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Canova

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(la serata era off-records, quindi opportunamente degiornalistizzata - e anche queste so' ssoddisfazzioni: brutti cojoni, quando me servivate nun c'eravate, e mmo che vve servo io ve cacciano... Quindi non posso dirvi cosa hanno detto gli altri, anche perché è inutile: lo sapete già - il sogno, la politica che vola alto, non sarebbe una passeggiata, è colpa nostra, ecc... Posso però dirvi cosa ho detto io nei 20 minuti che mi son stati accordati per rispondere a circa un'ora di osservazioni, molte delle quali non scontate, e molto stimolanti, come la qualità degli intervenuti lasciava supporre...)


Questo libro, e in generale la mia attività divulgativa, nasce per lasciare una testimonianza. Ora, una testimonianza non deve essere difesa dal suo autore: una testimonianza deve essere difesa dal tempo.

Se il tempo deciderà di difendere il mio libro, non ci sarà bisogno che lo difenda io, e qualora il tempo decida di farlo sarò abbastanza cavalleresco da dimenticarmi le critiche che son state mosse al libro stasera.

Se invece il tempo deciderà di non difendere il libro, e quindi questo sistema si perpetuerà, cosa che necessariamente avverrà al costo delle tensioni sociali che ha evocato il professor Savona, be', allora una mia difesa sarebbe comunque inutile, ma sono sicuro che, prima di morire, sarò abbastanza sportivo da riconoscere di essermi sbagliato, e sulla mia lapide vorrò le parole con le quali mi ha definito il prof. Manasse dell'Università di Bologna, che ricordo con stima e affetto: "Tanto efficace come blogger, quanto irrilevante come economista".


(...risate in sala...)

Zingales e la svalutazione strutturale continua

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(...tanto nomini, nullum par elogium)

Vi avevo promesso che mi sarei occupato dei giornalisti. Invece, proprio a riprova del fatto che la categoria cui appartengo è migliore di quella alla quale appartengono loro, mi occupo (cosa che loro dovrebbero fare non dico più spesso, ma almeno una volta) di verificare le asserzioni contenute nell'audizione che un mio illustre collega, Luigi Zingales, ha tenuto presso la Commissione Finanze della Camera dei Deputati. Per motivi facilmente intuibili (vedi alla voce: "giornalisti") questa audizione è stata ripresa niente meno che dal Foglio, un quotidiano che "fa opinione" (l'uso del verbo "fare" avendo assunto di recente un noto significato politico).

Analoga sorte non era toccata alla mia, di audizione, ma non sempre si può vincere!

Un passaggio dell'audizione è particolarmente significativo. Ve lo riporto:


"Se l’Inghilterra non avesse potuto svalutare il 30-40 per cento rispetto all’euro, oggi sarebbe in una situazione molto peggiore di quella in cui è. Il vantaggio dell’Inghilterra è però che si è permessa, ha svalutato solo quando ne aveva bisogno, e non come politica strutturale continua, come ha fatto l’Italia negli anni 70 e 80"

Questo passaggio contiene un'affermazione giusta, ma banale: è assolutamente ovvio a qualsiasi economista che poter contare sulla flessibilità del cambio in caso di shock esterni facilita grandemente il processo di aggiustamento di un'economia. Semplicemente, se la domanda mondiale cala, e c'è quindi meno richiesta dei beni prodotti all'interno di un paese, normalmente ci sarà meno richiesta della valuta del paese in questione. Di conseguenza, questa valuta si deprezzerà, ripristinando rapidamente (e senza richiedere tagli dei salari) la competitività dei beni del paese in questione: il loro prezzo in valuta estera diminuirà, a parità di prezzo in valuta nazionale, perché la valuta estera costerà di meno. Se invece il paese è ancorato a un accordo di cambio fisso coi suoi principali partner commerciali, allora il ripristino della competitività, cioè il calo del prezzo in valuta estera dei beni nazionali, deve necessariamente passare per una riduzione dei prezzi in valuta nazionale (visto che il cambio non può scendere), e quindi, nel breve periodo, dei salari (visto che nessuno crede che la produttività possa crescere dall'oggi al domani con un colpo di bacchetta magica).

Ma il passaggio contiene un'altra affermazione, subdolamente errata: quella secondo la quale noi avremmo svalutato la lira "come politica strutturale continua" nel corso degli anni '70 e '80. Insomma, l'idea che noi non ci meritiamo di gestire la nostra valuta perché non sappiamo farlo, idea esposta, ad esempio, ieri, da qualcuno che non nomino durante la presentazione del mio libro (al che mi è venuto spontaneo girarmi verso il prof. Savona e dirgli: "Sta dicendo che tu e Masera non sapevate fare il vostro lavoro". E ci abbiamo riso su).

Se permettete, parlerò degli anni '80, e più esattamente del periodo dello Sme. Quello che segue è il grafico del tasso di cambio incerto per certo della lira rispetto al marco tedesco.



Due parentesi metodologiche, visto che a voi piacciono i post "tecnici".

Primo: i dati sono tratti dalle International Financial Statistics, che riportano i cambi in quotazione incerto per certo rispetto al dollaro o, nel caso dei paesi europei, rispetto all'Ecu. Forniscono cioè il prezzo in valuta nazionale del dollaro o dell'Ecu (cioè quante lire - o marchi - occorrono per comprare un dollaro o un Ecu). Le stucchevoli polemiche alimentate da alcuni dilettanti euronativi sulla presunta astrusità di questo metodo di quotazione urtano contro il fatto che le fonti internazionali lo adottano in modo prevalente, e per un motivo logico ben preciso. In generale, per un paese che non siano gli Stati Uniti, la valuta di riserva (quindi, in primis, il dollaro) è una risorsa scarsa (non te la puoi procurare "stampando" ma solo esportando), oltre a essere una risorsa necessaria per acquisire alcune materie prime. È quindi assolutamente ovvio che quello che interessa è sapere quanto essa costi in valuta nazionale, e questo è quello che ci dicono le fonti internazionali, con buona pace dei dilettanti.

Secondo: "Ma se le IFS riportano i cambi con l'Ecu, perché tu riporti il cambio col marco?". Perché l'ho calcolato come cross rate. Il prezzo in lire del marco (riportato nel grafico) è il rapporto fra il prezzo in lire dell'Ecu e il prezzo in marco dell'Ecu. Insomma: ITL/DEM = (ITL/ECU)/(DEM/ECU). Le serie utilizzate sono le medie di periodo (dati mensili), cioè: 136..EB.ZF... e 134..EB.ZF...

E allora?

"E allora, ecco, vedi, ha ragione Zingales, perché il prezzo in lire del marco è salito costantemente, e questo significa che la lira si è costantemente svalutata, quindi, come al solito, tu manipoli i dati, facciamo bene a non fidarci di te, che ce l'hai con l'euro perché vuoi distrarci dal vero colpevole: i mercati finanziari cattivi!"

(so che non potete crederci: eccovi serviti, ecco chi vi tutela, poveri consumatori!)

Calma!

Calma!

