, volevo commentare con voi la notizia del giorno (lasciamo perdere la Russia, di quello magari vi parlo domani, e lì il lavoro "tecnico"è stato in gran parte già fatto - e quello "politico" era tutto nel Tramonto dell'euro - per cui ci vorrà poco a capirsi).

La notizia del giorno (almeno per me) è che il CSC (Centro Studi Confindustria) ha tagliato le stime di crescita per il 2014 a -0.5%. Deve essere interessante lavorare al CSC. Io però non credo che ci riuscirei: detesto il telefono. Voi direte: "Che c'entra?". Eh, c'entra, c'entra... Io mi immagino la scena...

....mirefa sol, dosire mi, sila do mi laaaa...

"Pronto, chi parla?"

"Sono Squinzi"

"Dica, dottore, cosa dobbiamo prevedere oggi?"

"Sentite, l'OCSE ci dà a -0.4 almeno da novembre, e lo sappiamo tutti che andrà peggio: per favore, tirate giù la previsione, che mi servite "credibili". Voglio -0.5%".

"Sarà fatto, dottore, non dubiti...".

Io dico, va bene non usare l'econometria, ma almeno cambiare la suoneria...

E allora, per allietarvi (si fa per dire) la serata, vi anticipo un'estratto del prossimo paper, che usa il modello descritto nel paper che vi ho citato sopra per costruire uno scenario al 2019 (a cinque anni, come l'IMF). Lo scenario è costruito prendendo per buone le previsioni IMF di ottobre (oggi le rivedrebbero al ribasso anche loro) sulle principali variabili esogene, ovvero, in particolare, su crescita e inflazione dei nostri partner commerciali, e lasciando le altre variabili sulle tendenze storiche. Insomma: uno scenario "neutro", a politiche invariate (euro compreso), che recepisce il quadro macroeconomico dell'IMF. Una sintesi è qui:


Ecco, diciamo che utilizzando le stesse ipotesi dell'IMF noi arriviamo circa il nostro futuro a conclusioni leggermente diverse dalle sue (e da quelle delle centraliniste del CSC). Intanto, secondo noi l'anno si chiuderà verosimilmente con la variazione del Pil sotto a -0.5% su base annua. La disoccupazione sarà verosimilmente superiore al 13%. Ma è soprattutto interessante vedere cosa succederà dopo. Le simulazioni del nostro modello, nello scenario neutro, prevedono:

1) che la crescita resterà inferiore a quella pronosticata dall'IMF: al loro 0.85% nel 2015 si contrappone uno 0.6%, ma attenzione: questa nonè ancora una nostra previsione in senso stretto: è solo quello che risulta mettendo nel nostro modello le loro previsioni circa il resto del mondo. Per me, se l'anno prossimo saremo sopra lo 0% di crescita, sarà veramente andata di lusso. Questa mia sensazione cercherò di confermarla o smentirla nei prossimi giorni dando come input al modello valori più plausibili delle variabili internazionali (che tengano conto, ad esempio, del crollo del mercato BRIC per i nostri esportatori, in seguito ai noti eventi);

2) anche nel quadro roseo di una crescita positiva, la disoccupazione continuerà ad aumentare, raggiungendo il 15% in cinque anni;

3) il governo non riuscità comunque a osservare l'obbligo del 3%, e questo perché nei due prossimi anni il modello prevede un'inflazione sostanzialmente nulla (più esattamente: un -0.1% di crescita dei prezzi al consumo, quindi una conclamata deflazione), con tutto quel che ne consegue: crescita nominale trascurabile (inferiore a quella reale) e esplosione dei rapporti al Pil;

4) e quindi, ciliegina sulla torta, se tutto resta così fra cinque anni ci troveremo con rapporto debito pubblico/Pil al 150%. Il grande capolavoro del risanatore Monti, come voi ormai avrete ben capito.

Bene.

Tenete presente che questo scenario per me è relativamente ottimistico (per i motivi che vi ho detto sopra). In effetti, lo sto usando solo come benchmark, come pietra di paragone, per valutare scenari alternativi (quelli visti a Pescara, che sto integrando con le osservazioni di Boltho e Lippi). Una previsione attendibile richiede ancora un po' di lavoro sulle variabili di scenario, lavoro che non stiamo facendo adesso perché stiamo chiudendo un altro paper sulla benzina (e io da solo anhe un altro su vincolo esterno e declino italiano). Ma pur essendo simulazioni basate su ipotesi (altrui) relativamente rozze, sarà divertente vedere se la mira di Davide sarà stata migliore di quella di Golia. Io un'idea ce l'avrei. Il tempo è galantuomo. Chissà se l'anno prossimo avremo ancora i soldi per i popcorn?

a/simmetrie vs IMF: mi piace vincere facile!

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Un amico su Twitter mi ha suggerito di farvi vedere una cosa: lo scarto fra previsioni IMF e realtà negli ultimi sette anni. Lui ha fatto il lavoro per la Grecia, e io lo faccio per l'Italia. Ci metto anche il futuro, visto che ora, grazie a voi (e a loro), ho anche una palla di vetro (il modello di a/simmetrie): alle altre due ci aveva pensato mamma...

Utilizzo le previsioni contenute negli scenari World Economic Outlook del secondo semestre, emessi a ottobre per i cinque anni successivi (cioè più o meno alla data in cui abbiamo utilizzato il nostro modello per fare le nostre previsioni). Notate che nel 2007 lo scenario pubblicato era a un anno. Notate anche che utilizzo i tassi di crescita previsti e li applico al valore storico consolidato dell'anno in cui la previsione è stata emessa. Questo perché nel momento in cui la previsione viene emessa il dato dell'anno in corso ovviamente non è ancora disponibile. Per lo stesso motivo, nell'ultimo scenario abbiamo considerato sei, anziché cinque tassi di crescita, ovvero ci siamo ancorati (per le previsioni 2014) all'ultimo dato disponibile (quello del 2013) estrapolando fino al 2019 con i tassi previsti dal FMI, e con quelli previsti dal nostro modello.

I risultati sono, come dire, eloquenti:



Pare evidente che le centraliniste del FMI, come quelle della Confindustria, attacchino all'ultimo dato disponibile sempre la stessa spezzata. Non deve essere un lavoro difficile: un babbuino con un righello potrebbe fare di meglio. La conseguenza è che sbagliano sempre (ma questo va anche bene: ogni previsione è necessariamente errata...), e che però sbagliano praticamente sempre nello stesso modo. Su nove scenari considerati, sette peccano di ottimismo, uno solo di pessimismo (perché nel 2010 pensavano che avremmo fatto peggio) e uno non si sa, perché manca ancora il dato definitivo di quest'anno.

Quanto al nostro scenario, se dovesse andare più vicino alla realtà del loro, non sarebbe una grande sorpresa: ci vuole veramente molto poco. Io credo che pecchi di ottimismo, per i motivi che vi ho spiegato nel post precedente (sostanzialmente, perché è basato su quadro macroeconomico internazionale emesso da quegli inguaribili ottimisti del FMI: ma se il resto del mondo crescerà meno di quanto credano loro, lo stesso accadrà a noi). La cosa interessante, dal mio punto di vista, è che nonostante noi e loro ci basiamo sulle stesse "esogene" (cioè sulle stesse previsioni di crescita e inflazione nel resto del mondo) loro ottengono risultati moooooolto più rosei dei nostri. Questo è ovvio, perché i nostri modelli sono diversi, ed è quindi normale che estrapolino scenari diversi. Ma la domanda da farsi è: quanto è "ritoccata" la previsione del loro modello? Dopo trent'anni passati a lavorare sui dati, io so che il dato la sua storia vuole raccontartela, e che questa storia contiene molte, ma molte informazioni su come andranno a finire le cose. Quando il previsore toppa sistematicamente è perché non ha ascoltato il dato, o meglio, perché lo ha ascoltato, poi ha risposto al telefono e ha fatto un bel ritocchino (tecnicamente si chiamano "add factor", in italiano le chiamiamo "zeppe").

Ci siamo capiti.

Ora, sta a voi far capire al resto del mondo, inclusi eventuali imprenditori non ottusi (che suppongo siano una maggioranza silenziosa), l'importanza di avere un centro studi che non dipenda né da Squinzi né da Obama, per capire bene cosa ci sta succedendo e prepararsi a quello che ci accadrà...



(torno a studiare: stasera alle 19:30 Vivaldi alla chiesa di S. Maria Regina Pacis con la Cappella Ludovicea...)

La dedica al prof. Santarelli

Asimmetrie e benzina

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Un quick post su Facebook (qui non lo copio, ma tornerò poi sull'argomento per vedere quanto il modello spieghi quello che sta succedendo oggi). Non è la versione presentata a Energy Policy e nemmeno quella accettata (quella ovviamente non possiamo pubblicarla, il preprint credo di sì, poi controllo e lo metto). Come potrete vedere, la risposta del prezzo della benzina alle componenti di costo è asimmetrica, ma l'asimmetria non è esattamente quella che immaginate voi: in particolare, nel caso del prezzo del petrolio è negativa: esattamente il contrario di quello che pensate voi (che siete beati, ma non perché timorati di Dio).

Nella versione definitiva abbiamo considerato anche l'isteresi, che non è quella di Scacciasestesso: quella è isteria. Deve essere una cosa terribile avere un utero senza avere una vagina. Ad esempio, come fai quando hai le mestruazioni? Del resto, anche avere un pisellino senza avere le palline produce i suoi danni: perché devo essere sempre e solo io a dire che il re è nudo? Quando avrò il piacere di essere affiancato in questo necessario lavoro da qualche riverito collega?

Un bel dì vedremo levarsi un fil di fumo...  (alla latitudine 41.85122 e longitudine 12.6269).

Nel frattempo date un'occhiata al paper, se ve la sentite. I tecnici godranno, i non tecnici aspetteranno.

Seguirà post più diffuso e discorsivo.

Una pacata risposta

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Ricevo sbalordito dallo Sbilifesto questa lettera:


Newsletter n.382 - 23 dicembre 2014

"La ripresa greca? Un'invenzione"

“La crescita greca è un’invenzione, il paese è in piena Grande Depressione, e tutto questo perché si è scelto di salvare le banche a spese dei cittadini. Ma ora, con Tsipras, il paese è pronto a cambiare rotta. E a far cambiare rotta all’Europa”. Intervista a Yanis Varoufakis, economista molto vicino a Syriza di Thomas Fazi


alla quale pacatamente replico:

La domanda è una sola: ma come cazzo vi viene in mente di scrivermi? Volete un'altra mano di asfalto? Anche lo spot a quel traditore di Tsipras? Ma quanto volete cadere in basso?
Sentite, facciamo così: voi toglietemi dalla lista, e io vi lascio perdere.

Su unsubscribe cliccateci voi, che vi conviene.



L'ho detto su Twitter, e lo ripeto qui. Non sperate nel pas d'ennemis à gauche. Ho scritto due libri per dimostrare ai lavoratori italiani che il loro principale nemico è stata la sinistra degli inutili intelligenti (definizione di Massimo Rocca).

Quando tutto questo sarà finito, qualcuno chiederà il conto.

Se oggi il mio libro viene recensito (onestamente) da lavoce.info e non dallo sbilifesto non è perché io sia bocconiano, ma perché lo sbilifesto è fascista. Sì, fascista: ho scritto due libri per dimostrare che l'ideologia dell'euro è il nuovo fascismo, non starò certo qui a tornare su tutto il ragionamento. Del resto, pensare che Tsipras voglia far cambiare verso (anzi: rotta, ma il concetto, come vedete, è il medesimo) all'Europa significa essere qualcosa di più che ottusamente ideologici, che patologicamente ciechi.

Significa difendere un regime fascista.

Servono altre prove?

Allora, cari "compagni", voi avete perso il treno, e come tutti quelli che lo hanno perso, da Tigellone alla Fraiola, state lì a ragliare le vostre abominevoli menzogne. Però io ve lo dico da non violento, da persona che ha sacrificato salute e carriera per scongiurare l'inaudita esplosione di violenza che minaccia tutti: sarebbe il caso che chiedeste scusa per aver soffocato il dibattito, e che il verso (o la rotta) la cambiaste voi.

Chi continua a mischiare le carte in tavola, come voi state facendo, è semplicemente nemico aperto e dichiarato della democrazia. Come andranno a finire le cose non lo sa nessuno, ma c'è una probabilità non nulla che finiscano in un modo in cui chi è stato nemico della democrazia sia costretto a giustificarsi.

Dire "io non sapevo" non basterà, non farà molta impressione, e chi ci ha provato sapete come è finito. Non vi auguro di finire come lui, ma vi auguro di finirla.




(la stessa cosa auguro alla Fraiola, poverella, che in preda alla sindrome dell'amante tradita continua a delirare nel suo blogghetto che nessuno legge.Bucce d'uomini che passano la vita a lurkarmi, dopo essere state cortesemente messe alla porta per manifesta inadeguatezza, e alle quali non sfugge nulla di quello che dico, tranne alcuni dettagli, tipo questo o questo! Capite chi sono i nemici della democrazia in questo momento? Quelli che, come lo sbilifesto, si son fatti un vanto di soffocare il dibattito, e quelli che, come la Fraiola, si sono rifiutati di aiutare l'unico progetto serio, credibile e riuscito di divulgazione, in nome di loro paturnie politiche (alle quali una vita di fallimenti politici e non solo li avrebbe dovuti consigliare di rinunciare), e ora, una volta tolti di mezzo, lavorano h24 per gettare discredito su chi ha portato il dibattito all'attenzione dei grandi media ed è riuscito a imporre la propria voce come credibile perfino sull'organo della Bocconi. C'è più apertura di spirito a via Sarfatti che nella redazione dello Sbilifesto, e questo lo si sapeva. Quello che sfugge è che io potrei anche, com'è ovvio, trascurare e dimenticare i ragli dei tanti asini che sono stati distanziati dal destriero, e probabilmente lo farò.

Probabilmente.

Ora investigheremo la risk aversion dei somari. Alcuni ne sono pericolosamente sprovvisti.

Capite perché insito e sempre insisterò su questo concetto: "uniti si vince"è una scemenza!? 

Io mi sarei dovuto unire a persone della pochezza umana che vi ho appena documentato? A voi sembra che raccattarsi tutta la melma ortottersovranistmemmettarauritiana sarebbe stato un progetto lungimirante? Avrebbe portato prima il tema dell'euro in televisione, sui giornali, sulle riviste scientifiche? Avrebbe reso più difficile il lavoro degli spin doctor da quattro soldi come Barbera?

Sicuri sicuri?

Io invece penso esattamente il contrario.

Chi siano certe persone lo si vede da distanza e sulla distanza. Dopo averli allontanati e aver fatto passare un po' di tempo si può capire chi fossero. Tigellone e la Fraiola volevano qualcosa, è evidente. Non potevano che perdere contro uno che non vuole niente. Ma non avevano lo spessore per capirlo. Quello intellettuale ed etico, che su quello fisico, almeno in un caso, dubbi non ce ne sono...)


(sed de hoc satis, ma vedete come sono generoso con gli amici? Gli regalo qualche click, del quale hanno tanto bisogno. D'altra parte è anche importante che capiate cos'è la mia vita, da quali e quante persone vengo tradito e attaccato e per quali motivi. Sì, una mosca può essere più fastidiosa ed è certamente più offensiva, ma vedete, non importa se sia un grammo o un quintale: chiunque, inquinando il dibattito, tolga democrazia a questo paese, che già ne ha così poca si macchia di una colpa che sarà difficile sanare in nome del "volemose bbene", del "ma eravamo tutti dalla stessa parte". Dalla stessa parte de che!? Per quanto ne so io, dalla mia parte siamo in due: io e Vladimiro. Se mi son dimenticato qualcuno, scrivetelo qua sotto che gli chiedo scusa. Gli altri sono folclore se va bene e fetecchie se va male. Come vi ho dimostrato, ci sono anche le combinazioni convesse: le fetecchie folcloristiche...)

(...sarebbe bastato così poco a capire chi andava aiutato...)

De benza italica, la versione finale

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Vi ricordate quello strano personaggio che si arrogava il diritto di giudicare, dall'alto delle sue competenze, la qualità della ricerca che stavamo conducendo ad a/simmetrie?