Ricordiamoci di una cosa che ci riporta all'essenza della Goofynomics: ogni svalutazione di qualcuno è la rivalutazione di qualcun altro. Ora, vi ricordate voi come funzionava lo Sme, il sistema di cambi fissi ma aggiustabili in vigore durante il periodo rappresentato nel grafico? Le valute partecipanti, fra le quali la lira e il marco, dichiaravano la propria parità centrale rispetto all'Ecu, una valuta "paniere" il cui cambio era una specie di cambio effettivo, cioè di media ponderata dei cambi di tutte le valute partecipanti (qui qualche dettaglio in più).

Quando vediamo che la lira perde terreno rispetto al marco, questo può dipendere da diversi fattori:

1) la lira si è svalutata rispetto all'Ecu, mentre il marco ha mantenuto la parità;

2) il marco si è rivalutato rispetto all'Ecu, mentre la lira ha mantenuto la parità;

3) una combinazione dei due effetti precedenti.

Come facciamo a sapere cosa è successo? Certo, osservare solo il cambio lira/marco non ci aiuta, eppure la domanda non è banale, perché, appunto, è strano come una svalutazione vista dall'estero somigli a una rivalutazione! Se ci vogliono più lire per acquistare un marco, si è rivalutato il marco, o si è svalutata la lira? Contabilmente i due fenomeni coesistono, sono equivalenti, ma dal punto di vista economico qual è stato il "motore", la causa, dell'aggiustamento osservato nel prezzo della valuta? Si può determinare?

Allora, mettiamola così. Il tasso di cambio è un prezzo, e in quanto tale dovrebbe reagire agli eccessi di domanda, in modo da "pulire" il mercato. Ora, qui di seguito vi riporto i saldi delle partite correnti di Germania e Italia negli anni dello Sme (mi scuso: la pigrizia mi impedisce di darvi dati più "fini", e le serie trimestrali dell'ultimo IFS cominciano dal 2005):


E qui qualche indizio lo otteniamo. Intanto, all'inizio dell'esperienza dello Sme sia Italia che Germania erano in posizione deficitaria (ricorderete che si veniva dallo shock petrolifero del 1979). Poi si riportano in equilibrio, poi la Germania decolla, e poi dal 1986 inizia - con il cosiddetto Sme credibile - lo slittamento verso il basso dell'Italia. La Germania ha un reversal nel 1991, a causa delle massicce importazioni di capitali seguite al crollo del muro, e l'Italia nel 1993, a causa del crollo dello Sme credibile, che credibile non era e esplose nel settembre del 1992 (come sapete).

Ora, in questo periodo, chi è stato più lontano dall'equilibrio? Noi, o loro? (Suggerimento: loro sono quelli in blu).

Loro!

Bravi. E qui qualche scemo dirà: "Ecco gli astrusi sofismi di Bagnai che vuole convincerci che noi italiani non siamo quelle merde che evidentemente siamo - beninteso me escluso - mentre i tedeschi sono tuttiÜbermenschen - Hartz incluso!"

Eh, caro autorazzista (giornalista, politico, o semplicemente pirla che tu sia), stavolta però non attacca! Perché, vedete, per capire se svalutavamo noi, o rivalutavano loro, basta andare a vedere la cronologia dei riallineamenti del cambio all'interno dello Sme, che trovate qui. Vi riassumo in un quadro sinottico i principali episodi:


Che si vede? Si vede che in effetti, nella storia dello Sme, sono stati più frequenti, e cumulativamente più rilevanti, i riallineamenti del marco, che quelli della lira. Inutile dire a voi (a per altri versi al dr Trezzi) che in questa tabella le svalutazioni hanno segno più (aumento del prezzo della valuta estera in termini di valuta nazionale) e le rivalutazioni segno meno (diminuzioni del prezzo della valuta estera in termini di valuta nazionale). Ora, il dato è e rimane che la lira si è riallineata quattro volte, il marco sei, e l'importo cumulato dei riallineamenti della lira è più o meno lo stesso di quello dei riallineamenti del marco.

Attenzione, c'è un caveat, ed è questo: ricordatevi sempre che la lira (come la sterlina, l'escudo e la peseta) era entrata nello Sme con una banda di oscillazione allargata (del 6% anziché del 2.25%). Questo spiega perché la cumulata dei rispettivi riallineamenti non coincide con il deprezzamento totale del cross rate. Insomma: il riallineamento cumulato cross fra lira e marco è intorno al 40%, il deprezzamento effettivo della lira rispetto al marco è intorno al 60% (per effetto dello sfruttamento degli ulteriori margini di adattamento dell'una e dell'altra valuta, e ovviamente senza contare il "botto finale" fra settembre e ottobre 1992).

Ma il punto rimane: se osserviamo l'andamento di lira e marco rispetto all'Ecu, cioè allo standard di riferimento del sistema, non osserviamo una storia di continuo deprezzamento della lira:


Anzi! È vero che il marco si è costantemente apprezzato (gli Ecu costavano sempre meno in termini di marchi), ma... ci mancherebbe pure! Avete visto qual era lo sbilancio della Germania? Viceversa, la lira non si è costantemente deprezzata rispetto all'ancora nominale del sistema: si è apprezzata, ad esempio, fra l'estate del 1985 e l'autunno del 1986 (nonostante che nel frattempo riuscissimo a portare i conti con l'estero da un lieve deficit a un lieve surplus), e poi ancora fra l'estate del 1988 e quella del 1989.

E questa sarebbe una "politica strutturale continua" di svalutazione?

A me non sembra. A me sembra, viceversa, che questa conclusione somigli molto a un uso ideologicamente distorto di dati statistici. A me sembra che qualcuno voglia imputare a nostre inefficienze quello che era anche l'esito naturale della consueta politica di aggressione mercantilistica da parte tedesca: un apprezzamento del cambio del marco. A me sembra che ci sia qualcuno che disperatamente cerca di non farci capire che l'euro non è stato introdotto perché noi non svalutassimo, ma perché la Germania potesse non rivalutare, cosa che dentro lo Sme faceva, con frequenza maggiore di quanto noi dovessimo svalutare. Ma, naturalmente, questa è solo un'opinione mia (e della cronologia della Bis, e del database dell'Imf).

A me sembra, insomma, che ci sia qualcuno che vuole in tutti i modi farci capire che noi la nostra libertà non ce la meritiamo, perché non sappiamo usarla se non in modo sleale. E questi nemici della (nostra) libertà si fregiano dell'epiteto di liberali o liberisti!

Libertà, quante fesserie si dicono in tuo nome...

O anche, se volete, passando dalla ghigliottina a Catilina: Quousque tandem, Ludovico...

Prossimi incontri: 24 e 27.

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Scusate, siccome non siete tutti su Twitter (beati voi), vi ricordo due incontri divulgativi, che non gestisco direttamente, nei quali parlerò delle solite cose.


1) Venerdì 24 alle ore 18:30 presso l'Hotel Aran Mantegna, Via Andrea Mantegna 130, Roma, un incontro aperto al pubblico, organizzato da Forza Italia (se si chiama ancora così)!


2) Lunedì 27 a Pescara, ma ve ne ho già parlato qui.