Non era valso a nulla esortare questo supercilioso commissario (autoeletto) dell'ANVUR e il suo degno compare a rientrare nell'alveo delle loro pur rispettabili competenze (?), che non sono quelle di valutare la ricerca scientifica, e direi (dati i risultati) nemmeno quelle di condurre una valida azione di influenza sull'opinione pubblica...

Quanta hybris...

Be', insomma, scostata certa gente, dopo le elezioni (prima non si sarebbe potuto per ovvi motivi di opportunità), siamo andati avanti a lavorare. Per il mio compleanno (il 10) mi sono regalato l'acceptance letter, e oggi, la vigilia, mi regalo, alla faccia degli espertoni del bar Twitter, la pubblicazione del benza paper sulla rivista leader mondiale in materia, 34° per impact nel settore Economics (perfino sopra l'Economic Journal e a un'incollatura dalla Review of Economics and Statistics), e prima assoluta fra le riviste di economia dell'energia:


Sarà contenta l'ANVUR. E così abbiamo cominciato a sistemare quelli che "Bagnai non pubblica in fascia A"! (tipo questo scappato di casa qui, che non querelo solo perché è il nulla umano, etico e scientifico).

Dico... ma li avete visti in faccia?

Se ce la fanno loro a pubblicare in fascia A, i vari A&G (per non parlare di quell'altro che dava le pagelline, e che da qualche anno però batte la fiacca), perché non potrei farcela io, che comunque faccio tante altre cose? Potreste tranquillamente farcela anche voi, con un po' di pazienza!

Viceversa, se lo desiderano possono provarci loro a scrivere due best seller in tre anni. Vediamo come va (con tutto che dietro hanno più appoggi di me)! A Zingy, mi par di ricordare, non andò benissimo... Quindi, se il problema era giocare a chi ce l'ha più lungo, tranquilli: problema risolto (ci sono altre cosine in cantiere), e, come sempre, risolto combattendo con le armi scelte dall'avversario!

Certo, Donald, Cip e Ciop, i sopranisti, gli ortotteri, insomma, tutto quel bestiario che ci accompagnò all'inizio della nostra avventura, e che ora vediamo piccino piccino (cioè com'è), mentre noi guardiamo ai nostri prossimi obiettivi, non potrebbero raggiungere certi risultati. Qui, vedete, il problema non è di laudarsi o di lanciare invettive su chi è già stato maltrattato da madre Natura fuori e soprattutto dentro. Qui il problema è di capire su quale cavallo puntare per vincere questa corsa, a meno che, beninteso, non siate dei perdenti compulsivi come la simpatica Fraiola (altra membra di questa bella d'erbe famiglia e d'animali... ne è passato del tempo...).

Ribadisco il concetto: se oggi, dopo tre anni di lavoro, vengo recensito da lavoce.info, che ha decisamente cambiato atteggiamento, questo dipende anche dal fatto che sono un economista. Una cosa che mancava a tutti (nessuno escluso) gli altri sconclusionati avventurieri che si sono arrischiati in questo dibattito. E naturalmente dipende anche dal fatto che non sono solo un economista, cosa che mancava agli economisti che hanno censurato il dibattito (o almeno ci hanno provato)...

Mi direte che c'è chi per aver detto lievi imprecisioniha ricevuto ricompense più importanti di quelle che sto ricevendo io per aver detto la verità?

Ma cosa ne sapete voi?

La mia prima ricompensa è il non voler niente, e la seconda è avere il vostro affetto e la vostra vicinanza. Queste ce le ho io, e solo io, e solo io so quello che valgono per me.

La ricerca non si fa da sola: richiede tempo e soldi. Senza il vostro sostegno ad asimmetrie (e quello della Nando Peretti Foundation, che ha cofinanziato l'assegno di ricerca di Christian), questa pubblicazione non sarebbe stata possibile. Christian probabilmente sarebbe all'estero, e io mi starei occupando alla bell'e meglio della quotidianità, senza poter impostare un progetto serio. In meno di un anno abbiamo due lavori pubblicati, un modello che ci sta facendo capire molto e che diventerà un punto di riferimento autorevole nel dibattito, e tutto questo grazie a voi.

Naturalmente laggiù, in fondo alla sentina, qualcuno raglierà "ma son solo chiacchiere, ma è solo teoria, ma il gesto eclatante...". Perché di tempo pare ne sia passato così tanto. Invece tre anni sono ieri, ma molti di voi già non si ricordano più quale fosse il clima tre anni fa. La differenza l'hanno fatta Claudio Borghi, questo blog, asimmetrie e i miei due libri. Il resto è parva materia. Le associazioni "refugium peccatorum"! Il gesto eclatante! Sfoderare la durlindana è un gesto eclatante, indubbiamente! Quale impatto ha avuto? Ecco, per favore, ragionate. Qui si tratta di dare proposte credibili e documentate, di rispondere alla domanda "che fare?", ma di rispondere non su Twitter (dove blocco per molto meno), ma in luoghi e a persone che mai mi sarei immaginato di dover frequentare. Il presupposto perché le proposte potessero e possano essere considerate credibili era dare dignità scientifica al dibattito. Asimmetrie ci è riuscita, grazie a voi, e grazie a

IO
Ah, non vi piacciono i narcisisti?

E allora tenetevi i perdenti. Una via di mezzo non c'è, perché non stiamo giocando a bridge...

Al concetto di "unire le forze" suggerisco di sostituire quello di "concentrare le forze". Sarebbe ben strano quell'uomo che dovendo forare una parete e disponendo di un trapano, invece di inserire la spina nella presa si desse da fare in giro a raccogliere pagliuzze, perché certo, centomila pagliuzze posso abbattere un muro (se le comprimi in una balla sufficientemente densa, beninteso). Ma il problema è forarlo, il muro di gomma, e forarlo in fretta. Quale sia la punta ormai lo sapete (sta scritto sopra, è una parola di due lettere). Non lo sa chi non lo vuole sapere (e di quelli abbiamo i nomi). Il 2015 sarà un anno lunghissimo. Avremo bisogno di tutte le nostre forze. Lasciamo i perdenti alla loro sconfitta e non molliamo. Mille asini non corrono più di un purosangue, anche di uno un po' bastardo come me.

Buon Natale.



(domani vi regalo er post tecnico, lo trovate sotto l'albero...)

Il moltiplicatore del modello di a/simmetrie (KPD5)

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(e come promesso su Twitter, mentre la mia Cosette scarta la sua ennesima bambola - non ci sono più le Thénardier di una volta - voi potete scartare er post tecnico. Ma proprio tecnico, eh! Come dice Frescobaldi, non senza fatica si giunge al fine. Ma chi ci giunge, per ricompensa, sarà più incazzato di prima...)



Chiuso il discorso del benza paper (ma poi ci torniamo, perché da quando abbiamo stimato l'equazione son cambiate tantissime cose, e sono curioso di vedere quale dei vari modelli approssima meglio l'andamento effettivo dei prezzi da maggio a oggi), pubblichiamo un nuovo post della serie KPD (Keynesianesimo per le dame), tornando a parlare del moltiplicatore keynesiano, questo sconosciuto...

Lo faccio per tre motivi:

1) perché volete “er post tecnico” per sentirvi tanto intelligenti;

(è il vostro lato piddino, non ho difficoltà ad assecondarlo)


2) perché devo cominciare a rispondere alle costruttive osservazioni di Lippi sulle proprietà del modello (poi risponderò a Boltho, è un amico e non si offenderà se lo tengo ancora un momento in coda). Ora, Lippi ha fatto delle domande delle quali certamente può capire la risposta (fosse sempre così)! Purtroppo, affinché almeno alcuni di voi siano in grado di comprendere domanda e risposta c’è un pochino di lavoro da fare...

(alla faccia di quelli che “devi chiudere il blog tanto ormai hai già detto tutto”! No, le cose non stanno così: io non ho nemmeno sfiorato la punta dell’iceberg: voi credete di aver capito tutto, perché siete beati, ma da capire c’è ancora molto e quello di oggi è un tassello importante del da farsi);


3) perché devo farvi vedere come i risultati di tanti studi sbandierati sui media siano autentiche scoperte dell’acqua calda, che scaturiscono banalmente dalle proprietà matematiche del modello di riferimento comunemente accettato dagli economisti di qualsiasi forma e colore

(roba che insegnavo ai miei studenti di econometria come Jere (finché ce n’erano) perché l’avevo imparata dal mio maestro Carlucci - per il quale, in segno di riconoscenza, sto preparando il cinghiale nel tegame di rame della mi’ nonna hoc facite in meam commemorationem).


Come alla bottega del Verrocchio si imparava a dipingere un angelo, così alla bottega di Carlucci si imparava come funzionasse un moltiplicatore. Ma certo, a quei tempi non si doveva riempire la (tacci) SUA...


Questo post si basa sul lavoro (sì, lavoro) svolto in quattro post precedenti, che quindi esorto i nuovi venuti e gli smemorati a rileggersi:


1) quello che esponeva la semplice aritmetica del moltiplicatore per evidenziare il carattere dilettantesco (o luciferino?) delle proposte “appelliste” (“austerità brutta e cattiva, teniamoci l’euro ma cambiamo politica”);


2) quello che ricordava un elementare fatto stilizzato della macroeconomia, ovvero che l’elasticità al reddito delle importazioni è mediamente intorno a due;

(una conferma la trovate nella prima colonna della Table 3 del paper sul modello di a/simmetrie, dove il prezioso Christian ha fatto una rassegna della letteratura; è una delle tante perle – con una “e” sola – del paper, che sicuramente sfuggirebbero a una lettura non guidata: ma vi guido io)


3) quello su Marshall-Lerner, dove definivo propensione marginale ed elasticità, delle quali oggi avremo bisogno;

(il post su Marshall-Lerner andrebbe buono anche per parlare di Russia, ma lasciamo che oggi ne parlino Tigellone e la sua corte dei miracoli, che io quello che c’era da dire l’ho pubblicato nel 2012);


4) quello che spiegava come nella modellizzazione economica tornino piuttosto comode e naturali forme non lineari di tipo logaritmico, semplicemente perché queste esprimono il fatto che in economia le proporzioni contano più delle dimensioni 

(una perdita di 1000 euro per me è ‘na traggedia, per Guglielmo Cancelli un dato assolutamente trascurabile...)

(il riepilogo del percorso servirà a farvi apprezzare quale knowledge base sia questo blog, alla faccia dei poveri imbecilli del “basta un tweet, a che serve un blog”...)


Dato che qui si andrà veramente sul tecnico, vi dico prima, in parole più o meno semplici, quale sarà il percorso, così gli esperti capiranno subito dove voglio arrivare e faranno a meno di leggersi le banalità che seguono, e i non esperti, se giunti alla fine torneranno qui e riusciranno a capire quello che dico in sintesi, si sentiranno esperti, e in parte avranno ragione (e certamente lo saranno più di qualsiasi economista da talk show, ma non di qualsiasi economista della bottega del Verrocchio). Per descrivervi il percorso parto dall’osservazione di Lippi alla quale fornisco due risposte: una che capiranno solo gli economisti, e una che descrive quanto voglio fare per farla capire a voi.

Poi comincerà il percorso.

Ars longa, vita brevis, ma i post tecnici li volete voi...

L’osservazione di Lippi
L’osservazione di Lippi era: il moltiplicatore è troppo alto (vicino a due) e in più diverge, il che dovrebbe mettere in guardia sulle proprietà del modello (che potrebbe essere dinamicamente instabile).

 (questa è la slide con le sue osservazioni, la discussione, se vi interessa, è sul nostro canale Youtube).


La risposta per Lippi (astenersi dilettanti)
Preoccupazione fondata, ma il problema non sussiste.

Come illustro nella versione definitiva del paper, il moltiplicatore del modello è attorno a 1.5, quindi conforme alla letteratura scientifica più recente. La “spike” che si vede a fine simulazione e che ti ha messo (giustamente) in allarme dipende da un fatto tecnico. Nel paper i moltiplicatori sono calcolati con simulazione dinamica ex post a partire dal 2004. Ora, com’è noto, nel 2009 è successo un discreto casino. Il “salto” del moltiplicatore è semplicemente il risultato del salto verso il basso dell’Italia e della non linearità del modello. In un modello a elasticità costanti (come sono tutti i modelli macro per i noti motivi) le propensioni marginali, dalle quali dipende il moltiplicatore, variano al variare del Pil, il che fa sì, banalmente, che in recessione i moltiplicatori siano più grandi (precisazione: la funzione del consumo di lungo periodo è omogenea lineare nel mio come in altri modelli, per cui l'elasticità è unitaria e le propensioni marginale e media coincidono e non cambiano al variare del livello del Pil; questo però non vale per le altre propensioni, in particolare quella all’importazione...). Come spiego sotto ai miei lettori, questo risultato, sbandierato ultimamente come una brillante scoperta scientifica a botte di SVAR su NBER, è una ultrabanale conseguenza delle proprietà matematiche di un modello standard.

L’errore (espositivo) mio è stato quello di presentare i moltiplicatori calcolati con simulazione ex post rispetto a una baseline storica. Se li calcoli rispetto a una baseline “ex ante” sufficientemente “smooth” (costruita come da prassi estrapolando le esogene secondo le loro tendenze storiche, ad esempio), i moltiplicatori vengono belli “smooth” anche loro, e convergono attorno a 1.5 (più o meno, a seconda della voce di spesa che vai ad alterare). Il fatto è che in vita mia mi ero sempre regolato così, e tutti si regolavano così, per il semplice motivo che non mi ero mai trovato (non ci eravamo mai trovati) nel campione di stima uno shock di dimensioni tali da evidenziare la non linearità del modello, come quello determinato dall’ultima recessione. La conseguenza era che in tanti studi precedenti, miei o altrui, i moltiplicatori calcolati ex post rispetto alla baseline storica erano sufficientemente “smooth” perché in simulazione endogene ed esogene seguivano sentieri di sviluppo ragionevolmente regolari.

La sintesi però è che ti posso rassicurare: il modello di a/simmetrie non solo ha un moltiplicatore di dimensioni “vidimate” dalla ricerca recente, ma questo moltiplicatore ha anche proprietà che a me sembrano banali, ma che NBER ritiene di dover pubblicare! Questo però fa parte dell’antropologia.

E che vuoi di più dalla vita?

Sottolineo ancora una volta (per i laici) che sei stato molto disponibile a commentare un lavoro così preliminare, e che se il lavoro era troppo preliminare la colpa era mia (avevo sottostimato gli impicci che mi avrebbe procurato l’ultimo best seller!). Se avessi esposto meglio i risultati non avremmo discusso di queste banalità. D’altra parte, la mia militanza divulgativa rende interessanti anche queste divagazioni.

La risposta per gli altri
Se non avete capito, ci sono due possibilità: la prima è andare su Twitter e interpellare Tigellone, che vi dirà che queste cose me le ha insegnate lui (ma semplicemente perché vorrebbe magnasse lui er cinghiale che invece tocca a Carlucci); la seconda è seguirmi nel mio ragionamento, che si riaggancia al percorso fatto in questo blog, che è un blog dove si studia o si resta beati.

Il percorso è in due passi:

1) finora vi ho fatto vedere solo la formula del moltiplicatore in economia chiusa (cioè senza commercio estero), perché è l’unica che conoscono Becchetti, Piga e la CGIL (per non far nomi), altrimenti non proporrebbero referendum pro-troika (fortunatamente falliti). In economia aperta la dimensione del moltiplicatore dipende anche dalle importazioni e per farmi capire bene devo esplicitare questa dipendenza;

2) in post precedenti vi ho motivato il fatto che in economia i comportamenti aggregati sono descritti meglio da funzioni di tipo logaritmico, ma non vi ho ancora esplicitato la conseguenza di questa non linearità sulla struttura del moltiplicatore.

Dal primo fatto consegue che le dimensioni del moltiplicatore in economia aperta diminuiscono (vedremo poi perché), e quindi che chi addita come risolutiva la lotta all’“autteità butta attiva” sta usando un’arma relativamente spuntata (e ignora il rischio in termini di vincolo esterno).

Il secondo fatto (non linearità) ha due conseguenze:

a) il moltiplicatore non può essere più ricavato in termini algebrici, come avevamo fatto qui, ma occorre calcolarlo con metodi numerici (con simulazioni, appunto);

b) le sue dimensioni variano a seconda del valore delle variabili, e quindi, in un modello empirico, del momento storico nel quale il moltiplicatore viene calcolato (esattamente come la derivata di una funzione non lineare nonè necessariamente identica in ogni punto, mentre quella di una retta sì – questo era per gli ingienggngneri).

(...sempre a beneficio degli ingienggngneri - così capiscono subito e vanno a fare altro: vi ricordate com’è fatto il grafico della funzione logaritmica? Derivata? 1/x, bravi! Ecco perché quando x è grande, il suo impatto su ln(x) è piccolo. ASAT - as simple as that - ma non ditelo a un economista...)

Siete pronti? Non ci avete capito niente? Ma come! Avevate capito tutto! Eh, la vita è fatta così. Proprio quando stai per chiederle di sposarti, la trovi a letto col tuo migliore amico...


Pensavi di aver capito tutto, e invece: sorpresa!

Consoliamoci con un po’ di matematica.

(Certo, per gli intellettuali da quattro soldi che girano oggi sui social, per gli spin doctor dozzinali che ci hanno venduto per decenni l’euro come un dogma, e che ora, per gettare fumo negli occhi ai gonzi, ci additano come persone offuscate dalle proprie certezze ideologiche, per questi individui infimi che fanno di una esornativa esaltazione del dubbio metodologico l’arma del più vile dei fascismi, quello dell’opinione, va da sé, per questa ciurma di collaborazionisti traditori, ai quali qualcuno un giorno chiederà il conto (e se non lo farà un tribunale italiano lo farà il ragioniere di ultima istanza, l’Altissimo), per questi elminti, può anche darsi che la derivata della funzione logaritmica sia una mia opinione.


Sapete, è un problema di tassonomia. Io gioco un po’ con gli ingienggngneri, che sanno di sapere molto più di quanto sappiano, ma è un fatto che essi sono fra i migliori amici dell’uomo: rientrano almeno nei mammiferi. Ma i laureati in scienze politiche, quelli, stanno da qualche parte fra l’anfiosso e l’ameba, giù giù, dove noi non abbiamo tempo di andare a ravanare...)

E ora, tecnica sia!


Il moltiplicatore in economia aperta: caso lineare

La contabilità
Allora: per capire quanto segue dovete rileggervi questo. Se non lo fate e non capite sono fatti vostri. Se lo fate e non capite è colpa mia, nel qual caso petite et dabitur vobis.

In che modo nel nostro raccontino l’appellista di turno, che poi si scopre essere Belzebù, cogliona il politico di turno? Semplicemente glissando sul fatto che in un’economia aperta al commercio estero gli incrementi di reddito provocati da una politica espansiva necessariamente si scaricano, almeno in parte, sull’acquisto di beni esteri, e quindi: (1) producono reddito all’estero (sintesi: “fanno aumentare il Pil altrui”), e (2) mandano in rosso la bilancia commerciale.

Nulla di male di per sé, ma sono effetti che vanno quantificati con cautela e valutati nel contesto (per evitare amare sorprese).

Cerchiamo di formalizzare questa semplice nozione. Come sempre, la formalizzazione non serve a complicare cose semplici, ma a semplificare cose complicate. Capisco non sia divertente come un sulfureo scambio di tweet (so sorry...), ma se volete evolvere dovete faticare.

Partiamo dal considerare che quando consumiamo (“acquistiamo beni di consumo”), parte di quanto consumiamo è prodotto in casa e parte all’estero:

C = CN + CM

dove CN sono i consumi di beni nazionali e CM i consumi di beni iMportati. Questo vale anche per i consumi (intermedi) della pubblica amministrazione:

G = GN + GM

e anche nel caso degli acquisti di capitale fisico da parte delle imprese (la formazione lorda di capitale fisso industriale, che in contabilità nazionale si chiama investimenti fissi lordi):

I = IN + IM

Ora, le importazioni di un paese sono la somma delle tre componenti di acquisto di beni importati, ovvero:

M = CM + GM+ IM

D’altra parte, il prodotto di un paese, cui corrisponde il reddito complessivamente distribuito nel paese (cioè er Pil), può essere acquistato da parte dei suoi abitanti o da parte di quelli del resto del mondo, per cui:

Y = CN + GN+ IN + X

Questa complicatissima formula matematica (ve lo meritate l’euro) dice semplicemente che quanto viene prodotto in Italia (Y) viene acquistato in parte dalle famiglie italiane (CN), in parte dal governo italiano (GN), in parte dagli imprenditori italiani (IN) e in parte dagli abitanti del resto del mondo, cioè viene esportato, e le esportazioni sono appunto X. Le spese di tutti questi gruppi di acquirenti generano reddito in Italia, e la loro somma è il reddito complessivo generato in Italia (er Pil).

C’è però un problemino-ino-ino pratico. Molti di noi sanno quanto spendono per campare la famiglia (io no, ad esempio), ma quasi nessuno di noi è in grado di stabilire quanto di questa spesa vada in prodotti esteri.
Lo stesso vale a livello aggregato: nell’identità del PIL entrano le spese complessive, in prodotti nazionali ed esteri, cioè una cosa di questo tipo:

Y = C + G + I + X

ma... attenti! Così la formula è sbagliata! Perché? Perché include anche spese che hanno generato reddito all’estero. Infatti, se sostituiamo, vedremo che:

Y = CN + CM+ GN + GM + IN + IM + X

e tutte le componenti con la M (quelle importate) generano reddito nel resto del mondo, non da noi!
La soluzione però è a portata di mano: basta sottrarre dal computo le componenti di spesa importate.
Se acquisto un’auto tedesca è l’imprenditore tedesco a far profitti e il suo operaio a ricevere un salario, quindi è chiaro che questi acquisti devo sottrarli, se quello che mi interessa è il Pil italiano:

Y = CN+ CM + GN + GM + IN + IM+ X – (CM + GM + IM)

Questa è la formula corretta, che, usando le definizioni di C, G, I e M date sopra, può essere espressa in modo più semplice (e a voi noto) come:

Y = C + G + I + X – M

dove, quindi, i flussi di spesa interni (C, G, I) comprendono anche la parte che si rivolge a beni importati, ma poi il totale delle importazioni viene sottratto, in modo da restituire in Y tutti e soli i redditi corrispondenti ad acquisti di beni nazionali (e quindi i redditi distribuiti agli abitanti del paese, non a quelli di altri paesi).

Chiaro fin qui? La risposta deve essere sì, perché se è no o forse, allora è inutile che andiate avanti. Raggiungete la colonnina più vicina e chiedete soccorsi.

L’economia
Da quanto sopra consegue che il modellino abbiamo usato quiè troppo semplice: dobbiamo considerare anche la spesa che si rivolge ai beni esteri (importazioni) e quindi le equazioni diventano tre:

C = cY
M = mY
Y = C + A – M


Il modellino ora ha tre equazioni: oltre alla funzione del consumo C = cY, c’è anche una funzione delle importazioni, M = mY, che dice appunto che più guadagni (più cresce Y), più importi (più cresce M). Come c è la propensione marginale al consumo (percentuale di un incremento di reddito speso in beni di consumo), così m è la propensione marginale all’importazione (percentuale di un incremento di reddito speso in beni importati). Il modello è chiuso da una condizione di equilibrio: l’offerta aggregata Y (cioè i redditi prodotti e distribuiti) è uguale alla domanda aggregata (cioè alla somma algebrica delle tre componenti di spesa). La spesa autonoma A comprende G, I e X (tre componenti di spesa che, in prima approssimazione, possiamo supporre non dipendano direttamente dal nostro Pil – per I e G non è del tutto vero, ma per ora ci accontentiamo di un modello semplice).

L’aumento di dimensioni del modello non procura grossi traumi: siamo ancora a tre equazioni, non a 140 come nel modello di a/simmetrie, e quindi una soluzione algebrica è facile da trovare. Il modello si risolve come sempre sostituendo le equazioni di comportamento nella condizione di equilibrio (fra offerta e domanda aggregata, cioè fra reddito e spesa):

Y = cY + A – mY

Visto? Al posto di C abbiamo messo la sua espressione, cY, e al posto di M la sua espressione, mY. Questo significa “sostituire le equazioni di comportamento nella condizione di equilibrio”. Perché lo facciamo? Perché così possiamo raccogliere Y a fattor comune a sinistra dell’uguale:

(1 – c + m)Y = A

e quindi:


(P.s.: non ci provate: ho un figlio alle medie e uno al ginnasio, quindi so che queste cose dovreste saperle fare. Il fatto che i miei studenti non sappiano farle non prova nulla: loro hanno vissuto la scuola post-berlingueriana...)

Il moltiplicatore è la frazione che vedete, ed è passato 1/(1-c) a 1/(1-c+m). Siccome m è un parametro positivo (se guadagni di più consumi più prodotti importati), la conseguenza è che in economia aperta il moltiplicatore keynesiano diminuisce.

(...prima lezione di Economia della globalizzazione)

Esempio numerico: in economia chiusa, con una propensione marginale al consumo del 75% il moltiplicatore è 1/(1-0.75)=1/0.25=4 (lo abbiamo visto qui). Se però la propensione marginale all’importazione è dell’80% (cioè: su un euro di spesa, ottanta centesimi vanno verso l’acquisto cosciente o inconsapevole di beni esteri), il moltiplicatore diventa 1/(1-0.75+0.8)=1/1.05=0.95.

Bella differenza, vero?

Ecco, tenetela a mente.

Questo è ovviamente il risultato del fatto che in economia aperta le spese che vengono a valle all’iniziale iniezione di spesa pubblica (per investimenti o altro) non si rivolgono solo a beni italiani, e quindi l’operaio forse compra solo pane italiano, ma questo non è necessariamente fatto con farina italiana, e lievito italiano, anche se è riscaldato forse in un forno italiano (ma probabilmente precotto in un forno francese); il fornaio, non compra solo latte italiano, munto in Italia da una vacca cresciuta in Italia e alimentata con mangime italiano, dopo essere stata vaccinata con vaccini italiani, e trasportato da un camion italiano alla centrale del latte per essere pastorizzato con macchinari italiani e confezionato da macchinari italiani in tetrapak prodotti in Italia a partire da cellulosa italiana, ma molto probabilmente latte tedesco... e via dicendo. Ogni spesa che non si rivolge a un prodotto italiano genera reddito altrove e quindi gli incrementi cumulati di reddito italiano che fanno seguito a una spesa iniziale sono ovviamente minori in economia aperta che in economia chiusa.Queste “dispersioni” (leakage) di domanda aggregata, cioè di spesa, verso l’estero, formalmente sono espresse dal termine +m al denominatore del moltiplicatore. Più sono grandi, più grande è m, più piccolo è il moltiplicatore.

Visto che ormai sapete tutto e siete tanto bravi per cui non avete più bisogno del blog (finalmente!), non mi affretto ad aggiungere una cosa talmente banale che quasi mi vergogno di segnalarvela: quanto sopra vale anche per gli altri paesi. Ricordate la voce X nell’identità del reddito nazionale? È strano come le importazioni altrui somiglino alle nostre esportazioni, no?

Bene.

Quindi io non sto dicendo che dovremmo tornare all’autarchia! Così come noi sosteniamo i redditi altrui importando, gli altri sostengono i redditi nostri importando da noi: sono le nostre esportazioni. Il commercio non è una panacea ma non è il demonio. I disonesti (intellettualmente) sono il demonio, come vi ho raccontato. In altre parole, io vi sto dicendo che in economia aperta cambia l’efficacia della politica economica, non che l’economia aperta sia un male perché ci impoverisce. La prima cosa è un fatto incontrovertibile. La seconda dipende dalle circostanze, ma normalmente l’apertura e lo scambio permettono di stare meglio (se gestiti).

Il moltiplicatore in economia aperta: il caso non lineare
Il modellino che stiamo vedendo è più realistico di quello che conoscevamo, ma non è ancora abbastanza realistico perché non tiene conto del fatto, da noi ampiamente documentato, che l’elasticità delle importazioni al reddito è 2.

Come faccio asapere che la funzione M = mY non ha elasticità 2? (in effetti, ha elasticità 1).

Be’, ci dovrebbero aiutare le definizioni di propensione ed elasticità studiate qui. Mettiamola così: la funzione delle importazioni che vi ho proposto, M = mY, ci dice che nel lungo periodo le importazioni sono in rapporto costante al Pil: M/Y = m. Due grandezze rimangono in rapporto costante se variano nella stessa proporzione, cioè allo stesso tasso di variazione percentuale. Ma l’elasticità è, come sappiamo, proprio il rapporto fra le variazioni percentuali di due variabili. Quindi, se queste due variazioni sono identiche, il loro rapporto è 1. Detto in altre parole: se due grandezze rimangono in rapporto costante, sono legate da una elasticità unitaria. Quindi, siccome la funzione delle importazioni che vi ho proposto ha una elasticità unitaria, non fornisce una buona rappresentazione della realtà (perché in realtà l’elasticità delle importazioni al reddito è di circa 2, cioè due. Capito bene? Due. Chiaro? Due).

(quant’è l’elasticità delle importazioni al reddito?...)

Sintesi: il fatto che la funzione considerata abbia un'elasticità troppo bassa è conseguenza del fatto che essa postula che importazioni e reddito crescano secondo un rapporto costante m. E invece? E invece non è così: il rapporto fra importazioni e reddito non è stato storicamente pari a una costante m, ma è andato crescendo così:


Vedete? La propensione al consumo si è stabilizzata dagli anni '70 attorno al 60% (0.6), mentre quella all'importazione è partita a 0.07, e, se non ci fosse stata la battuta d'arresto determinata dalla crisi, oggi sarebbe forse a 0.3 (il 30%). In altre parole, dal 1960 a oggi reddito e consumi sono cresciuti in media praticamente allo stesso tasso (2.5% il reddito, 2.6% i consumi), mentre le importazioni sono cresciute a velocità doppia: il 5% in media. 5/2.5 = 2, ovvero l'elasticità delle importazioni al reddito è...

Dai, su, che la sapete: è due!

Questo però significa che la funzione che abbiamo messo nel modellino (M=mY), e che si trova in ogni e ciascun modellino di macroeconomia aperta da secondo anno, è fasulla, non rispecchia la struttura della realtà.

Per capire come potrebbe essere fatta la funzione giusta, quella che rispecchia la struttura della realtà, quella dove se il reddito cresce dello z%, le importazioni crescono al doppio (cioè al 2z%), cominciamo col fare un esempio numerico, perché forse può aiutare.

Guardatevi questa tabbellina:



La prima colonna fornisce i valori di Y, il reddito, la variabile esplicativa nelle funzioni del consumo e delle importazioni. Al tempo 0, Y vale 100. Se al tempo 1 vale 101, significa che è aumentato di 1 (incremento assoluto), cioè, in questo caso, dell’1% (incremento percentuale). La seconda colonna fornisce i valori di C, che sono quelli di Y moltiplicato per 0.75. Quando Y vale 100, C vale 75, e se Y aumenta di 1, C aumenta di 0.75 (incremento assoluto), cioè dell'1% (incremento percentuale).

Un discorso analogo vale per M. Quando Y vale 100, M vale 40. Quando Y vale 101, M vale 40.4. Quindi M aumenta di 0.4, che corrisponde, guarda caso, all’1% (anche lui). Insomma: in questo modello (che è quello che vi ho descritto sopra) quando Y aumenta dell'1%, tutto aumenta dell'1%: sia C che M, ed è ovvio che sia così, visto che i rapporti fra consumo e reddito (C/Y=c=0.75) e fra importazioni e reddito (M/Y=m=0.74) rimangono costanti (noi economisti li chiamiamo propensione media).

Guardate un altro (anzi: un'altro) dettaglio. Vi ricordate quando abbiamo definito le elasticità come rapporto fra incrementi percentuali?

Abbiamo detto che la propensione marginale era un rapporto fra incrementi assoluti:


e che l'elasticità era un rapporto fra incrementi percentuali, che in quanto tale può essere espresso come rapporto fra propensione marginale (MP, marginal propensity) e propensione media (AP, average propensity):

da cui consegue che la propensione marginale è il prodotto fra l'elasticità e la propensione media:

Ora, tutta questa robetta, mi rendo conto, è molto astratta, vista così, ma da essa dipende un fatto molto concreto, come vedremo poi sotto. Intanto, mettiamoci dei numeri, quelli dell'esempio sopra.