E con questo ho fatto tutto il giro, dai monarchici a Rifondazione, ma ovviamente ci saranno sempre gli idioti per i quali sono grillino, gli idioti per i quali sono fascista, gli idioti per i quali sono sellino, ecc. È un fatto, ci sono gli idioti (ma guardate il bicchiere mezzo pieno: se così non fosse, non avremmo l'euro e non ci saremmo mai conosciuti)!


Mi sono risparmiato solo il PD e Scelta Civica, ma credo di riuscire ad elaborare il lutto.

Poi andrò in Francia e se ne riparlerà a marzo...

450 grammi di sangue...

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...sperando che non servano, ma purtroppo, è matematico, serviranno. E quando sarà, io non avrei nulla in contrario, sia chiaro, a che se ne giovasse un tedesco. 450 grammi di sangue, augurandogli di non averne bisogno, glieli darei comunque volentieri. Ma i soldi dell'IMU no, cazzo!







(l'infermiera vede che il sangue scorre copioso - ah, a proposito: pressione 110/70, quindi, cari euristi, non sperate nell'ictus - e mi dice: "Ha una bella vena!" E io placido: "Me lo dicono tutte: ho una vena poetica"... Che cce posso fa', a me mme le donne in divisa m'ispirano...)

Logica eurista: applicazioni

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(da Tiziano Diamanti ricevo e doverosamente pubblico, non prima di avervi rinviato al testo fondamentale sulla logica eurista e al suo addendum. È giunto il momento di passare dalla teoria alla pratica, e Tiziano vi propone un'ottima esercitazione...)



Mi piacerebbe portare alla vostra attenzione le lievi incongruenze logiche contenute nell'ultima intervista di niente di meno che il papà dell'euro, Romano Prodi.

Oggi, mentre leggevo l'articolo, non credevo ai miei occhi... ma ci è o ci fa? Il beneficio del dubbio sta svanendo verso un ci è, ma procediamo con ordine.

Vari elementi tipo:

- Battere i pugni sul tavolo... sappiamo che il tavolo non c'è

- Alleanza con la Francia... abbiamo capito che non succederà mai

Ma adesso arriva il pezzo forte.. lo virgoletto perché merita: "Per il fondatore del Pd un altro problema è oggi l’«euro fortemente sopravvalutato: la sua quotazione corretta sarebbe 1,1 o 1,2 sul dollaro, mentre oggi siamo a 1,4»."

Oppla'!

Come come come? Ma...

  1. L'euro non era solo una moneta?
  2. Se svalutare è male, rivalutare è bene... o no?
  3. Con una moneta forte compriamo meglio le materie prime... o no?
  4. L'euro è una moneta forte per chi? Per la Germania? Sembra proprio di no, tanto che loro continuano ad esportare (per adesso)... quindi? Per l'Italia e la Spagna? Questo equivale a dire che questi paesi non dovevano entrare nell'euro a rigor di logica.
  5. Perché l'euro è troppo forte? Forse perché la Germania fa una politica mercantilistica ed esporta troppo? E non era possibile prevedere questo 20 anni fa? Che c'avevi in quella mortadella? Chi glielo dice alla Merkel... tu? Letta? Renzi?

Anche la successiva frase è una chicca: "Per Prodi la disoccupazione «è un problema tremendo e non è detto che la ripresa possa essere risolutiva perché le nuove tecnologie riducono la forza lavoro."

Quindi:

  1. Come avrebbero fatto gli USA a ridurre la disoccupazione negli ultimi anni da circa il 10% al 7%? Hanno per caso rinunciato alla meccanizzazione ed alla tecnologia? Cchiu' zappe pe' tutti?!
  2. Quindi la Spagna che ha il 26% di disoccupazione è super avanzata tecnologicamente? Ben più degli USA?
  3. Come si può dire di puntare sull'innovazione quando si pensa che la tecnologia uccida i posti di lavoro? O l'una o l'altra! Si dovrebbe dire: tutti a lavorare nei campi!

Infine: "Nessuna dichiarazione sulla politica interna se non un paio di battute dedicate alla Lega Nord. Sull’alleanza con il Front Nationale di Marine Le Pen Prodi ha detto che "l’unico collante è l’antieuropeismo".

Invece dire che la Germania è brutta&cattiva è europeista?! Dire che la Spagna, l'Italia e la Francia dovrebbero allearsi per fare fronte comune contro la Germania è europeista? E la Grecia? La Grecia fa parte dell'Europa o no?

Sgrunt...










(però che i piddini avrebbero attaccato la Germagna per difendere l'euro io ve lo avevo anticipato quasi un anno fa! Chi se lo ricorda? Vedete come sono prevedibili? Vogliono sognare, ma non hanno fantasia, e infatti riescono solo a sognare quell'insulso dischetto di metallo...)

Euro, mercati, democrazia - aggiornamento e annuncio.

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Piano piano andiamo avanti.

Qui trovate il rendiconto finanziariodell'evento (è anche giusto che sappiate come vengono spesi i soldi)!

Qui trovate la prolusione di João Martins Ferreira do Amaral (la traduzione per i diversamente europei la potete scaricare dal sito di a/simmetrie).

Qui trovate il mio intervento.

Rimane da caricare l'intervento di Stefan Kawalec, e poi abbiamo chiuso la pubblicazione dei lavori.

Come vedrete, il contributo delle donazioni è stato determinante, e sicuramente molte donazioni erano di persone che non hanno potuto assistere al convegno. Mi scuso molto con loro per il ritardo col quale condividiamo con loro questi filmati. Purtroppo, come poi vedrete dal rendiconto annuale e dal bilancio di programmazione per il 2014, il vostro preziosissimo aiuto non è sufficiente a dotare questo sito e quello di a/simmetrie di una redazione. Molto dipende anche dalla vita frenetica che sto comunque facendo.

Bisognerebbe che, una volta per tutte, i simpatici

IO

tipo questo (caso patologico), ma anche tipo molti di voi, capissero che se vengo a Roccacannuccia citeriore di sopra perdo 24 ore, che purtroppo sono più utili se le impiego qui in plancia.

Bisognerebbe anche che la gente (non voi, ma tanti altri sì) capissero questo. Solo un piddino può credere che Obama abbia fatto la sua campagna coi 5 dollari delle casalinghe del Midwest. Quelle siete voi. Ora, però, o si muove il "complesso militare-industriale" italiano (fuor di metafora: o gli imprenditori capiscono che quando lavoriamo per l'Italia lavoriamo anche per loro), oppure fanculo a tutti e arrivederci dopo l'inevitabile epilogo (detto con affetto per quei due o tre imprenditori che ci hanno aiutato molto, e non solo coi soldi, ma anche con l'affetto e le idee).

Ci sto lavorando, con calma, ma capirete che se devo vedere potenziali sponsor, non posso essere a Roccacannuccia citeriore di sopra, capite, perché anche se lì fiorisce l'industria dei cestini di rafia, purtroppo, sapete com'è, il soldo tende a concentrarsi nelle capitali...

Ergo, mi dispiace per tutti quelli di voi che vogliono usarmi come "arma fine di mondo" per il piddino della porta accanto. Se mi portate sul vostro pianerottolo danneggiate la causa. Se date 10 euro ad a/simmetrie la aiutate. It's up to you! Il piddino non capirà mai, ma è esattamente per questo che non conta un cazzo (non me ne voglia, o anche sì). I nostri interlocutori sono e devono essere altri, ma per raggiungerli c'è bisogno di un messaggio di qualità.

Vi anticipo (così riservate la data) che sto preparando un grande evento a Roma per il 12 aprile.

Sarà una specie di goofycompleanno, ma con un parterre ancora più qualificato, e con il doppio del posto. L'evento durerà un giorno solo (direi dalle 11 alle 18 del sabato, con pausa pranzo).

Estote parati!


(grazie per quanto avete fatto, per quanto state facendo, e per quanto farete, ma, date retta a me, coi piddini l'importante è desistere...)

La logica eurista: analisi formale

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(scusate, ma qui siamo tecnici, mica cazzi! Per cui dopo manuale, addendum ed eserciziario, ora vi sorbite anche l'esposizione formale della logica eurista, che vi introdurrà alle delizie del modus ponens e del modus piddinus. Oh, quanto capisco il bisogno che Tiziano aveva di sfogarsi! Quante volte, nell'ultimo ventennio, avrei voluto aprire il cranio del piddino di turno per vedere cosa c'era dentro. Sono lieto di non averlo fatto. Dopo la spiegazione di porter diventa inutile, del resto. Nel cervello del piddino c'è il modus piddinus: ecco perché nelle pagine e nei discorsi del piddino i "quindi" sono così deliziosamente randomizzati...)

Da porter ricevo e doverosamente condivido:


Se ragionate ancora secondo gli schemi della logica proposizionale "classica", non capirete mai la logica eurista.

Nella logica proposizionale, il Modus Ponens (MP) è una regola d'inferenza che afferma :

Se “P implica Q” è una proposizione vera, e anche la premessa “P” è vera, allora la conseguenza “Q” è vera, o in notazione formale:

[(P → Q) ∧ P] Ⱶ Q

Nella logica eurista, il Modus Ponens è sostituito dal Modus Piddino (MPd)

Il Modus Piddino è una regola d'inferenza che afferma :

Se “P implica Q” è una proposizione vera, e anche la premessa “P” è vera, allora la conseguenza “R” è vera, o in notazione formale:

[(P → Q) ∧ P] Ⱶ R

“R”? Ma cosa c’entra “R”? Appunto….

Lascio a voi l’individuazione di alcuni degli esempi più diffusi di MPd, tenendo presente che “R” assume frequentemente la forma di:

“Ci vuole più Europa”
“Ci vogliono le riforme”
“Ci vuole una BCE come la Fed”
“Ci vogliono gli Eurobonds”
“E’ tutta colpa della castacriccacorruzione”
“Ci vorrebbe la Merkel anche da noi”




E sarete contenti di sapere che (addendum delle 19:52):

Il modus piddinus ha anche la variante tollens. Ad es: P=euro e Q=occupazione [(P→Q)∧(¬Q)] Ⱶ R, con R ...
(da Fabrizio Pedes).





(una pagina così mi compensa di tante sofferenze...)

Assolto!

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Il Signore ha voluto accogliere la mia preghiera, il che, da parte sua, è stato un gesto particolarmente fair, considerando che delle cinque note der Palla due erano in religione.

Comunque io a 'sto liceo der pentamestre (che è più lungo di un tetramestre e più corto di un esamestre, come sapete) una cosa da dire ce l'avrei:





Vediamo come va a fini'...

QED 28: La Presidenta e gli economisti a cornu Epistolae ac Evangelii

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Boys, do I hate being right all time!
Dr. Ian Malcolm in Jurassic Park (1993)
Dr. Alberto Bagnai in Goofynomics (2014)



...e alla fine l’Argentina ha svalutato!

E voi direte: mastica! Dov’è la novità? Ce l’avevano spiegato per filo e per segno Frenkel e Rapetti, quei due “de’ passaggio” che scrivono sul Cambridge Journal of Economics (l’unica rivista “eterodossa” che gli utili giavazzoti son stati costretti a mettere in classe A), quei due sempliciotti che hanno documentato la spiegazione finora più convincente del meccanismo tipo delle crisi finanziarie nella terza globalizzazione (il film già visto che abbiamo chiamato Romanzo di centro e di periferia), ce l’avevano detto questi due, insomma, che l’Argentina avrebbe svalutato.

Vi ricordate? Frenkel mi aveva spiegato come stavano le cose a cena, dopo il seminario di Pescara, in una conversazione che vi avevo in parte riportato qui. Poi, per tutto il 2013, continuavano le domande: “Ma come sta l’Argentina? Ma l’Argentina come sta? Ma come l’Argentina sta?” e via permutando. A me! Che poi, in fondo, a parte il fatto di conoscere un economista argentino, non sono un particolare specialista di quel paese, ritenendo di aver sufficienti problemi a casa mia per non dovermi preoccupare di quelli altrui.

Allora scrissi a Roberto, che mi rispose, come ricorderete, così. Io sintetizzavo il contenuto di quel suo lavoro con una frase che riassume la mia posizione, che è come spesso capita quella del buon senso e dell’onestà intellettuale:

“Niente è solo buono o solo cattivo. Applicazione: certo lo sganciamento dal peso non poteva, da solo, risolvere tutti i problemi dell'Argentina, e nessuno pensa oggi che uscire dall'euro risolverà tutti i problemi dell'Italia (o, se lo pensa, si illude). Ovviamente però questo non significava e non significa che il cambio fisso fosse o sia una buona idea nel caso di questi due paesi.”

Quelli che “Bagnai dice che l’Argentina è un modello” ovviamente sono dei pezzenti, o umanamente (nel senso che vengono pagati per dire boiate), o intellettualmente (nel senso che non ci arrivano), or both, perché Natura può anche essere matrignissima, e anche perché se sei un coglione è difficile che qualcuno ti paghi per dire cose intelligenti, visto che non ci riusciresti nemmeno gratis (e qui corre un pensiero affettuoso al nostro amico...).

Ma siccome l’articolo di Roberto era troppo lungo, e siccome “la Presidenta di qua, la Presidenta di là, la guerra delle due Cristine” (daje a ride), continuavano ad arrivare accorate domande “L’Argentina, ma come sta?”.

Allora riscrissi a Roberto (il 6 giugno):

Dear Roberto,
I hope everything is going well in Argentina. Chances are that your situation is much better than ours, although it is really difficult to evaluate it from here. I am working on the CES special issue and will send the editorial to Joe this week.

Risposta:

Dear Alberto,
Nothing is going well in Argentina. An inconsistent populist economic policy, badly managed, destroyed the fundamentals that led to a vigorous labor-intensive growth in  2002-2007 and put the country in the brink of an inflationary crisis. The real exchange rate is strongly appreciated while we have a 24% inflation rate and reserves are gradually falling in spite of the controls in the FX market and imports. The unavoidable future devaluation will push inflation to much higher figures. Again!