Se consideriamo le importazioni, vediamo che la MP a importare (che poi sarebbe m=0.4) è uguale al rapporto fra gli incrementi assoluti di importazioni e reddito (0.4/1=0.4), e che l'elasticità delle importazioni al reddito, che in questo caso poi sarebbe 1, è uguale sia al rapporto fra incrementi percentuali di importazioni e reddito (0.01/0.01=1) che al rapporto fra propensione marginale e media all'importazione (0.4/0.4=1), mentre la propensione marginale, a sua volta, è uguale all'elasticità delle importazioni al reddito per la propensione media a importare (1x0.4=0.4).

I conti tornano...







































Oh, sentite, i post tecnici li volete voi, e io non posso sempre rompermi i coglioni con l'aritmetica! Qui, se volete andare avanti, bisogna studiare, e questi sono i compiti per le vacanze.

Ma....

E se invece volessimo una funzione con elasticità 2?

(perché le importazioni che elasticità hanno? Due! Bravi!)

Vediamo quest'altra tabbbella:



Qui ho considerato una diversa funzione delle importazioni: le importazioni aumentano con il quadrato del reddito, moltiplicato per 0.004. E che succede se la funzione delle importazioni ha questa forma arcana? Lo vediamo nell'ultima colonna!

Quando il reddito aumenta da 100 a 101, le importazioni aumentano da 40 a 40.8, cioè aumentano di 0.8. Guarda un po'! L'incremento assoluto delle importazioni è 0.8, quindi quello percentuale è del 2%, e siccome l'incremento percentuale del reddito è sempre dell'1%, ne consegue che l'elasticità è 2 (2.01 per problemi di arrotondamento), e tutti i nostri altri discorsi tornano.

1) la propensione marginale è uguale al rapporto fra gli incrementi assoluti (0.8/1 = 0.8), ma anche al prodotto fra elasticità e propensione media (0.4x2 = 0.8);

2) l'elasticità è uguale al rapporto fra incrementi percentuali (0.02/0.01=2), ma anche al rapporto fra propensione marginale e propensione media: 0.8/0.4=2.

Fico, no?

No?

Veramente non vi piace?

E allora come facciamo? Siamo in una crisi economica, e non mi andrete mai oltre ai ragli di Twitter?

No, dai, non è possibile: fate come i piddini! Anche se non vi piace, fate almeno finta che vi piaccia, perché se non squarciate il velo di Maya non arriverete mai al paradiso del #DAR, quello nel quale si aggirano le anime elette (IO) contemplando il dibattito economico italiano e internazionale.

Allora: vediamo un po' cosa abbiamo intuito (forse) finora: abbiamo intuito (ma non dimostrato) che in una relazione del tipo:

X = a Zb

l'elasticità è l'esponente della Z (della variabile a destra). In effetti, nella funzione delle importazioni

M = 0.4 Y

l'esponente della Y (della variabile a destra) era uno (non si vede, ma c'è, perché se non ci fosse Y sarebbe 1... Qualcuno l'ha capita?), e l'elasticità, calcolandola, veniva uno, mentre nella funzione:

M = 0.004 Y2

l'esponente della Y è due, e l'elasticità calcolata ci viene 2.

In effetti sì, siete maggiorenni, ed è ora che sappiate certe cose: nella modellistica economica le relazioni a elasticità costante vengono proprio rappresentate mediante funzioni del tipo:


X = a Zb

(dove l'elasticità, ovviamente, è b). Poi, per raggiungere l'apice del delirio, vi ricordo che i logaritmi ("C'è un medico in sala?"), dei quali abbiamo parlato qui, hanno la proprietà che chi è passato per la scuola dell'obbligo conosce, di trasformare il prodotto in somma e l'elevazione a potenza in prodotto, il che, in buona sostanza, significa, che in economia lavoriamo con la trasformata logaritmica della funzione che vi ho appena mostrato, cioè con:

ln(X) = ln(a) + b ln(Z)

Ad esempio, nel caso di

M = 0.004 Y2

la trasformata logaritmica sarebbe:

ln(M) = -5.52 + 2 ln(Y)

Bbbboni, state bboni...

Dunque, intanto se prendete il working paper del modello, vedrete che praticamente tutte le equazioni di lungo periodo stimate hanno questa forma.

Ad esempio, a pagina 97 trovate questa tabella arcana:

la quale vi informa del fatto che il logaritmo delle importazioni dalla core Eurozone, cioè la variabile LOG(MGUSDVB), dipende da una costante C uguale a -18.35 e da 2.119 moltiplicato per il logaritmo del Pil italiano LOG(GDPVUSD) (la tabella vi dà tante altre informazioni che per ora non vi interessano, ma intanto vorrei farvi capire che anche il nostro complicato modello è fatto di pezzi relativamente semplici come quello che vi ho appena descritto). Perché vi faccio vedere i risultati di queste stime? Intanto per cominciare a guidarvi nella loro interpretazione, e poi per farvi capire che una funzione delle importazioni del tipo M = 0.004 Y2 non è poi così arcana, non è un parto della mia fantasia perversa (sai che soldi col romanzo erotico?), ma è, banalmente, quello che si trova quando si mettono due dati in un computer e si spingono un paio di tasti.

Ora, attenzione, qui prendetevi un tè, una camomilla, una grappa, insomma, qualcosa, perché dobbiamo fare il passo determinante per farvi capire come mai in recessione non si deve mai fare austerità (ma proprio mai mai mai). Sì, lo so che lo sapete, che ve lo hanno detto, ma in realtà non lo sapete, non potete saperlo, è una cosa un pochino tecnica.

Mettiamola così: mi appello al vostro animo piazzaleloretista: voi non siete quelli che vogliono appendere tutti per i piedi? Ma mica si può appendere uno per i piedi solo perché porta il loden! Eh no, non sta bene, soprattutto a Natale! Se volete farlo, io non sono e non sarò d'accordo, ma almeno esigo che lo facciate a ragion veduta, dopo aver capito quanto era evidente a ogni economista (lui compreso) che quello che stava facendo ci avrebbe condotto al disastro!

(...voi direte che abbiamo la sua confessione, ma quella è venuta ex post: io vi voglio dimostrare con evidenza matematica che quello che sarebbe successo lo sapeva benissimo prima).

Sono riuscito a motivarvi? La vostra stolida e improduttiva sete di sangue è stimolo sufficiente per incitarvi a capire?

Bene, allora mettiamo insieme due pezzi del discorso:

1) abbiamo visto sopra che le dimensioni del moltiplicatore dipendono da quelle della propensione marginale all'importazione:



Più m è grande, più piccolo è il moltiplicatore.

2) abbiamo visto anche che la propensione marginale è il prodotto dell'elasticità per la propensione media:

Quindi (rullo di tamburi) se in un modello l'elasticità è costante, la propensione marginale cresce con la propensione media. Ma:

3) quando l'elasticità al Pil è maggiore di uno, la propensione media all'importazione cresce col Pil, e quindi la propensione marginale all'importazione cresce col Pil, e quindi il moltiplicatore cala al crescere Pil, e aumenta al diminuire del Pil.

Questa proprietà delle funzioni normalmente utilizzate per rappresentare la realtà macroeconomica (perché ne rispecchiano il funzionamento) ci garantisce che in tempi di recessione il moltiplicatore keynesiano sarà più grande che in tempi normali, e che quindi in recessione i tagli avranno un effetto amplificato sul Pil.

Ed ecco l'esempio numerico: riprendo esattamente l'ultima tabella, dove però, a causa della recessione, il valore di partenza del Pil considero sia 93 anziché 100 (è diminuito del 7%).


Allora: col Pil che vale 93, i consumi valgono 0.75x93=69.75, le importazioni valgono 34.60 (fate il conto voi), e notate: il rapporto fra consumi e Pil (la propensione media al consumo) è esattamente quello di prima (0.75), mentre il rapporto fra importazioni e Pil (la propensione media alle importazioni) è diminuito da 0.4 a 0.37. Questo, ovviamente, perché siccome l'elasticità è due, alla diminuzione del reddito (denominatore) è conseguita una diminuzione più che proporzionale delle importazioni (numeratore) e quindi il rapporto è diminuito.

Ormai siete dei professionisti, e quindi sapete da voi che la propensione marginale all'importazione, cioè m, non sarà più 0.8 come prima: possiamo calcolarla come prodotto fra l'elasticità (2) e la propensione media (0.37), e troviamo (arrotondando) 0.75. Oppure, se non ci fidiamo, incrementiamo il reddito di uno: i consumi passano a 70.50 (aumentano di 0.75), mentre le importazioni aumentano di 0.75 pure loro... E allora vedete che il rapporto fra incremento assoluto delle importazioni e incremento assoluto del reddito è pari appunto a 0.75, cioè quando il Pil è pari a 93 la propensione marginale alle importazioni casualmente scende fino a diventare pari a quella alle importazioni.

Ora occhio, guardate il moltiplicatore!

Nel caso in cui il Pil partiva da 100, avevamo:

(è riportato nella tabbbella, quella con tre b), mentre quando il Pil parte da 93 abbiamo:

cioè il moltiplicatore aumenta.

E questo cosa significa?

Be', ve la ricordate la storiella della Ruritania e della Cracozia? Nell'esempio che stiamo svolgendo, in condizioni di recessione stiamo proprio come la Ruritania: moltiplicatore pari a uno significa che un punto di spesa pubblica in meno fa calare di un punto sia il debito che il Pil, quindi se il debito è 6/5=120% del Pil, dopo diventa 5/4=125% del Pil.

In condizioni più floride le cose non andrebbero così male: una diminuzione di uno del numeratore (via tagli alla spesa e al deficit) farebbe diminuire il denominatore solo di 0.95, e quindi si andrebbe solo al 123%!

Va bene, questi sono numeri ovviamente dati a caso, ma avete capito il messaggio?

Le dimensioni del moltiplicatore aumentano nelle fasi di recessione, semplicemente per effetto della fisiologica non linearità della funzione delle importazioni (fatto stilizzato universalmente riconosciuto in letteratura), che comporta che in condizioni recessive le "dispersioni" di reddito verso l'estero calino in modo più che proporzionale (m diminuisce), e quindi la spesa pubblica attivi un reddito proporzionalmente maggiore all'interno del paese. Nel modello di a/simmetrie il moltiplicatore è 1.5 in condizioni "normali" ma sale a circa 1.8 in presenza di una brusca recessione.

Non è un mistero: è quello che ogni economista sa e che, come ho cercato di spiegarvi, risulta da una banale ispezione dei fatti stilizzati macroeconomici (la costanza del rapporto fra consumo e reddito, che implica elasticità unitaria e propensione marginale al consumo costante, l'andamento crescente del rappporto fra importazioni e reddito, che implica elasticità vicina a due e propensione marginale all'importazione crescente).

Ne consegue che in recessione, dato che il Pil scende, per cui m diminuisce e il moltiplicatore aumenta, la politica di bilancio agisce sul Pil in modo più che proporzionale, il che consiglia di non usarla per tagliare, perché se tagli finisce come in Ruritania. Molto meglio usarla per sostenere il reddito, visto che un euro in più di deficit produce più di un euro di Pil.

Concludiamo
Lo so. Per molti di voi è stata una sofferenza. Ma altri hanno goduto. Però tiro le conclusioni, se posso.

L'osservazione di Francesco Lippi era acuta, ma risentiva di un problema pratico che il materiale che gli avevo fornito non documentava sufficientemente bene (colpa mia): il calcolo del moltiplicatore incorporava, a fine periodo, un anno di recessione estrema. Era quindi ovvio che il moltiplicatore si avvicinasse a due, e del resto, come sapete, questo è il valore che il Fmi suggerisce per economie in recessione nella sua stucchevole palinodia del 2012 (a pag. 41). D'altra parte, in condizioni normali il moltiplicatore del modello converge a 1.5, e questo è il valore che viene riscontrato da autori molto più autorevoli di me (secondo loro) e con metodo molto più sofisticati dei miei (secondo loro).

La bellezza (per chi può apprezzarla) di questo post consiste nel fatto di aver mostrato a chi ha fatto lo sforzo per capirlo che non c'è alcun bisogno di structural vector autoregressions, di regime switching models, e di altre menate simili, per giungere alla conclusione che il moltiplicatore aumenta nelle recessioni.

Basterebbe saper leggere un cazzo di grafico e sapere cos'è un logaritmo.

E lo sanno, vi assicuro che lo sanno.

La palinodia del Fmi è ipocrisia allo stato puro, purissimo, al 1000%, perché, vedete, che Alesina e Giavazzi coi moltiplicatori negativi delirassero si sapeva, e va bene così, ma che comunque il moltiplicatore fosse maggiore di uno in recessione lo si sapeva ugualmente. Nessun economista serio ha mai avuto dubbi. Avere dubbi su questo significherebbe non sapere la semplice algebra del moltiplicatore, che ormai sapete anche voi, significherebbe ignorare i più banali fatti stilizzati relativi all'andamento delle variabili macroeconomiche (come quelli riassunti dal grafico qua sopra), significherebbe aver dimenticato l'aritmetica per imparare le equazioni alle derivate parziali...


































Ah, voi dite che i miei colleghi...





























Be', in effetti, forse, almeno gli appellisti...
































Però, su, è Natale: veniamoci incontro. Se voi dite che i miei colleghi sono così imbecilli, vi credo, o almeno faccio finta. Ma allora voi in cambio promettetemi di non appenderli per i piedi: la loro minushabensitudine laddove provata, li renderebbe innocenti di fronte a qualsiasi tribunale!























Non appendeteli per i piedi...












































































































































...lo faccio io (metaforicamente e pacatamente, s'intende).



Buon Natale!


(ah, naturalmente la conclusione è che il moltiplicatore del modello è assolutamente standard, le sue dimensioni sono quelle convalidate dalla letteratura più recente e tecnicamente agguerrita, e in questo senso il modello è del tutto ortodosso e può essere considerato affidabile quanto qualsiasi altro modello di banca centrale o di centro studi - anzi, di più, perché è finanziato in crowd funding, e quindi qui se Squinzi telefona nessuno scatta sull'attenti. Appena avrete digerito questo cenone, useremo il modello per vedere cosa sarebbe successo se Monti non avesse fatto austerità. Quanto è costato Monti, con la sua decisione folle, a ogni italiano? Dobbiamo purtroppo escludere quelli ai quali è costato la vita: ma anche i superstiti hanno sentito una bella botta. Il conto si fa presto, basta un buon modello, e il nostro lo è, e Eviews 8.1. Ci vuole meno di un secondo - perché i modelli buoni convergono in fretta. Chi offre di più?)

(e mi raccomando, so che fa male, ma poi ci si abitua: se vogliamo parlare ad esempio di Russia in modo un po' più elevato di Tigellone o di Boldrin, dovete capire cos'è un'elasticità. Non ci sono santi. Altrimenti restiamo al permeismo puro. Sinceramente, ormai sarebbe il caso che ve ne affrancaste...).

Il costo di Monti (KPD6)

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(...sesto capitolo del Keynesianesimo per le dame...)

(...il 2015 sarà un anno lunghissimo. Da più parti, tutte qualificatissime, sento portare avanti un’interpretazione che mi sembra plausibile, che in parte altera il quadro del Tramonto dell’euro, ma che si integra molto bene con le consapevolezze faticosamente raggiunte in questi anni di studio comune. L’euro è un progetto di annessione monetaria, ma non da parte della Germania, che, come al solito nella SStoria, conta meno di quanto creda: da parte degli Stati Uniti. Anche qui, per favore, astenersi complottisti. L’ho sentito io, con le mie orecchie, Mundell raccontarci, a Dublino nel 2007, che un pezzo del processo da lui auspicato verso la moneta unica mondiale avrebbe dovuto essere la fusione di dollaro e euro. Dopo il Risorgimento e l’Unione Europea sappiamo bene quale sia il risultato della “fusione” fra un vaso di ferro e un vaso di coccio: chi ancora non lo sa si legga Anschlussin ginocchio sui ceci. Fra Stati Uniti e “Europa” non devo certo spiegarvi quale sia il vaso di coccio. D’altra parte, questo quadra perfettamente con una cosa che abbiamo mille e una volta affermato (l’ultima volta qui): quello che a economisti del calibro di un Fazi e di un Pittella appare come un momento alto di elaborazione politica europea, in realtà è il momento più basso di sottomissione culturale a paradigmi statunitensi vetusti e fallimentari, alla paccottiglia della scuola di Chicago (con la quale del resto Mundell è consustanziale). Basterebbe l’idolatria per le regole fisse a dimostrarlo. È roba europea? Come no!? Chiaro, vero? Ma non possiamo chiedere di capirlo a un uomo che pure, dovendo il proprio successo all’aver pubblicato una storia di rapporti anali, parte in qualche modo avvantaggiato! D’altra parte, l’annessione ha una sua logica, che nel Tramonto dell’euro e poi ancora meglio in L’Italia può farcela viene spiegata: in un mondo nel quale il dollaro subisce la pressione certo non dell’euro (una moneta senza stato può “premere” solo sui propri cittadini), ma dello yuan, di fronte alla prospettiva di perdere il proprio potere di signoraggio (stampo e compro), gli Stati Uniti devono dotarsi di un’area di sbocco che serva loro per riequilibrare i propri conti esteri. Oggi il dollaro lo vogliono ancora tutti. Quando ci sarà scelta, non sarà più possibile per gli Stati Uniti indebitarsi indefinitamente in dollari. L’Europa servirà quindi agli Stati Uniti esattamente allo stesso scopo al quale il Sud Europa è servito alla Germania: un gigantesco outlet per collocare i propri beni riequilibrando le proprie partite correnti, cioè il proprio indebitamento netto estero. Inutile dire che il tentativo di destabilizzazione della Russia si situa bene in questo quadro, per i noti motivi. Nel Tramonto dell’euro evocavo l’ipotesi di una “alleanza” fra paesi debitori (Usa e un pezzo di Europa) per contrastare Berlino. Questo scenario “post-bellico” aveva e ha una sua razionalità, ma forse è ingenuo: gli Stati Uniti possono anche permettersi di mangiarsi tutto il cucuzzaro, cioè il creditore regionale (Germania) e i debitori regionali (fra cui noi), per trasformarci in un simpatico panel di debitori loro. Lo scenario post-bellico diventerebbe quindi quello di un’Europa finanziata dagli Stati Uniti per acquistare beni di consumo statunitensi (via TTIP). In effetti, è già successo col piano Marshall: cambio fisso, finanziamenti dagli USA, ecc. Ma nel secondo dopoguerra il sangue dei cadaveri esigeva democrazia e stato sociale. Oggi non ci sono ancora stati abbastanza morti perché capitale e lavoro addivengano a un patto meno instabile. Perché, attenzione: la situazione è post-bellica, come ci siamo più volte detti, sotto molti aspetti, ad esempio perché l’ammontare di debiti (pubblici) accumulati è pari a quello raggiunto dopo la Seconda Guerra Mondiale, ecc. Ma c’è un enorme MA! E l’enorme MA è che siccome oggi le economie sono molto più aperte, la destabilizzazione indotta dal cambio fisso è molto più rapida. Questo è il motivo per il quale il mondo sta andando, come spiego nell’Italia può farcela, verso un frazionamento della sovranità politica, e un’adozione generalizzata della flessibilità del cambio: è la risposta razionale alla destabilizzazione indotta dalla globalizzazione. E allora: gli Stati Uniti possono permettersi di fare un boccone dell’Europa: il loro cavallo di Troia sono i simpatici lobbisti di Bruxelles, quella manica di corrotti in conflitto di interessi che chiamiamo “Commissione”. Ma possono permettersi di andare contro la SStoria? Ecco, questo non lo so. Sicuramente oggi qualche consigliere della Casa Bianca pensa che l’uscita dall’euro determinerebbe un frazionamento e una conflittualità politica in Europa difficile da gestire per gli Usa (oltre a rendere evidentemente impossibile la creazione dell’Eurollaro, il che costituirebbe un ostacolo molto molto marginale, direi più che altro simbolico, sulla strada del TTIP). D’altra parte gli statunitensi, a causa del loro particolare percorso storico e culturale, non brillano tutti per acume (nonostante abbiano scelto a loro simbolo l’aquila), ma qualcuno che capisca che è l’euro a creare tensioni e frazionamento economico e politico ci sarà pure, no? La prova è appunto nello studio del Fmi che vi ho citato, il quale esplicitamente dichiara che l’euro ci sta mettendo in difficoltà. Queste difficoltà sono sempre più evidenti: le ha rese manifeste, del resto, lo stesso establishment statunitense, quello cui appartengono sia Mundell che il Fmi che, per ovvi motivi, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. Quest’ultimo, come ricorderete, ha fatto qualche cazziatone a Angela verso la fine dell’estate scorsa. Quindi che l’euro sia anche un rischio per loro gli Stati Uniti lo sanno. Allora la domanda è: si disporranno a favorirne uno smantellamento? Pensate che ci sono anche cordate di lobbisti europei che propongono la tesi dello smantellamento dell’euro in quanto la sua permanenza ostacolerebbe il TTIP (e il ragionamento in qualche modo fila)! Oppure lo difenderanno con le unghie e coi denti, pensando di poter poi tenere insieme i cocci, magari con un loro OMT, quello che la Bce non vuole e non può fare (e se lo facesse sarebbe inutile, o al più un regalo alla Germania? Perché regalo alla Germania? Ma perché se i titoli venissero acquistati pro-quota di partecipazione alla Bce, chi riceverebbe più finanziamenti?). Ecco: questo è il tema del 2015. E noi cosa possiamo fare? Capire. “Ma tu fai solo chiacchiere, ma tu sei un professorino!”. Questo raglio accomuna i soggetti più disparati: da quelli per i quali l’imprenditore è un nemico di classe, agli imprenditori che vorrebbero abolire lo Stato sociale. Basta questo per farci capire che sono ragli, e per disporci a capire. Oggi vi spiego una cosa interessante, che è importante comunque capire quale che sia lo svolgimento degli eventi futuri...)

Come ricorderete, aprivo il Tramonto dell’euro citando questo articolo di Gawronski sul fallimento di Monti, quel fallimento che avevo annunciato il giorno stesso dell’insediamento del suo governo, sulla base del presupposto che la diagnosi della crisi che ci veniva proposta era sbagliata: non avevamo a che fare con una crisi di debito pubblico ma di debito privato (e sapete che questa diventò due anni dopo la versione della Bce), e quindi curando l’arto sano avremmo aggravato la situazione, secondo il meccanismo che ho esposto alla Camera.

Ora, vi prego, vi scongiuro: non ve ne uscite con le solite lezzioncine da mentecatti: “Maestra! Ma Monti non ha fallito: lui voleva aiutare i creditori esteri e c’è riuscito...”. E lo volete spiegare a me, che lo ho spiegato a decine di migliaia di italiani? Quando parlo di “fallimento” mi riferisco al fallimento rispetto all’obiettivo dichiarato: quello di risanare le finanze pubbliche. Era ovvio a chiunque avesse un minimo di conoscenza della teoria elementare della sostenibilità del debito (e quindi tanto più a me), che le politiche di austerità sarebbero state controproducenti rispetto a questo obiettivo. Il fatto è che con un moltiplicatore superiore a uno, in recessione ogni taglio al numeratore del rapporto debito/Pil comporta una diminuzione ancora più grande al denominatore, e il rapporto esplode. Ne avevamo già parlato in un post che vi consiglio di rileggere, anche perché contiene una promessa, che oggi mantengo: quella di riparlare dell’argomento coi numeri veri.

Il ragionamento è estremamente semplice: se il tentativo di abbattere il rapporto debito/Pil ha fallito (non poteva non fallire) perché il taglio della spesa pubblica ha provocato un abbattimento più che proporzionale del reddito, quale strategia avrebbe dovuto seguire il governo per assicurare la propria stabilità finanziaria? Ma è semplice! Avrebbe dovuto perseguire la stabilizzazione, anziché l’abbattimento, del rapporto debito/Pil. Questa stabilizzazione avrebbe avuto effetti positivi sulla crescita, anche perché avrebbe richiesto più, e non meno, spesa pubblica, per l’ovvio motivo che un aumento della spesa pubblica avrebbe generato un aumento più che proporzionale del Pil, stabilizzando il rapporto fra debito e Pil.

Quale sia la regola stabilizzante ve l’ho spiegato a suo tempo: semplicemente, fissare il rapporto deficit/Pil a un valore pari al prodotto fra lo stock di debito e il tasso di crescita del Pil nominale. I calcoli, per chi giustamente non se li ricordasse, sono stati svolti qui, con tanto di algebra e di esempi numerici. L’adozione di politiche di questo tipo era stata proposta da economisti come Sergio Cesaratto quale possibile riforma delle regole europee, tanto per dire (sempre per salvare il vitello d’euro, eh! Mi raccomando!), e poi giù giù dalla corte dei miracoli appellista (ovviamente, a danno fatto). Quindi, come dire: non sono certo l’unico a sapere, insieme a voi, quale sia l’aritmetica del debito pubblico, ed è ovvio che anche a via XX settembre la sanno, per cui non ricominciamo con la tiritera “Ma Alberto sei ingenuo Monti non ha fallito ora ti spiego io a cosa serve l’austerità... Bilderberg... Trilateral... Multinazzzionali bbrutte...” ecc. Per tutto questo c’era Donald, e ora che non c’è più (è rimasta solo la sua testa, come forse saprete) possiamo fare un discorso un po’ meno aneddotico e di struttura.

Il modello di a/simmetrie ci permette di fare un discorso più serio, in questi termini: che percorso avrebbe seguito l’economia italiana se Monti avesse adottato la regola fiscale stabilizzante? E se lo avesse fatto, oggi, saremmo più ricchi o più poveri? Nel post precedente abbiamo rassicurato Francesco Lippi circa il fatto che le proprietà del modello in termini di dimensioni del moltiplicatore sono assolutamente standard, sono quelle che la letteratura più avveduta e recente conferma. Possiamo quindi con ragionevole fiducia utilizzare il modello per effettuare questo esperimento.

Oggi andrò per le spicce, servendomi di una funzione molto utile del software di gestione del modello (EViews 8.1), la funzione “Solve control for target”. A cosa serve? Serve a ottenere il valore di una variabile esogena (“control”) che assicura il raggiungimento di un certo obiettivo (“target”) di politica economica. Per i miei studenti, questa funzione di fatto implementa la forma ridotta inversa del modello. Operativamente si procede così: si dice al software quale obiettivo vuoi conseguire, e poi gli si dice quale variabile esogena (strumento) vuoi adoperare per raggiungerlo. Il software è abbastanza limitato, perché ti permette di definire un unico obiettivo e di usare un unico strumento. Strategie più complesse rientrano nella teoria del controllo ottimale, che in modelli non lineari è un po’ pesante da implementare. Noi ci accontenteremo, per il momento, riservando analisi più articolate a studi (scientifici) futuri.

Allora: l’obiettivo l’ho definito così:


Come vedete, nel 2012 e 2013 ho imposto che il rapporto debito/Pil  (variabile GGFLQ del modello) fosse pari al valore dell’anno precedente. Come variabile di controllo, cioè come strumento (esogeno) di politica economica, ho scelto la componente salariale dei consumi collettivi (variabile CGW del modello). Insomma: ho scelto di farmi dare un aumento da Monti, tanto per essere chiari! Vedrete nel modello che in effetti la variabile CGW non è esogena: è endogena (cioè definita dal modello), perché il suo valore è ricavato da un’equazione (l’equazione [6.2] nell’Appendice 4 dell’articolo). Tecnicamente quindi ho agito sulla retribuzione media unitaria dei dipendenti pubblici, la variabile esogena UWG.

Ovviamente, la risposta del modello è uguale e contraria a quella che è stata praticata dal simpatico hidalgo de la Sierra: per stabilizzare il debito lo Stato avrebbe dovuto spendere di più, non di meno! Prima di andare avanti, solo una precisazione: io parlo di Monti perché lui è stato chiamato a fare questa politica. So bene che poi gli sono subentrati il governo Monti bis e il governo Monti ter. Ci sono dinamiche e sfumature politiche che in questo post non affronto, perché dal punto di vista della gestione dell'economia questi tre governi hanno avuto assoluta unità d'intenti (il Monti ter l'ha anche dichiarata).

Vi fornisco i risultati più interessanti della simulazione. Intanto, a quanto sarebbe dovuto andare il rapporto deficit/Pil per mantenere costante il rapporto debito/Pil? La violazione delle sacre regole non avrebbe poi dovuto essere così drammatica


Qui e in seguito Actuals indica i valori storici, Baseline indica il nostro esperimento controfattuale. Sarà più semplice se vi terrete sotto mano la legenda delle variabili (Appendice 1 del modello), ma comunque i nomi ve li spiego io. PSBRQ è il rapporto deficit pubblico/Pil (il Public Sector Borrowing Requirement). Storicamente Monti è riuscito a tenerlo molto vicino al 3% (secondo l'ultima versione del WEO è addirittura sceso lievemente sotto, nel 2012, a circa 2.9). Così facendo però il debito è salito al 132% del Pil. Sarebbe bastato violare la regola di Maastricht facendo politiche lievemente più espansive, arrivando al 3.4% di deficit/Pil nel 2012 e al 3.6% nel 2013.

Voi direte: ma spendendo di più il debito sarebbe dovuto crescere! Eh, no, perché il Pil nominale sarebbe in effetti aumentato anch'esso, rispetto ai valori storici. Ovviamente il modello ci dice di quanto (se abbiamo lavorato come negri - pardon: econometrici di colore - per un anno è perché poi volevamo divertirci):


Allora: grazie all'amico (del giaguaro) Monti siamo riusciti ad avere nel 2012 e 2013 una crescita negativa del Pil nominale (variabile GDP), questo perché nonostante ci fosse una moderata crescita del deflatore del Pil (PGDP) (l'indice medio dei prezzi del prodotto italiano, per capirci, comprendente tutti i tipi di beni: di consumo, di investimento, di esportazione...), pari a 1.58 nel 2012 e 1.44 nel 2013, la crescita del Pil reale (variabile GDPV) è stata pesantemente negativa: -2.37 e -1.85.

Con una politica espansiva avremmo "reflazionato" l'economia raggiungendo nel primo anno il 4.1% di inflazione, che poi sarebbe scesa al 3.54%, e mantenendo la crescita reale allo 0.6%, per poi raggiungere l'1.16% nel 2013. Questo avrebbe mantenuto la crescita nominale al 4.74%.

Il mondo senza Monti (al governo) sarebbe quindi stato un posto decisamente migliore per noi, ma forse peggiore per i creditori esteri. Guardiamo ad esempio l'andamento di tasso di disoccupazione e saldo commerciale:

La disoccupazione sarebbe cresciuta di meno, arrestandosi al 10%, invece di andare all'11% e poi al 12% (e quest'anno al 13%), ma il saldo estero sarebbe lievemente peggiorato, riscendendo a -1.66% e poi a -2.02% del Pil, invece di salire al 2.75% del Pil. Del resto, sappiamo che Monti questo doveva fare: spremerci per rimborsare i suoi mandanti.

E l'inflazzzzione, lo spettro che turba i sonni di Boldrin e Brancaccio, di Squinzi e di Camusso, non avrebbe eroso er salario reale?

(...quanta concordia! E poi dicono che in Italia siamo troppo litigiosi!)

Be', vediamo: sopra abbiamo parlato di un tasso di crescita del deflatore del Pil che sale al 4% e poi scende al 3%, ma i lavoratori non acquistano "er Pil", acquistano beni di consumo, quindi dobbiamo vedere cos'è successo e cosa sarebbe successo alla crescita dei salari nominali e dell'indice dei prezzi al consumo. Con il modello, dopo mesi di sofferenze, lo possiamo calcolare in un batter di click:


Notate che qui consideriamo i salari del solo settore privato, cioè la variabile UWB (unit wage business sector). In pratica non è andata benissimo: con Monti l'inflazione al consumo è stata più del doppio della crescita dei salari nominali (2.7% invece di 1.1%) e quindi i salari reali sono scesi di dell'1.59%, per poi rimbalzare del solo 0.34 nel 2013. Nel "contromondo" che stiamo analizzando l'inflazione al consumo sarebbe cresciuta, ma grazie alla ripresa e alla diminuzione della disoccupazione anche i salari, col risultato di avere nel primo anno una diminuzione dei salari reali sostanzialmente analoga, ma nel secondo un recupero triplo (un punto percentuale di crescita). Tutto questo, notate bene, senza considerare il settore pubblico e senza considerare ulteriori misure correttive di politica economica. Ma noi abbiamo aumentato i salari anche ai dipendenti pubblici, però, che sono stati abbastanza bastonati negli ultimi anni. Se ragioniamo in termini di monte salari complessivo (variabile WAGE del modello, definita dall'eq. [5.2]) la situazione si presenta così:


Con Monti il monte (salari) è stato fermo nel 2012 ed è sceso nel 2013. Nella misura "stabilizzante" proposta il monte salari complessivo sarebbe invece aumentato, più dell'inflazione. Attenzione: notate che una misura articolata unicamente sui salari pubblici non sarebbe realistica né opportuna, perché non proponibile politicamente, perché eccessivamente inflazionistica, ecc. Come vi ho già detto, questi sono solo back-of-the-envelope calculations fatti così, per passare il tempo libero. Ma intanto avete degli ordini di grandezza. Poi vi fornirò dei risultati basati su un altro mix espansivo stabilizzante: aumento degli investimenti pubblici unito ad abbattimento del cuneo fiscale in deficit, meno inflazionistico e meno deleterio per la competitività.