Replica:

Dear Roberto,
I must say that I expected something similar to that. Do you have any recent paper describing this unfortunate outcome? Your "Presidenta" is very familiar and praised by the Italian alternative left-wing people, I try sometimes to keep them reasonable, but my efforts are not very fruitful.

E Roberto mi mandò un po’ di roba che aveva scritto per giornali argentini, che mi tenni lì da parte. Poi il 22 giugno del 2013 scrissi questo, nel quale, dopo aver chiarito che il problema attuale dell’Argentina non era quello di avere un “pesetto”, ma di avere un “pesone”, mi rivolgevo ad un ampio spettro di economisti, dicendo:

Cari amici “de destra” e “de sinistra”, accomunati dal meschino astio ideologico e dal non capire un cazzo di economia, ve lo dico in un altro modo: la Presidenta contro la quale vi accanite, se siete “de destra”, sta facendo esattamente la politica suggerita negli ultimi 40 anni  dal vostro solone Giavazzi (usare il cambio forte per domare l’inflazione), e la Presidenta che venerate, se siete “de sinistra”, sta facendo esattamente la politica suggerita dal loro (o vostro?) solone Giavazzi (usare il cambio forte per domare l’inflazione).
Nell’uno e nell’altro caso, se non foste quegli imbecilli che siete, capireste che c’è poco da accanirsi (perché è controproducente per le vostre tesi), cioè c’è poco da venerare (perché è controproducente per le vostre tesi).
Ma a noi piace ricordarvi così, brancolanti nel buio della vostra cecità ideologica...

Questa affettuosa correzione fraterna non faceva che riportare alla realtà italiana (che coma Flaiano ricorda, supera la fantasia) quanto Martin Rapetti aveva lucidamente illustrato in un articolo pubblicato su Triple Crisis, che nel post di cui sopra vi traducevo.

Poi o Marco (Palombi) o Stefano (Feltri) mi chiesero un articolo per Fatto Quotidiano cartaceo, che scrissi, e che decisero di ripubblicare online, e lo trovate qui, nel quale io mi limitavo ad esporre l’argomento di Roberto e Martin (attenzione, notate bene: esporre l’argomento di Roberto e Martin), e ad applicarlo all’esperienza italiana.

Apriti cielo!

Questa è una delle letterine che ricevetti:

Esgregio Professore,
ho appena letto il suo articolo sull'Argentina apparso su Il Fatto Quotidiano e sono scioccato....
Chi glielo ha scritto? Che fonti sono state consultate? Il livello analitico usa gli stessi criteri di Novella 2000.... non si vergogna? La sua penna ed il suo nome sono al soldo di quali interessi??
Io studio l'Argentina da 9 anni e ci vivo e lavoro da 7: la sua analisi mi fa vergognare del livello accademico dei lumi nazionali... lei cita fonti della UBA, io invece li ci insegno e le posso di con massima convinzione che ha scritto un mare di cazzate...
Ma c'é mai venuto in Argentina? Se sí, con chi a parlato? Chi ha consultato? Le faccio un favore giacché mi fa pena e le do una pista: la chiave del problema che sta analizzando risiede nella politica energetica nazionale e nella crescente necessitá di imprtare energia... ora si metta a lavorare che ne ha di terreno da recuperare
Bocciato!!

(e qui un pensiero mi traversò la mente: “E chi cazzo sei? Zorro?” Notate che come al solito, ortografia e punteggiatura, da Thénardier in poi... Ma del resto, cosa ti vuoi aspettare da un economista!?)

Ma non era finita qui, perché poco dopo il Manifesto pubblicò un articolo di due luminari, Roberto Lampae Alejandro Fiorito (ah, io sono questo qui, e non è un problema di cv, è un problema di produzione, che è una cosa diversa). Il Manifesto, come sapete, ha fatto il restyling, e con l’occasione ha cancellato tutta una serie di vergogne, ma il web, come altresì sapete, non perdona, e quindi l’articolo lo trovate... nel posto dove meno vi sareste aspettato di trovarlo! Nel blog di Sergio Cesaratto!

Perché dico che non vi sareste, o per lo meno non mi sarei, aspettato di trovare un articolo del Manifesto sul blog di Sergio? Ma perché Sergio continuamente piagnucola che il Manifesto lo censura, ma altrettanto assiduamente persevera nel legittimare con la sua credibilità scientifica questo squallido organo di regime. Un atteggiamento, ne converrete, molto diverso dal mio, che dopo la confessione dello Sbilifesto di aver orientato il dibattito sull’euro li ho mandati a fare in culo di netto (come ricorderete), anche se questa operazione di onestà intellettuale mi ha fruttato letterine tipo questa:

Alberto,
sapevo che eri una persona difficile, ma non credevo che potessi diventare così sgradevolmente piccino. Non vedo alcun spazio né intellettuali né tantomeno personale per immaginare un qualsiasi futuro contatto tra di noi. Pertanto non mi dispiace lasciarti al tuo “pubblico” al quale ripetere messianicamente il tuo verbo.

Allora, io né piagnucolo, né legittimo. Altri piagnucolano, e poi che fanno? Propongono come oro colato (“ah, se si decidesse a pubblicare sempre cose di questa qualità!” Ma lo fa, Sergio, lo fa, tranne quando ci scrivi tu che gli alzi la media) una monnezza simile, che, notate bene, è piuttosto disonesta intellettualmente, per un motivo estremamente semplice: mi attribuisce la paternità di una spiegazione che io ho sì condiviso e diffuso, ma della quale non sono l’autore. Per carità, a me fa piacere essere accomunato a Roberto, ci mancherebbe.

Nel frattempo, quello che Roberto diceva e io divulgavo, perché forte dell’esperienza italiana e di un minimo di Econ102 lo trovavo molto convincente, è successo: l’Argentina ha svalutato. Non so se quello che i due luminari di cui sopra riportavano nel loro stile piacevolmente sovietico (“il Keynes meno addomesticato e l'eterodossia economica strutturalista hanno invece trovato ospitalità nei palazzi di governo dell'economia argentina”, stilisticamente una via di mezzo fra Fascisti su Marte e la Croda dei Gemelli Ruggeri), non so, dicevo se le previsioni di questi campioni del realismo socialista si siano ugualmente verificate. Certo, per saperlo bisognerebbe che in Argentina gli uffici di statistica venissero lasciati funzionare, invece di essere periodicamente epurati, ma a casa sua ognuno si regola come crede: se vale per il mio blog, varrà anche per uno stato sovrano.

E, naturalmente, come liturgia vuole, dopo i cialtroni a cornu Epistolae si affacciano quelli a cornu Evangelii.

Riprendendo i toni della ricostruzione neostorica degli anni ’90 ad opera del Corriere, ecco che La Stampa ci delizia con la solita metafora: lo schizzo.