E allora veniamo al Pil. Quanto Pil abbiamo perso con questo giochetto? Quanto reddito pro-capite ci è costato l'amico dei creditori?

Anche questo è immediato da verificare:


Ai prezzi del 2005 (variabile GDPV), limitandoci a stabilizzare il rapporto debito/Pil avremmo avuto 42 miliardi di Pil in più il primo anno, e 84 in più il secondo anno (nella tabella i dati sono in milioni). A prezzi correnti (cioè considerando quello che effettivamente ci sarebbe entrato in tasca) sarebbero stati rispettivamente 87 e 173, per un totale di 260 miliardi nel biennio. Considerato che in Italia siamo circa 60 milioni, e che 2012 e 2013 hanno avuto complessivamente 24 mesi, il conto (in termini di dati a prezzi costanti, cioè di effettivo potere d'acquisto) è presto fatto, ed è questo qui:




Ognuno di noi (Uga compresa) a causa dell'austerità ha avuto una perdita media di 88 euro al mese nel biennio, rispetto a quello che avrebbe potuto intascare se si fosse perseguita una politica di stabilizzazione e non di abbattimento del rapporto debito/Pil (cioè se non si fosse fatta "austerità"). Però Renzi poi nel 2014 ne ha ridati 80, ma solo ad alcuni di noi!

Mi sembra abbastanza chiaro perché poi succedono certe cose.

Il significato di questo studio, però, va inquadrato bene, al di là dei limiti tecnici, perché resta, naturalmente, il solito problema. Avremmo potuto permetterci di fare una politica nel nostro interesse? E la risposta è sempre la solita: dentro l'euro direi proprio di no. L'irrequietezza dei mercati ovviamente si sarebbe prolungata, se il saldo commerciale fosse di nuovo peggiorato. Questo lo dico a beneficio dei potenziali imbecilli (non dubito ce ne siano) che "Bagnai ha cambiato idea". Io non ho idee: ho modelli economici standard. Se cambiano i modelli standard, tranquilli, cambio anch'io (per gli editori di testi universitari sarebbe un affarone, e anche per i vari raglianti dispersi nel web 2.0!). Ma finché i modelli non cambiano, rimane il fatto che il percorso di Monti, per quanto evidentemente dannoso per noi, era anche in qualche modo obbligato: senza sganciamento della valuta nazionale non ci sarebbero infatti stati i margini per far rientrare il saldo estero praticando manovre espansive, come le simulazioni presentate dimostrano.

Questo va sempre tenuto presente. Solo una forte (ed evidentemente impossibile) presa di posizione dell'Europa a favore di regole stabilizzanti (anziché del Fiscal compact), del tipo di quella chiesta da Cesaratto, e una immediata (anziché differita ad arte) presa di posizione della Bce verso operazioni di tipo Omt avrebbe potuto, nel mondo delle favole, salvare la capra (cioè l'euro) e i cavoli. Ma qui si torna sempre al solito snodo: quello politico. Il consenso politico non c'è, perché noi siamo sotto attacco, e siamo privi dell'"arma difensiva del riallineamento del cambio", come la chiamava Meade nel lontano 1957 (chi mi segue da un po' lo sa).

Quindi il mondo alternativo che vi ho presentato è un mondo in qualche modo irrealistico. Più precisamente: la misura del danno che offre è concreta (non facendo austerità saremmo ovviamente stati meglio, e gli 88 euro mensili a cranio mi sembrano una misura abbastanza attendibile del danno che abbiamo patito), ma la prospettiva utilizzata per valutarla è illusoria, perché dentro l'euro ci può essere, data la struttura dell'economia e dati i rapporti politici, solo ed esclusivamente austerità.

Sapere quanto quest'ultima ci costi dovrebbe indurci quindi a chiedere uscire dall'euro, non a invocare la fine di essa in un contesto che non lo permette. Chi vuole l'euro, oltre a non volere la democrazia, vuole la recessione.

Bene: con tutti i limiti che vi ho messo in evidenza (più altri chiariti nel post scriptum metodologico), questo studio fatto con la mano sinistra un'idea dei guasti fatti la dà, e fornisce un risultato assolutamente compatibile con la nostra esperienza e con quanto vediamo in termini di dinamica dei consumi. Ovviamente, raccolta la solita bordata di critiche costruttive, approfondiremo, per superare i limiti cui accennavo. Gawronski mi ha dato la sua disponibilità a entrare in questo argomento che, come sapete, lui ha sempre seguito con particolare attenzione. Non credo che il risultato di uno studio più approfondito possa essere molto diverso da quello che vi ho presentato qui, ma almeno potremo usarlo per allungarci il CV!

E naturalmente, come si dice: buone feste! Godetevi gli 80 euro di Renzi (essendovi ormai chiaro perché non hanno fatto effetto), e per gli altri otto...





Un post scriptum metodologico (scheletri)

Ricordate la regola stabilizzante? Il rapporto deficit/Pil che stabilizza il debito è uguale al prodotto fra tasso di crescita nominale e rapporto debito/Pil. Attenti quindi, perché i conti (apparentemente) non tornano, nemmeno col dato storico. La formula che regola l'accumulazione del debito pubblico è la (6) di questo post, che riporto per vostra comodità:

ed è facile vedere che in pratica le cose non sono andate come dice lei. Ve lo mostra questa tabella, che ci illustra un problema che ci venne illustrato a Pescara da Ugo Panizza, come qualcuno ricorderà, quello degli scheletri (pag. 7 di queste slides... eh, quanto sono inutili i blog e gli economisti...):


La variazione storica del rapporto debito/Pil è il Δd, mentre quella "teorica", ricavata secondo la formula (6) è il  Δd*. Con Monti il debito è cresciuto di 6.19 punti di Pil il primo anno, mentre in teoria, secondo algebra, sarebbe dovuto crescere di 4.03. Una differenza di due punti, spiegata dalla "unexplained part of public debt", la variabile che nel modello abbiamo chiamato SF (da "Stock-Flow reconciliation"), che ogni professionista della sostenibilità del debito (rinuncio a scrivere quella gigantesca parola di due vocali che indica l'unico su piazza) sa essere estremamente importante nel determinare la dinamica effettiva del rapporto debito/Pil. Con Monti questa variabile è passata dallo 0.33% al 2% del Pil (ultima colonna), non saprei dirvi perché (per questo ci vuole uno studio scientifico), ma appunto questo spiega per quale motivo il debito che sarebbe dovuto crescere di 4 punti è cresciuto di 6 punti.

Guardate che sotto non c'è necessariamente un complotto: è una cosa piuttosto fisiologica che le relazioni stock/flusso non tornino esattamente in pratica, il che, ovviamente, limita la portata pratica di formule come la (6), e determina il fatto che a posteriori i conti possano non tornare esattamente. Preciso anche che l'esperimento che stiamo conducendo qui presuppone che al governo fosse nota a priori la dinamica di tutte le variabili macroeconomiche nei due anni successivi (inclusi gli "scheletri"), e quindi la portata scientifica dell'esperimento che sto conducendo è relativamente limitata: per fare un lavoro più accurato bisognerebbe definire anno per anno la politica stabilizzante sulla base delle informazioni possedute dal governo al momento della legge di stabilità, espresse nei documenti ufficiali. Questo è chiaramente un limite dell'analisi che vi sto presentando, ed è ovvio che per fare una cosa fatta veramente bene (considerando le informazioni disponibili all'epoca delle varie manovre e considerando uno spettro più ampio di strumenti di politica economica) non basta la mattina di S. Stefano ma ci vuole un po' più di lavoro. Ora esco che Uga vuole andare in bici. Voi studiate, che quando torno vi interrogo...

Trauermusik (a Luciano)

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...heute wirst du mit mir im Paradies sein.

(...e pensa che quello non era lì per caso: era stato un ladrone, come Monti, tanto per restare in argomento...)

Quick post su keynesiani, competitività e lungo periodo (KPD7)

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So che non ve ne eravate accorti, ma devo confidarvi un mio piccolo segreto: sono molto tignoso e competitivo. Quando mi sfidano o mi provocano non riesco a tirarmi indietro. Cerco di nasconderlo, e so di riuscirci molto bene (vero?), ma purtroppo rimango spesso vittima di questo mio lieve difetto.

Ora, dopo che una interminata schiera di cialtroni mi ha attaccato con argomenti ad hominem del tipo: "quello non vale niente perché insegna in un'università di provincia", ho deciso di dedicare più tempo a quel simpatico (ma relativamente sterile) gioco intellettuale che si chiama "ricerca scientifica", e come vi ho fatto vedere già in un annetto son salito su per i ranking internazionali. Ora sono al 9% (quindi ho già sorpassato molti dei sullodati cialtroni), posso smettere quando voglio, ma ovviamente non prima di essere nel world top 5%. Mica per niente, eh! Lo faccio perché voi possiate essere fieri di me, s'intende...

Detto questo, la vita è un un inferno già al 9%. È un continuo di richieste di "referare" papers, e naturalmente di richieste di rispondere ai "referaggi" dei miei, di papers. Oggi mi sto dedicando a questa simpatica attività, e sono incappato nel solito keynesiano, quello che: "i neoclassici credono che l'aggiustamento avvenga tramite prezzi relativi, io non sono neoclassico, i prezzi relativi non contano" (come abbiamo visto in KPD2). Per i keynesiani per caso, in particolare, i prezzi relativi (cioè il rapporto fra i prezzi di due beni, insomma, quello che i comuni mortali chiamerebbero: "la convenienza") non hanno importanza nel lungo periodo, perché in media saranno sicuramente costanti.

Non so se sia un sillogismo (ai bei tempi avevamo con noi un filosofo), ma certamente è una lieve imprecisione, insomma: una sesquipedale cazzata. Qui c'è un problema di fondo, che è quello di capire cosa sia il lungo periodo. Una questione epistemologicamente complessa che non possiamo affrontare qui, dato che il post è rapido (cioè di breve periodo). Comunque, more on this later. Rimane il fatto che questo discorsetto in pratica non si applica ad almeno due categorie di paesi sottosviluppati: quelli esportatori di materie prime, vittime della secolare tendenza negativa delle ragioni di scambio dei loro prodotti, documentata da esempio qui, e quelli della periferia dell'Eurozona, vittime dell'ordoliberismo tedesco, illustrato da Cesaratto qui.

In sintesi, la pluridecennale tendenza tedesca alla deflazione, evocata da Meade nel suo articolo del 1957, e realizzata comprimendo la crescita salariale al di sotto di quella della produttività, ha una ovvia e spiacevole conseguenza: la Germania pratica una svalutazione reale competitiva di lungo periodo contro i suoi partner europei.

Lo dicono i dati, non lo dico io. Vi fornisco tre misure di questa mia asserzione, due ricavate (imperfettamente) dalle statistiche del Fmi, e una dal database del modello (per la sua costruzione potete leggervi la pagina 10 dell'articolo).

Prima però vi ricordo brevemente cosa è il tasso di cambio reale: è il rapporto fra il livello dei prezzi di due paesi, espressi in una comune valuta. Certo che non mi serve a nulla sapere che un cacciavite costa 29590 won coreani se non so quanto vale un won! (Eh, il wonnetto! Avercelo!...) Lo stesso valeva per i prezzi tedeschi: per esprimerli in una valuta comune fino al 1999 era necessario usare il cambio lira/marco. Dal 1999 questo cambio non c'è più (abbiamo visto com'è successo), ma questo ovviamente non altera la logica del ragionamento: semplicemente, facilita il confronto fra i nostri prezzi e i loro.

Un paio di formulette per capirsi. I tassi di cambio effettivi reali di Italia e Germania (dove "effettivi" significa: considerando come partner il resto del mondo) possono essere espressi in questo modo:

Al numeratore abbiamo i prezzi del paese in valuta nazionale, convertiti in valuta "mondiali" (es.: dollari) con un tasso valuta nazionale/dollaro; al numeratore abbiamo i prezzi medi "mondiali". La struttura è la stessa. Se vogliamo passare da un cambio effettivo a un cambio "bilaterale" (cioè: non Germania contro mondo, ma Germania contro Italia), una misura approssimata ce la dà il rapporto fra i rispettivi cambi effettivi, perché:

ovvero, il rapporto fra i rispettivi cambi effettivi è pari al rapporto fra i prezzi nazionali (nell'esempio, quelli di Germania e Italia) espressi in una comune valuta "mondiale". Se questo rapporto scende, la Germania sta svalutando.

Per il keynesiano doc questo rapporto deve essere fisso a uno, perché siccome i neoclassici neolibberisti neobbrutti e neocattivi neocredono che i prezzi contino, allora i prezzi non devono contare, e quindi (?) devono essere fissi. Ribadisco che in questo modo i "keynesiani per caso" si intrappolano da soli nella visione caricaturale che del keynesismo hanno confezionato i neoclassici: quella di un caso particolare del modello "vero" (che per i neoclassici è ovviamente il loro: ogni scarrafone è bello a mamma sua), dove però i prezzi sono fissi.

Non so perché i keynesiani siano così smaniosi di spiaggiarsi: come spiego in L'Italia può farcela, lo spiaggiamento è una prassi comune presso i mammiferi che hanno o credono di avere un cervello più pesante di quello altrui.

Dedicato quindi ai keynesiani per caso, oltre che al babbo di Luciano, il post precedente, procedo a mostrarvi i dati:


Le misure che vi mostro sono tre: CPI è il rapporto fra gli indici di tasso di cambio reale Fmi basati sugli indici dei prezzi al consumo, ULC è il rapporto fra gli indici di tasso di cambio reale Fmi basati sul costo del lavoro per unità di prodotto, e model è la misura del cambio bilaterale fra Italia e "core Eurozone" utilizzata nel modello. Notate che le prime due sono specificamente riferite al rapporto Germania/Italia. La nostra (model) è riferita al rapporto Italia/nucleo dell'Eurozona. Credo sia per questo che negli anni '80 mostra una minore tendenza alla svalutazione (discesa) di quella basata sul CPI: quest'ultima è riferita alla sola Germania, mentre la nostra considera anche paesi come la Francia, con inflazione relativamente più elevata. Si vede molto bene come prima dell'episodio del 1992-1993 vi fosse una tendenza alla svalutazione della Germania (o del nucleo dell'Eurozona) rispetto all'Italia, interrotta dalla crisi del 1992 che ripristinò la convenienza delle merci italiane rendendo meno cara la valuta italiana (nel grafico vedete la nostra svalutazione come una rivalutazione tedesca, ovviamente), e poi ripresa dal 1995. Il senso quindi è che tutte le misure concordano su un punto: dal 1995 la Germania sta svalutando competitivamente rispetto a noi (e sono ormai vent'anni), e prima del 1992 i dati mostrano sostanzialmente una tendenza analoga (va in controtendenza l'indicatore basato sul costo del lavoro). Sarebbe interessante andare più indietro: ora non ho tempo di farlo, ma se Meade non era un fesso immagino cosa troveremmo...

Naturalmente, va da sé, venti anni non sono il lungo periodo, per un keynesiano doc e per lui. Tuttavia, se il tuo campione di dati è di vent'anni e te ttu poni pari a zero per tigna ideologica il tasso di variazione del tasso di cambio reale (che invece nel caso della relazione Germania/Italia è evidentemente negativo, visto che questa variabile diminuisce regolarmente dal 1995), la tua equazione soffrirà di omitted variable bias, cioè, in parole povere, sarà pronta per la stampante della Merkel.

Mi avete capito?

E ora speriamo che mi capisca il referee...

Anche tu econometrico, prima lezione: le distribuzzioni

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Ragazzi, io vi voglio bene, ed è anche Natale, ma vi devo dire una cosa: certe volte ho l'impressione di svuotare il mare col cucchiaio. Ho avuto un paio di domande in coda al post precedente che mi hanno gettato nella disperazione più cupa, ma... Sto appunto contando fino a un miliardo prima di rispondere. Comunque, visto che l'economia rinuncio a insegnarla, proviamo con qualcosa di più complicato. Magari riesce meglio. Potrebbe sembrare un paradosso, ma non lo è del tutto: l'ho imparato da Kees Boeke, che millanta anni fa, in una master class, a una pippa che aveva un problema ritmico in non so più quale cosa del Pastor Fido, disse: "Perché non fai i trilli?" Ora, visto che il problema era evidentemente il solfeggio, l'idea di insistere sugli abbellimenti poteva sembrare assolutamente bislacca. Eppure, il pisquano ricominciò coi trilli, e questa volta il pezzo quadrava. E la spiegazione di Boeke fu assolutamente esemplare: "Certe volte basta distrarre l'allievo per portarlo a fare la cosa giusta".

Ognuno di voi (maschietti) si è servito senza saperlo di questo saggio consiglio almeno una volta nella vita - tranne Simone Previti (tralascio ulteriori spiegazioni per evitare l'intervento del KPO).

Allora: visto che non riesco in nessun cazzo di modo a farvi capire una cosa assolutamente concreta (cioè che di norma è un media le persone preferiscono comprare lo stesso bene dove costa di meno), oggi ci dedichiamo a un passatempo astratto, che ci servirà però per focalizzare alcuni concetti dei quali avremo bisogno nella nostra futura comune carriera di previsori economici (avete un grande - e incerto - futuro) davanti.

Supponiamo che non abbiate niente da fare e abbiate una moneta. La lanciate in aria e decidete che testa vale uno e croce vale zero. In linea teorica, potete aspettarvi che la probabilità di avere testa e quella di avere croce siano uguali. Ora, come saprete, le probabilità sono numeri compresi fra zero e uno. Quindi, se i due eventi che state considerando sono ugualmente probabili, entrambi avranno probabilità 0.5. Succede quindi una cosa di questo tipo (sempre parlando in astratto):

P(testa) + P(croce) = 0.5 + 0.5 = 1

Notate che un evento impossibile ha probabilità zero, per definizione. Far capire al piddino che il cambio flessibile non è immorale, per esempio, ha probabilità zero. L'evento certo, viceversa, ha probabilità uno. L'euro finirà con probabilità uno.

Allora, cosa significa, qua sopra, che la somma della probabilità di ottenere testa e di quella di ottenere croce è uno? Significa che se lanci la moneta, certamente otterrai o testa, o croce. Una delle due cose deve succedere per forza. Quindi 1 è la probabilità dell'evento: "o testa o croce". La somma delle probabilità indica la probabilità dell'evento che consiste nel verificarsi di almeno uno degli eventi le cui probabilità stai sommando (frase un po' complicata per un dopocena, ma se pensate all'esempio torna).

Fino a qui abbiamo parlato di quello che voi pensate sia probabile che accada: questa è la vostra percezione soggettiva della probabilità.Siamo quindi nel mondo della probabilità soggettiva.

Ma, tanto per dirne una, la moneta potrebbe essere sbilanciata. Magari da una parte è usurata, e quindi il suo baricentro la porta a cadere più spesso in un modo. Come si fa per verificarlo?

Ad esempio, un modo potrebbe essere lanciare la moneta in aria 100 volte, e poi dividere il numero delle teste ottenute per 100. Se la moneta è perfetta e avete fortuna, vi avvicinerete a 0.5.

Il numero che ottenete in questo modo è in effetti la frequenza relativa dell'evento testa: frequenza (cioè quando spesso capita) relativa (cioè riferita al numero totale di tentativi). Siamo nel mondo della probabilità frequentista.

Ora, qui si sono già aperti due mondi, quindi è meglio che li chiudiamo subito e facciamo un esempio. Siccome non ho niente da fare, ho lanciato cento volte una moneta in aria, e mi è successo questo:


Ops! Ho avuto 52 croci (che valgono zero) e quindi 48 teste (che valgono uno). La frequenza delle croci è stata 0.52, ed è in qualche modo una specie di "stima" della probabilità. Ora, direte voi, questo significa che la moneta è squilibrata? No, potrebbe anche significare che non ho provato abbastanza. D'altra parte, ripetendo l'esperimento, ho ottenuto:
...il 41% di croci: ma allora la moneta è squilibrata nell'altro modo? Bo'... Se ripeto l'esperimento:
...il 50% di croci e il 50% di teste... Le mie stime sono in effetti un po' ballerine: ripeto, forse 100 ripetizioni non sono abbastanza per ottenere una stima precisa della probabilità "vera", forse la probabilità "vera" nemmeno esiste, secondo von Mises dovreste ripetere l'esperimento infinite volte per avvicinarvici, ecc.

Notate come è fatta la distribuzione delle frequenze (probabilità?): è livellata, due valori uguali.

Oggi, però, non voglio parlarvi di questo. Diciamo che la frequenza relativa comunque una certa indicazione sulla probabilità di un evento (ripetibile) ce la dà, e vediamo cosa succede se consideriamo un evento di tipo diverso. Supponiamo che incontriate un vostro amico, e che decidiate di tirare in aria ognuno la sua moneta, sempre con la stessa regola: testa uno, croce zero, e di sommare i punteggi. Cosa può succedere? Se avete entrambi croce, la somma è zero. Se avete uno testa e l'altro croce, la somma è uno. Se avete entrambi testa, la somma è due.
Notate che i casi sono quattro:

tu croce, amico croce = 0
tu croce, amico testa = 1
tu testa, amico croce = 1
tu testa, amico testa = 2

Capite già che il "numero" che rischia di uscire più spesso, a questo giochetto è evidentemente l'uno, mentre lo zero e il due hanno probabilità più bassa. In effetti, prima ho incontrato un mio amico, ed è venuta fuori una cosa di questo tipo:


Ci sono uscite due teste 28 volte, due croci 24 volte, e una testa e una croce 48 volte. Vedete? In questo caso la distribuzione delle frequenze tende ad avere una forma a "tendina canadese": le frequenze (probabilità?) degli eventi estremi sono più passe, l'evento centrale (testa a uno e croce all'altro) è più frequente (probabile?). Notate che questo risultato si ottiene sommando due variabili "testa o croce" che invece hanno una distribuzione tendenzialmente livellata, piatta.

Poi, siccome ho tanti amici, passeggiando per il quartiere (perché non ho niente da fare, e del resto nemmeno loro, visto che sono statali improduttivi), ne ho presi una ventina, e gli ho chiesto: "Sentite, visto che non avete niente da fare, prendiamo ognuno una moneta, lanciamola in aria, poi sommiamo il numero delle teste: facciamolo cento volte, e vediamo che distribuzione di frequenze viene: se a tutti e venti esce croce, la somma sarà zero, se a tutti e venti esce testa, la somma sarà venti, in media dovrebbe venire un numero intorno a dieci". Lo abbiamo fatto, ed è venuto fuori questo:


Notate alcune cosette: le barre (frequenze) sono tutte più basse (relativamente piccole), e questo è ovvio: la probabilità totale è sempre uno, ma ora si distribuisce fra ventuno casi possibili, quindi a ogni caso tocca una probabilità più bassa. Notate anche che alcuni eventi non si sono mai verificati. Ad esempio, non è ma successo che tutti avessero croce (valore 0) o che tutti avessero testa (valore 20), ma nemmeno che 1 avesse testa e tutti gli altri croce (valore 1), o che uno solo avesse croce e tutti gli altri testa (valore 19). Viceversa, la cosa che è successa più spesso è che metà avessero testa, e metà croce: il valore 10 si è presentato nel 20% dei casi (frequenza relativa 0.2).

Notate anche che sommando venti variabili "testa o croce" dalla distribuzione piatta ("fifty fifty", 0.5-0.5, come nel terzo grafico sopra), abbiamo ottenuto una variabile dalla distribuzione lievemente "a campana", con un valore centrale più elevato, e valori lontani dalla media sempre meno probabili.

E ora, supponiamo di prendere tutti i piddini che ci circondano, ognuno con la sua monetina in mano, e di far loro lanciare la monetina in aria, per poi sommare i risultati, e calcolare la frequenza relativa. I piddini sono tanti: secondo la Bibbia, il loro numero è infinito. Cosa verrebbe fuori? Gli amici matematici lo sanno: una cosa molto simile a questa:


Si chiama curva gaussiana, o distribuzione normale di probabilità. Il teorema di De Moivre-Laplace ci dice appunto che se sommi un numero infinito di variabili casuali binomiali (sarebbero quelle somme delle quali vi ho parlato sopra), la distribuzione delle frequenze dei risultati seguirà una curva a campana di questo tipo. La dimostrazione, se interessa, è qui e a me la spiegò Gennaro Olivieri a Matematica finanziaria II. Da quel giorno capii che la matematica mi piaceva: veder emergere una distribuzione continua dalla somma di bernoulliane mi procurò una discreta (o continua) sindrome di Stendhal. In matematica, poi, sono beato come un economista. Ma forse ricorederte questa scena:


"Si intende di armi, mister Bond?""No, mi intendo un po' di donne".

"Si intende di matematica, mister Bagnai?""No, mi intendo un po' di bellezza".

E il teorema di de Moivre-Laplace è bello.

Ora voi direte: ma a noi che ce ne frega? E la risposta la so: niente. Però se vogliamo parlare di incertezza, se vogliamo veramente capire qualcosa di previsione, se vogliamo ragionare su quanto siano attendibili le previsioni del nostro modello (dove il "nostro" ovviamente si riferisce a chi ha pagato il biglietto, non ai pur graditi portoghesi), un po' di calcolo delle probabilità bisognerà pure che proviamo a impararlo.


Il risultato che vi ho fatto vedere è un caso particolare di un teorema di statistica noto come teorema limite centrale (ora arriva Basilisco, eccolo...), il cui senso è: se ripetiamo un certo evento per un numero sufficientemente elevato di volte, la distribuzione delle sue frequenze tenderà a una normale. In effetti, la normale si chiama così proprio perché è normale che eventi ripetuti obbediscano ad essa: l'evento più probabile, con la frequenza più alta, sarà quello che corrisponde al valore che ci aspettiamo in media, e a mano a mano che ci allontaniamo dalla media, la frequenza (probabilità) degli eventi sarà sempre più piccola, tendendo più o meno rapidamente a zero.

Ci serve?

Abbastanza sì.

Pensate ad esempio a quando abbiamo parlato della funzione del consumo. Abbiamo detto, con Keynes: "di norma e in media ogni individuo aumenta i propri consumi all'aumentare del reddito, ma non di tanto di quanto è aumentato il reddito".

Ad esempio, se un individuo consuma il 75% del reddito, mediamente succederà che C = 0.75 Y.

Ora, noi non osserviamo il consumo di "un individuo": potremmo anche farlo (se ci autorizza il magistrato), ma in macroeconomia, per fare prima, osserviamo i consumi di tutti gli individui. È possibile mai che tutti gli individui di un paese, posto anche che il loro desiderio sia di consumare esattamente e solo il 75% del proprio reddito, ci riescano sempre e comunque e in ogni anno?

La risposta, ovviamente, è no, per cui già possiamo immaginarci che anche a livello del singolo individuo il comportamento potrà essere meglio descritto da una cosa del tipo:

Ci = 0.75 Yi + ei

dove l'indice "i" indica l'individo e la lettera "e" indica l'errore, la distanza fra il valore teorico di quello che l'individuo avrebbe voluto consumare (o ci saremmo aspettati che consumasse), ovvero 0.75 Yi, e quello che effettivamente ha consumato, e noi vediamo nelle nostre statistiche, ovvero Ci. In altre parole, sarà:

ei = Ci - 0.75 Yi

(scarto fra valore misurato del consumo e valore teorico).

Ora, se non possiamo aspettarci che nessun individuo rispetti esattamente i propri piani di spesa, ovviamente nemmeno a livello aggregato questi saranno esattamente rispettati. In altre parole, anche la funzione aggregata del consumo avrà un qualche errore statistico, cioè sarà una cosa del tipo:

C = c Y + e

dove c è la propensione marginale al consumo, ed e è l'errore statistico della relazione aggregata.

Di questo errore noi non sappiamo nulla: se sapessimo qualcosa, ne terremmo conto nella nostra funzione, e magari la modificheremmo di conseguenza. Una cosa però la sappiamo: siccome l'errore e è la somma degli errori ei fatti da tanti individui i, per il teorema limite centrale la sua distribuzione di probabilità sarà normale.

Ovviamente

#CHEW

per ora, ma, come vedremo abbastanza rapidamente nei prossimi post, questa semplice informazione ci permette di effettuare previsioni che tengano conto in modo professionale dell'incertezza. Questo perché, in buona sostanza, sapere come è fatta la distribuzione di frequenza degli errori ci permette di calcolare quale è il margine di errore del nostro modello, con un grado di probabilità assegnato. Invece di dire: "il Pil crescerà dello 0.5%", potremo dire cosine un filo più sofisticate, del tipo: "il tasso di crescita del Pil cadrà, con una probabilità del 90%, in un intervallo fra -0.2% e 0.6%", tanto per dire.

Per ora vi do dei numeri a casaccio, ma poi, naturalmente, torniamo su tutto, comprese le domande che mi hanno dato la piacevole sensazione di star vuotando il mare col cucchiaio.

Pubblico senza rileggere perché ho il prof. Santarelli di sotto. Gli errori trovateli voi.


P.s.: ieri sera, sempre a proposito di bellezza, magnandome le cotolette d'abbacchio fritte co' li carciofi fritti in un ristorante goofyaccreditato (frequentato peraltro da economisti ortodossi del calibro di un... non ve lo dico!), dove ho incontrato l'amica Donna Olimpia (compagna di tante battaglie musicali), ho anche appreso (o saputo di apprendere) da Marco Basilisco che il teoremino di cui sopra ha a che fare col fatto che la normale è una distribuzione che massimizza l'entropia, e che Shannon aveva congetturato che il teorema limite centrale potesse in definitiva essere spiegato in questi termini, dal momento che ogni variabile aleatoria che aggiungi alla somma di fatto ne aumenta l'entropia. Avrò capito? Comunque anche i matematici non hanno capito subito, ci hanno messo un po' a dimostrare questa congettura, che se capisco bene generalizza il teorema limite centrale, o comunque ci arriva da un'altra strada. Dal che conseguono due corollari. Il primo è che l'attrazione di Basilisco per l'entropia motiva la sua attrazione per Rockapasso (soprannominata, appunto, "Entropia", dagli ingengngnieri che la frequentavano). La seconda, più superficiale, riguarda la natura della ricerca scientifica, che secondo Basilisco consiste nel trasformare una risposta in una domanda. Cioè: De Moivre a Laplace hanno risposto alla domanda "che succede alla distribuzione di una somma di binomiali?". E la risposta era: "È gaussiana". A questo punto l'econometrico ci lavora, e il ricercatore si chiede: "Ma perché è gaussiana?".

E poi si muore, soli, come si è soli quando si capisce.

Un esempio

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Uga: "Perché lo fotografi? Fa ridere?"

Io: "Dipende. Che giorno è oggi?"

Uga: "Il 29, perché?"

Io: "Di agosto?"

Uga: "Ah, ho capito!"

I benefici di Renzi: il piciernile nel modello di a/simmetrie

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Avendovi parlato dei costi di Monti, argomento che approfondiremo, vorrei per simmetria parlarvi dei vantaggi di Renzi. Vi ricorderete che all'annuncio dei famosi 80 euro in busta, la competente deputata del PD Pina Picierno ebbe a dire ex cathedra che i consumi sarebbero aumentati del 15% (ovviamente, sulla base di una stima dell'attendibile CENSIS, che i suoi conti li sa fare molto bene). Era ovviamente una scemenza plateale, rivelatrice di una ignoranza crassa dei più elementari fatti stilizzati macroeconomici. I consumi italiani, se pure in caduta libera, viaggiano sugli 800 miliardi di euro, il 15% di 800 miliardi è 0.15x800=120 miliardi, si stimava che la manovra avrebbe redistribuito alle famiglie circa 7 miliardi di euro (vedi oltre), quindi per l'onorevole Picierno 7 miliardi di spesa avrebbero generato 120 miliardi di Pil (perché i consumi, come sapete, sono una componente del Pil: Y = C + G + I + X - M), ovvero per l'onorevole Picierno il moltiplicatore dell'economia italiana è di 120/7=17.1.