Amici giornalisti, non contesto l’aneddoto che riportate. Per carità, tutto è utile, e quello che dite è sicuramente vero. Ma è inutile girarci intorno: una valuta si deprezza quando è troppo forte, non quando è troppo debole, mi seguite? Se ti vuoi suicidare, non vai al piano terra per spiccare un salto, cercando di schiantarti contro il soffitto del quarto piano: normalmente, come sapete, si va al quarto piano per schiantarsi sul lastrico del piano terra. E quindi, schizzo o non schizzo (molto plausibile in un paese che ha nella propria memoria storica devastanti inflazioni a quattro cifre!), il punto è che la Kirchner, come Fanfani, Goria, De Mita, Andreotti e Amato (i nostri governanti nello Sme credibile), ha fatto la politica giavazziana di usare il cambio forte per contenere un’inflazione che c’era già, e che andava curata in altro modo: non rendendo meno competitivo il paese, ma gestendo in modo meno populista la domanda e i redditi interni. L’aneddoto che raccontate (il negoziante che ratto come un fulmine ritocca il cartellino dei prezzi) sarà senz’altro tanto vero quanto pittoresco, non dubito che ciò sia accaduto, che voi l’abbiate visto coi vostri occhi, o appreso da testimoni fededegni. Rimane il fatto che è un aneddoto, ed è strumentale a una ricostruzione tendenziosa della realtà, quella che insinua che se ripristinassimo un minimo di razionalità economica, saremmo devastati dall’inflazione, come nel 1992 (secondo i vostri colleghi, perché invece secondo Monti la svalutazione ci aveva fatto bene).

I fatti stanno esattamente al contrario: l’inflazione è in primo luogo causa, non effetto, della svalutazione. Certo che poi, in paesi dalla struttura e dal percorso storico diverso dal nostro, rischia di innescarsi un meccanismo cumulativo, un circolo vizioso svalutazione-inflazione, per cui la svalutazione, dopo esser stato effetto, diventa causa. Lo sappiamo, ce lo dice la letteratura scientifica. Guardate questa tabella, che riporta i coefficienti di pass-through (trasferimento da svalutazione a inflazione) stimati per aree geografiche (sempre dallo studio di Goldfajn e Werlang, più volte citato):



L’America, sostanzialmente per effetto delle dinamiche dell’America Latina, è l’unico continente nel quale si registra statisticamente un impatto della svalutazione sui prezzi maggiore del 100%, cioè l’unico paese nel quale sia documentata statisticamente l’esistenza di una spirale svalutazione-inflazione. Quindi sì, è molto probabile che i timori espressi anche da Roberto si materializzino: l’inflazione, che da tempo era al 20%, ora rischia di aumentare, perché il cambio, invece di essere gestito con flessibilità, accomodandosi al differenziale di inflazione, è stato troppo rigido e ha recuperato tardi e di colpo. Da noi, invece, quando accomodammo nel 1992 il cambio al differenziale di inflazione cumulato, l’inflazione scese, guarda un po’! Strano, ve’? Ma vero. Eppure voi non potete proprio resistere a interporre al racconto dei fatti le vostre fottute e tendenziose opinioni, non ce la fate proprio...

Ma i dati, i santi e veri dati dell’economia e della statistica, per i quali io, come il Gaddus, non ho l’odio che ad essi portano i “sofi e sofoni tutti immersi nella categoria qualitativa”, i dati, che ci dicono?

Bene: intanto questo è il tasso di cambio nominale bilaterale fra peso e dollaro, quotato incerto per certo come si fa in tutto il mondo civile (con l’eccezione di qualche provincia del Veneto rinomata per la produzione vinicola):



La storia la sapete e non c’è bisogno di commentarla, e questi sono i dati ufficiali, quelli del forex. All'inizio del 2002 il cambio ha ceduto di schianto (ma come sapete nel periodo di aggancio si era accumulato un differenziale di inflazione di circa il 200%, quindi era ovvio che il devaluation rate misurato incerto per certo recuperasse altrettanto), poi si è ripreso, poi da giugno 2003 si è stabilizzato, per poi ricominciare a cedere. Notate che ora stiamo intorno a 8!

Ma cosa è successo da quando il cambio si è stabilizzato? Qual è stata l'evoluzione dei prezzi argentini rispetto a quelli statunitensi, e del cambio peso/dollaro?

Qui vedete la svalutazione cumulata del cambio (cioè la cumulata della variazione mensile del tasso di cambio), insieme al differenziale di inflazione cumulato fra Argentina e Stati Uniti, a partire da quando il cambio nominale si stabilizza, cioè dal giugno del 2003:


Vedete? Il differenziale di inflazione segue una rotta pressoché costante, aumenta uniformemente di circa 0.006 (lo 0.6%) al mese.Notate: l’inflazione che considero è quella congiunturale, cioè mese su mese precedente. E il cambio? Il cambio sembra che non faccia quello che dice Roberto, perché sembra che sia tenuto “stabile” (e quindi “forte”) fino a circa il 2008, per poi cedere (il prezzo in dollari del peso si innalza) a partire dallo scoppio della crisi. Reazione questa piuttosto naturale, peraltro. Ma c’è un problema. Questo succede se consideriamo i dati ufficiali dell’inflazione argentina, i quali, come sapete, sono piuttosto chiacchierati. 

Se invece consideriamo stime alternative (delle quali parla l’Economist) il quadro in effetti cambia (i dati sono qui):


A partire dal 2008 in effetti il cambio comincia sì ad adattarsi, a cedere, ma rimane di gran lunga indietro rispetto all’evoluzione del differenziale di inflazione, molto più esplosiva se si considerano dati meno addomesticati. Ora, siccome alla fine l’evidenza è che l’Argentina ha dovuto svalutare, questo convalida a posteriori sia l’interpretazione di Roberto, che il grafico costruito coi dati non ufficiali. Infatti, se la situazione fosse quella dipinta dai dati ufficiali, l’Argentina di svalutare non avrebbe tutto questo bisogno, perché il cambio nominale sarebbe stato sufficientemente accomodante dalla crisi in poi.

Chiaro?

Insomma: BAU (Business As Usual).

Cosa dobbiamo trarre come morale da questa favola?

Due cose.

La prima è che se il cambio si svaluta, vuol dire che era troppo forte, cioè che il paese non se lo poteva permettere, il che normalmente accade quando una leadership corrotta o inetta, ma comunque populista, ha giocato fino al giorno prima il gioco di “quota 90”, il gioco della difesa simbolica del prestigio della Nazione riflesso dalla “forza” della sua valuta.

La seconda è che sono i differenziali di inflazione a guidare gli aggiustamenti del cambio. Da qui discendono due conseguenze. La prima è che il 17% del quale parlavano i giornali ieri probabilmente è solo un assaggio: l’Argentina, se le stime non ufficiali sono un minimo attendibili, dovrà correggere ulteriormente la parità col dollaro. La seconda è che quello che “schizza”, generalmente, è il cambio, dopo che un paese ha deciso di “legarsi le mani” a un paese forte, e non l’inflazione, dopo che un paese ha deciso di fare la cosa giusta. Abbiamo anche detto, però, che nei paesi dell’America Latina (ma non in Europa) c’è effettivamente evidenza che il primo schizzo (quello del cambio) inneschi una spirale di schizzi, dando vita ad una piacevole Villa d’Este inflazionistico-svalutativa. Quindi lì, ma non qui, la svalutazione effettivamente rischia di attivare un processo idraulico-cumulativo.

Non qui.

Non qui.

Non qui.

Questo dice l’economia, con buona pace dei cialtroni a cornu Epistolae, e anche di quelli a cornu Evangelii. Oh, naturalmente prevenire è meglio che curare, ma io più che dire queste cose da un anno, raccontare come sarebbe finita (ed è finita come dicevo io), e spiegare le vere analogie fra Italia e Argentina (l’aver perseguito politiche populiste di rigidità del cambio), non potevo fare.

E quindi, ora, ragliate, fratres! "Bagnai, l'Argentina, l'Argentina, Bagnai...". Quante "i" e quante "a", che sono appunto le vocali del raglio...


In princípio erat Verbum,
et Verbum erat apud Deum,
et Deus erat Verbum.
Hoc erat in princípio apud Deum.
Ómnia per ipsum facta sunt:
et sine ipso factum est nihil, quod factum est:
in ipso vita erat,
et vita erat lux hóminum:
et lux in ténebris lucet,
et ténebræ eam non comprehendérunt.


(...ma poi, suvvia, perché tutto questo “schizzare”? Veramente, non riesco a capirlo. Ho l’idea che il vostro economista preferito sia North. No, non Douglass (premio Nobel nel 1993), che si occupa di storia economica, ma Peter, che si occupa di schizzi. Insomma, cari “giornalisten”, se non cambiate metafora, si capirà su quali siti passate il tempo a documentarvi. Occhio, perché, come sapete, su quei siti si perde la vista.

Vabbe’, va, consoliamoci con un altro North: Nigel, questa volta. Se devo essere invidioso, preferisco sia per un buon motivo:


Weiss non lo conoscevate, eh? Beati voi! Altrimenti perché avremmo l’euro? E quindi voi, che dell’Europa non sapete una beneamata fava, in fondo l’euro ve lo meritate. Sto lavorando per me...)

Scusate! Posso? È una crisi economica. Punto.

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(condivido rapidamente e serenamente con voi una risposta che ho appena dato a uno studioso che mi ha sottoposto questo articolo, che, lo confesso, ho letto una riga sì e tre no, che è il massimo che posso fare in questo momento. Mi scuso quindi in anticipo con il suo autore se il mio giudizio suonerà liquidatorio e sono fin da ora disposta ad ammettere che il limite sia mio e non suo, ma...)


Scusate, non conosco l'autore, ma a me pare semplicemente che riprenda le tesi più volte espresse da Guarino. So che sembrerà fastidiosamente settario da parte mia, ma se avessimo una crisi botanica o filatelica o giuridica io starei zitto. Purtroppo la crisi è economica. Ora, caso vuole che purtroppo spesso le regole vengano a valle dei rapporti di forza, e che questi ultimi siano dettati da dove va il soldo. Il che, all'atto pratico, significa una cosa sola: che chi si preoccupa tanto delle vie "giuridiche" di uscita da questa situazione non ha chiari gli attuali rapporti di forza, e non ha una memoria storica sufficiente.

Quando le leggi dell'economia avranno fatto strame di questo sistema (come prima del sistema di Bretton Woods, e del gold standard, e dell'Impero Sovietico), stamperemo su uno stesso rotolone Regina sia i Trattati europei che le analisi dei giuristi che ci hanno spiegato come e perché essi non erano legittimi: è successo con il Trattato di Versailles, e con quello di Westfalia, e con l'editto di Nantes, e via risalendo, fino all'albero del bene e del male: tutti patti sui quali gli uomini hanno serenamente tirato lo sciacquone.

Prima della crisi le analisi di questo tipo, secondo me, sono sostanzialmente inutili (fatto ovviamente salvo il potere persuasivo che possono esercitare presso un pubblico un po' distratto). In ogni caso, come ammesso dalla stessa BCE, la Convenzione di Vienna sui Trattati internazionali sarebbe uno strumento giuridico sufficiente a toglierci questo casino, se esistesse una volontà politica (cioè un assetto dei rapporti di forza economici) sufficiente a rendere questo esito possibile.

Voi me l'avete chiesto, e io ve l'ho detto!

Buon lavoro.

Alberto

P.s.: just in case: sto organizzando un convegno piuttosto articolato sul piano B a Roma per il 12 aprile. Se siete interessati siete anche invitati!






(...sì, d'accordo, Athanassiou fa tutta una supercazzola per cercare di dimostrare che non si può fare. Ma è pagato dalla Bce, cosa volete che dica! Però leggete pagina 14 del suo working paper - citato nel Tramonto dell'euro:"As for the fundamental change of circumstances doctrine, which is accepted however reluctantly by most jurists, the consensus is that, whether in the context of the treaties or in connection with any other international agreement, its practical utility as a ground for withdrawal is limited to exceptional circumstances". Tradotto: la maggioranza dei giuristi concorda nel fatto che circostanze eccezionali possono giustificare l'applicazione della clausola "rebus sic stantibus". In altre parole: "A sora spo', quello che c'è nun se po' nasconne...". Capisco che a un greco, se sufficientemente ben pagato, quello che sta succedendo in Grecia possa non sembrare eccezionale. A un macroeconomista, però, o anche a una persona di buon senso, dovrebbe essere facile capire che abbiamo a che fare con una distruzione di ricchezza che nella storia recente non ha eguali nemmeno in periodi bellici. Quindi, cari amici giuristi: de che stamo a parla'? Forse dovremmo ricordarci le immortali parole di Corrado Guzzanti nei panni di Rocco Smithersons: "È inutile fare leggi speciali: prima pensiamo a non applicare bene quelle che ci sono già!")


(...circostanze eccezionali? Forse non è chiaro: se Fermi e Oppenheimer non avessero inventato la bomba atomica, noi saremmo già in trincea, perché tensioni economiche come quelle che stiamo sperimentando oggi raramente si son presentate nell'ultimo paio di secoli, che pure di crisi finanziarie ne ha viste alcune decine...)

I piddini nel bosco di faggi

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I commenti di molti piddini alla decisione della Electrolux di tagliare i salari dei propri operai hanno richiamato irresistibilmente alla mia memoria questo filmato:


Poveri cocchi, tutti in fila attraverso Buchenwald... Non lo sapevate? Eppure è scritto così chiaro! Leggete:



Sì, lo so, Mundell non era "de sinistra". Però non era nemmeno un imbecille (comincio a pensare che ci sia un nesso). Quindi capiva che in una unione monetaria fra paesi diversi il recupero di competitività nel breve periodo passa per il taglio dei salari, e questo taglio non è possibile senza un drastico aumento della disoccupazione. La disoccupazione è già aumentata, però. Ora resta il taglio dei salari, per chi ci sta. Chi non ci sta va ad aumentare ulteriormente la disoccupazione, e l'azienda se ne va in Polonia, grazie alla simpatica mobilità dei capitali, che l'integrazione finanziaria europea favorisce.

Questo è il sistema che avete voluto voi, il sistema che affratella i popoli europei (come ancora qualcuno raglia durante le mie conferenze).


Non lo sapevate? Be', eravate molto distratti. C'è qualcuno che non ama passare inosservato (e non potrebbe farlo nemmeno se lo volesse) che ve lo urla nelle vostre orecchie d'asino da circa quattro anni.