Se pensate che Francesco Lippi mi ha amichevolmente "cazziato" perché in a/simmetrie il moltiplicatore va a 1.8 in recessione (cosa ampiamente ammessa dalla letteratura scientifica, peraltro), c'è da chiedersi cosa farebbe all'onorevole Picierno se la incontrasse.

Ma qui si entra nel campo dei sentimenti, e io preferisco restare in quello della scienza.

Il nostro liberista di riferimento creò per l'occasione l'espressione piciernile, una nuova unità di misura, specificamente ideata per misurare i grandi successi del governo Renzi. Inutile dire che siccome l'onorevole Picierno viene trovata avvenente da alcuni italiani medi (soprattutto di area renziana), il nostro liberista di riferimento venne travolto da una valanga di contumelie che in particolare gli rimproveravano un supposto "sessismo". In realtà né Puglisi né alcuno si era azzardato nemmeno a pensare che l'onorevole Picierno avesse detto una scemenza perché donna e/o perché bella. Ma d'altra parte il fatto che fosse donna non poteva costituire elemento ostativo all'evidenziare come quella detta fosse una plateale scemenza. 

Sarebbe ben triste se il PD si servisse delle donne come certe organizzazioni criminali si servono dei bambini, mandati a compiere piccoli (ma fastidiosi) crimini perché virtualmente non incriminabili!

A suo tempo vennero fatte analisi serie ed approfondite. Ricordo appassionati scambi di tweet fra Nannicini e Manfredi su quale sarebbe stato il moltiplicatore di questi 80 euro. Tutta una serqua di interessanti disquisizioni su come la propensione al consumo vari fra le diverse categorie di percettori, su come ci sarebbe voluto un modello microeconomico, ecc. ecc. Il modello di a/simmetrie non c'era. Se ci fosse stato, in un decimo di secondo avrebbe potuto produrre, nella rozzezza (si fa per dire) del suo approccio macroeconomico, i risultati che vedete qua sotto.

Per simulare il piciernile abbiamo incrementato di 6600 milioni (6,6 miliardi, l'importo della manovra nel 2014 secondo i tecnici del Senato) i trasferimenti alle famiglie (variabile TRPG del modello). Attraverso le equazioni [5.5], [5.8], e [5.10] (Appendice 4) questa variabile influisce direttamente sul reddito nominale delle famiglie. In linguaggio Eviews (se interessa) si tratta di scrivere queste poche righe:

Poi si fa un clic, e escono i risultati:


Secondo il modello, l'aumento in termini di reddito disponibile reale (cioè deflazionato per l'indice dei prezzi al consumo, cioè espresso in termini di effettivo potere di acquisto: è la variabile YDHR del modello) sarebbe stato lievemente inferiore (6,4 miliardi), per vari motivi, fra i quali il sia pur infinitesimo impatto della manovra sui prezzi. Ma qui siamo sui decimali. Comunque, il reddito disponibile sarebbe aumentato dello 0.71% in termini reali. L'aumento dei consumi in termini reali (CPV) sarebbe quindi stato dello 0.51% (abbastanza vicino al 15%, in effetti: basta scambiare le cifre e moltiplicare per 100). L'aumento del Pil (variabile GDPV) sarebbe stato quindi di 3207 milioni, cioè lo 0.24%. Le ultime tre righe riportano il tasso di crescita reale (cioè il % ch. a.r. = % change annual rate = variazione percentuale annua di GDPV): invece del -0.75% dello scenario di riferimento, avremmo avuto un -0.51%.

Questa valutazione macroeconomica ottenuta in quindici secondi coincide, se ci fate caso, con la più strutturata e competente valutazione fornita da Montella e Mostacci, che parlano di un aumento del Pil dello 0.32% senza considerare gli impatti collaterali, determinati in particolare dalle modalità prescelte per il finanziamento del bonus (che questa simulazione altresì non considera, mentre considera i feedback di tipo macroeconomico: ad esempio, l'aumento dei prezzi).

C'è poi da considerare una cosa, che magari sfugge. Il futuro, si sa, è incerto. Tutti questi ragionamenti non ne tengono conto, ma il modello sì, può farlo. Come? Ve lo spiego con calma un'altra volta: diciamo che il metodo si chiama "simulazione stocastica" e si basa sul simulare il modello tenendo conto del fatto che ogni equazione è soggetta a un errore statistico per i motivi che ho cercato di spiegarvi qui. In pratica, ogni equazione viene "shockata" aggiungendole un "disturbo" aleatorio estratto da una distribuzione gaussiana convenientemente scelta, che misura appunto l'incertezza (si può anche usare il bootstrap, per chi sa cos'è, così evitiamo: "Maestra? Perché non hai usato il bootstrap?", cui immediatamente segue la mia emotional response: "Sai cosa ti dice il bootstrap?").

Ora, il fatto è che quanto più precise sono le equazioni, cioè quanto meglio approssimano quello che è successo, tanto minore si suppone sia l'incertezza sul futuro. Il modello di a/simmetrie è singolarmente preciso. Lo scarto quadratico medio della simulazione stocastica del Pil è appena dell'1.5%. Vorrei vedere quelli della concorrenza. Il fatto è però che l'1.5% (cioè l'incertezza) è più dell'effetto atteso del piciernile (lo 0.24%), dal che consegue, in buona sostanza, che se costruiamo un intervallo di confidenza approssimato (cioè un intervallo all'interno del quale il Pil cadrebbe con probabilità 95%, costruito prendendo due s.q.m.), nonostante questo intervallo, nel caso del nostro modello, sia relativamente piccolo, l'impatto sul Pil prima e dopo il piciernile (impatto misurato dallo spostamento verso l'alto del quadratino blu) è largamente all'interno della banda di incertezza (misurata dalle sbarre rosse):


Questo significa che dal punto di vista statistico il piciernile è pari a zero, cioè, fuor di metafora, gli 80 euro di Renzi non hanno avuto un impatto percepibile ex post perché erano statisticamente non significativi ex ante.


Insomma, alla fine il risultato è stato zero, perché doveva essere zero, ed è per questo che le cose vanno come vanno.

Va da sé che questo risultato oggi, dopo che lo abbiamo constatato, non ci serve a molto. A me è servito per "validare" il modello. Secondo le nostre stime, dovremmo essere operativi a fine gennaio, cioè allo scadere del primo contratto di Christian, che stiamo cercando di rinnovare. Operativi significa che appena la Picierno parla, arriva il grafico (con tempi di reazione contenuti entro le 24 ore).

Una bella operazione di fact checking, non trovate?

L'ipercorrettivismo è la malattia senile dell'analfabetismo

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Questo post ha diversi sottotitoli:

Non omnes possumus omnia
Qui bene amat bene castigat
Colpirne uno per educarne un altro (rectius: un'altro)
Meglio perdere un amico (de che?) che una buona risposta

Enunciato il sottotitolame, entriamo in argomento. Ricevo da un sedicente matematico questa sconclusionata missiva:



-------- Messaggio Inoltrato --------
Oggetto: Se insisti ...
Data: Tue, 30 Dec 2014 11:45:06 +0100
Mittente: Marco Basilisco <basilisco@monticchiello.unimorena.it>
A: bagnai@unich.it

... con intervallo di confidenza dirò decade ogni volta che mi pare.
E triviale per dire banale!

Bene, bene, bene, bene...

Ora: io sono un abisso di misericordia (Barmherzigkeit), un oceano di comprensione, una perenne scaturigine di umanità, e una insospettabile riserva di pazienza, ma se c'è una cosa che mi fa girare veramente le sfere sono gli ipercorrettivismi. L'ipercorrettivismo eccita la parte peggiore di me (cioè la migliore, quella che se lasciata libera di perseguire i propri obiettivi renderebbe in un paio di mesi il mondo un posto vivibile) perché si basa su un colossale equivoco. Normalmente l'ipercorrettivista è una persona che pensa di essere un mio simile, non nel senso di avere due (o tre, nel caso dei maschietti) gambe e una testa a separare le orecchie, ma nel senso di essere una persona "colta".

I miei cosiddetti simili: quanta saggezza in queste parole di Gadda.

Dove risiede qui l'ipercorrettivismo (malattia senile dell'analfabetismo: sintomi, una piddina sapienza di sapere una cosa della quale non si sa un cazzo, cioè la lingua italiana)? Risiede nel fatto che io (come il 99% degli statistici ed econometrici italiani) chiamo intervallo di confidenza il confidence interval. Siccome "confidenza" significa anche "rivelazione di un segreto, di una notizia riservata", ma anche "familiarità, dimestichezza", una persona dal campo semantico sufficientemente ristretto potrebbe evidentemente considerare come maccheronica questa traduzione. Certo, sappiamo,
NOI

che confidenza ha anche questo significato. È il significato che assume in spagnolo nella nota espressione "donde hay confianza da asco", o anche "donde hay confianza hay mierda", a significare i pericoli insiti nell'accordare eccessiva confidenza a soggetti appartenenti a settori disciplinari diversi dal tuo (ma anche uguali al tuo).

Secondo l'amico (appunto), la traduzione corretta sarebbe un mai sentito "intervallo di fiducia". Io ho provato a cavarmela scherzandoci sopra (era il colpo d'avvertimento), e ricordando che "la fiducia si dà alle cose serie", e un segmento non è una caciotta.

Niente, ha insistito.

E allora selettore a raffica...

Dunque:

premesso che

pur rispettando la Magna Grecia e i suoi derivati (come del resto la Lapponia o la Casamance) non accetto lezioni di italiano da chiunque non sia nato all'interno del quadrilatero di coordinate 43.789594, 11.228359; 43.787239, 11.284664; 43.759224, 11.241202; 43.759286, 11.266007 (e mi son tenuto largo),

considerato che

il soggetto in questione proviene da un ambiente svantaggiato ed è finito in un ambiente svantaggiatissimo (vedi areale stepposo, non do le coordinate), il che costituisce attenuante specifica

viste le voci

"confidenza" del Dizionario Devoto-Oli e "confidenze" del Dizionario Sansoni, che si riportano in allegato al dispositivo della sentenza, questo organo monocratico

stabilisce quanto segue

clicca e ascolta bene.



"Intervallo di confidenza"è una traduzione perfettamente legittima di "confidence interval" (a meno che tu non voglia insegnare l'italiano a De Finetti, perché con me ti dice male), atteso che la prima traduzione di confidence nel senso di trust, relianceè appunto "confidenza" (e l'intervallo di confidenza a cosa serve, se non ha valutare la reliability di una previsione, o, come nel post precedente, la sua totale infondatezza), e che il terzo significato di confidenza è appunto fiducia (che copre un campo semantico lievemente diverso).

Ora, vedi, io non vorrei dirtelo, ma mentre le anaconde e le malgame non esistono (esistono gli anaconda e gli amalgama, però: i primi non li ho mai incontrati, tu hai forse incontrato i secondi), mentre una decade non è un decennio (ma va?), mentre seminale in italiano è una cosa liquida, non una cosa avanzata (nel senso di pionieristica, perché in effetti anche cose seminali possono avanzare, anche se poi si seccano, come mi sto seccando io, ma in un modo diverso), d'altro canto "intervallo di confidenza" si può dire, è una traduzione assolutamente corretta.

Torno a ripeterlo, serenamente, laicamente: non è colpa mia se non siete nati all'interno delle quattro coordinate di cui sopra; non è colpa mia se avete passato la vita a leggere le traduzioni dei romanzi sbagliati. Fosse anche una colpa, io non vi giudicherei per questo. Chi sono io per giudicare? Sapete, nel Vecchio Testamento ci sono tante cose, e c'è anche una versione universalmente nota della morale della favola: il Salmo 129, che qui vi propongo in una delle sue versioni più convincenti: So du willst, Herr, Suende su rechnen... (e solo chi c'è stato dentro sa cos'è).

Però, per favore: abbiamo già avuto un vivaista commissario dell'ANVUR. Risparmiamoci il matematico Accademico della Crusca.

Bene.

Seguono gli allegati, e tranquillo: ti è andata bene.


Allegati





(ah, ovviamente il post vale per te, ma vale anche per l'altro. Lui sa chi è...)

(se non basta, ce n'è ancora...)

("qui è la mia volontà contro la vostra e voi avete già perso. Quando sembrerete degli economisti, comincerete a pensare da economisti". Basta avere gli strumenti didattici appropriati... Ah, naturalmente gli Stati Uniti non sono nazionalisti, Clint sta esagerando...)

La säga dell’Äni

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Sarà una lunga storia.

Le condizioni climatiche le sapete.

Ieri sera stavo cucinando per i bambini, si spengono i fornelli.

Provo ad accenderli, uno sbuffo di gas, poi il niente. La caldaia comincia a fare un rumore strano. La spengo.

Chiamo l'Äni, e qui comincia la parte divertente (tranquilli, non morirò di fame e ho inverter in tutte le stanze).

Il primo operatore, chiamato alle 20. Dopo mezz'ora di musichetta interloquisce. Io avevo l'ultima fattura (pagata), pensando che sarebbe bastato il numero cliente. Risposta: "Il servizio guasti non condivide i dati col servizio commerciale". Ecco: quindi se avete un guasto, ma non siete clienti Äni, chiamate anche l'Äni, che magari nel dubbio arriva. Passo così un quarto d'ora a parlare del mio argomento preferito: me. Ma apprendo una cosa importante: per l'Äni noi non siamo solo un numero. L'operatore infatti entra in loop come una routine basic scritta male quando gli segnalo che sul citofono non c'è il mio nome, ma un numero. Questa cosa fatica un po' a comprenderla: "E allora come faccio a trovarla?". Gli faccio capire che esiste una corrispondenza biunivoca fra il mio appartamento e il numero sul citofono. Passando per Cauchy riesco a convincerlo. Provo a dirgli: "ma eventualmente potete telefonarmi, e scendo ad aprire il locale dei contatori". Risposta: "Noi non abbiamo questo dato". Io penso: "Cazzo, mi hai chiesto se ho avuto malattie importanti, non vuoi chiedermi il numero di telefono? Guarda che te lo do". Ma ovviamente, stanti le difficoltà già incontrate, rinuncio.

Mi dice di chiudere contatore e valvola dell'appartamento, e che passerebbero in serata.

Eseguo.

Mi stendo e crollo dal sonno. Alle 21 mi risveglio bestemmiando, pensando che devo aspettare i solerti addetti.

Alle 22 torna Rockapasso, delego e provo ad addormentarmi, ma ovviamente niente. Lei si pone il problema: ma questi quando arrivano? Mica arriveranno all''una.

Richiama. Altro "ticket": come ti chiami, quanti anni hai, cosa vuoi fare da grande...

Alla fine il responso: al massimo entro le 24, e comunque telefoniamo. Lei: "Ma se il numero non ce l'a...""Tuu, tuu, tuu...".

Almeno dormiamo.

Questa mattina, caffè dalla suocera (sempre sia lodata), dopo di che richiamo. Almeno questa volta la voce era partenopea, anziché padana: già un progresso, o una correlazione, fate voi.

Stessa storia: nome, cognome, via, quartiere... (pure il quartiere: credo che il consumo mondiale di lignite sia sostenuto dagli elaboratori elettronici dell'Äni!).

Allora je dico: "No, sa, siccome avevate detto che passavate ieri, mi stavo preoccupando per voi, volevo sapere se avevate avuto un problema, magari qualcuno s'è inteso male, o io non v'ho sentito". Lui fa: "No, guardi, è che ci pensa il servizio tecnico di Roma, e comunque quando arrivano la chiamano al XXX YYYYYYY".

Il numero che il servizio guasti non aveva, perché non incrocia i dati col servizio clienti.

Dal che si evince:

1) che l'Äni è una banda di cazzari (e questo si sapeva: basti pensare che il suo difensore d'ufficio è il direttore del PUDE24Ore);

2) che i napoletani sono più efficienti dei padani;

3) che la colpa è di Alemanno (se siete di sinistra) o di Marino (se siete di destra), visto che quelli che devono intervenire sono dei romani.

Vi terrò al corrente dei piacevoli sviluppi. Se incontrate l'Äni, salutatemela...

Se un ci si vede, auguri!

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