Certo, sì, lo so, nemmeno Keynes era "de sinistra", ma nemmeno lui era un imbecille. Guardate cosa dice di Winston Churchill:



"Chi vuole un fine vuole anche i mezzi per raggiungerlo". Volevate il fine superiore dell'unificazione monetaria europea? Bene: allora dovete volere anche i mezzi per raggiungerlo: disoccupazione, tagli dei salari, deportazioni... pardon: emigrazione. Strano, eh? Appena qualcuno si mette in testa un fine superiore, qualcun altro deve fare le valigie (se gli danno il tempo di farle).

Cari utili idioti, ricordatevi: gli utili idioti di qualsiasi regime sono utili finché dura il regime. Quanto potrà mai durare questa storia?

E tanto per farvi capire come va a finire quando uno nasconde la testa nella sabbia, come lo struzzo, vi dico che ieri, girando per il web a seguito delle tristi riflessioni che questa vicenda paradigmatica evocava, ho scoperto la parola "bandierista". Quello che poi gli è successo non se lo meritavano nemmeno loro, nessuno può meritare un orrore simile, un orrore che qualcuno ricorda 365 giorni l'anno. L'Europa che state ricostruendo è l'Europa della deflazione e della disoccupazione di massa, è l'Europa che ha reso possibili questi orrori. In nome di un qualunque Dio, vi prego, aprite gli occhi...

Le potenze dell'asse: applicazioni di politica piddina

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Com'era l'ultima volta? Roma-Berlino-Tokio? Eh, come passa il tempo, e il suo fluire inarrestabile porta con sé cambiamenti, ma anche conferme. Sapete quella storia dell'acqua del fiume che è sempre la stessa ma non è mai la stessa, quella roba lì, il panta rei?

Per il fautore dell'attuale regime anche oggi la soluzione dei nostri problemi passa per un asse: l'asse Roma-Parigi-Madrid. Regime che vai, asse che trovi, verrebbe da dire. Ma sempre per un asse ci si trova a camminare, anche se cambia l'equilibrista (ma non il tonfo finale).

E sapete a cosa servirebbe questo asse?

Be', quello precedente era servito più o meno a "spezzare le reni alla Grecia", combattere la "perfida Albione", e altre amenità del genere, che poi si è visto dove hanno portato: a passeggiare nel bosco dei faggi. L'asse 2.0 invece servirebbe a una cosa ancor più fantasiosa: a costringere la Germania a svalutare l'euro.

Ma scusate, le cose non stavano così?


No, non più. Cioè, capiamoci: cosa ci sta dicendo il nostro migliore amico? Dopo averci detto (nel 2005) che ci serviva un euro forte perché altrimenti saremmo andati in crisi, ora che siamo in crisi ci dice che dovremmo avere un euro debole.

Mmmmh...

Qui c'è qualcosa che non torna, no?

Solo un piddino potrebbe non accorgersene, e infatti non se ne accorge, mentre voi ve ne accorgete, e infatti Tiziano Diamanti ci ha fatto schiantare dalle risate col suo sfogo (e quanto, oh quanto, mi sono sentito umanamente vicino a lui nel sentimento di impotenza e anche, permettetemelo, di disprezzo per l'ottusa imbecillità delle pecore che quell'uomo ha portato al macello, e che ancora continuano a venerarlo, come il vecchio mal vissuto dell'altra sera a Pescara, quello che aveva studiato con Caffè, o forse al caffè...).

A quello che ha detto Tiziano in effetti non ci sarebbe nulla da aggiungere, se non un "grazie di esistere", ma io son tecnico, e allora aggiungo un po' di aritmetica.

Sentite cosa dice il nostro amico, qui simile est sepulcro dealbato: "L'euro oggi è fortemente sopravvalutato: la sua quotazione corretta sarebbe 1,1 o 1,2 sul dollaro, mentre oggi siamo a 1,4". Stante che la quotazione è certo per incerto (quella che tutto il mondo non usa), una discesa a 1,2 significherebbe una svalutazione del 14%, e una discesa a 1,1 una svalutazione del 21%. Ora, caso vuole che una svalutazione di questa entità (che è più o meno quella che si verificò nel 1992, senza provocare alcuna catastrofe, come Monti disse e Prodi sa), una svalutazione di questa entità, dicevo, è più o meno quella che subirebbe la lira in caso di uscita dell'Italia dall'Eurozona, nelle stime di Bootle, Sapir, Granville e Nagly, ecc.

Insomma, sì, avete capito bene: Prodi ci dice che l'euro funzionerebbe bene se fosse... la lira!

Geniale!

Funzionerebbe bene per noi, ovviamente, perché siccome gli stessi studi di cui sopra chiariscono, insieme a tanti altri, che per la Germania l'euro è già fortemente sottovalutato, e la Germania rischia già la procedura di infrazione per eccesso di esportazioni nette nel quadro della Procedura per gli squilibri macroeconomici (questo è per lo meno quanto ci ha detto Olli Rehn), è chiaro che invece a lei una ulteriore svalutazione tanto bene non starebbe.

E ora veniamo alla politica. Io sono un economista, Prodi è un politico, entrambi capiamo da economisti che la quotazione attuale dell'euro per l'Italia è una catastrofe. Da politici, però, c'è una cosa che lui non capisce, ma io e voi capiamo: che quando un paese forte si mette insieme a uno debole, sotto la stessa valuta, ovviamente la valuta viene gestita nell'interesse del forte, non in quello del debole.

Che sorpresona, eh?

Caro Romano, di nome ma non di fatto, eh già! Le cose stanno proprio così! Cerrrrrrto! Sarebbe bello avere un euro che funzionasse come la lira. Peccato però che funzioni un po' più come un marco. Non te lo saresti mai aspettato, vero? What a surprise! E qui vale la prima legge della termodidattica: ci sono cose che se potessero essere capite, non andrebbero spiegate.

Questi sono i nostri politici.

E quindi, per concludere con una nota costruttiva, pensateci bene prima di chiedere l'impeachment per Napolitano...

La fisica del particellum

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porter ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Le potenze dell'asse: applicazioni di politica pid...":




Non illudetevi che [Prodi, ndC] cambi idea, ci vorrà più o meno l'età dell'universo:

"Il decadimento del PRODONE è un fenomeno di decadimento dell'EURISTA PRODONE, non ancora osservato, ma previsto da alcuni modelli teorici della teoria della grande unificazione [MONETARIA] che sono argomento di dibattito tra GLI ECONOMISTI.

In base alle conoscenze attuali di ECONOMIA il PRODONE è una particella stabile. Questo è dovuto alla conservazione del numero BARISONICO nei processi elementari. Infatti il BARISONE più leggero è proprio il PRODONE [E FIGURATEVI GLI ALTRI...]. Tuttavia ciò non vuol dire che esso non possa decadere in altre MONETE; diversi modelli teorici di grande unificazione (GUT) propongono, infatti, processi di non conservazione del numero BARISONICO, tra cui il decadimento del PRODONE. Allo scopo, studiando l'eventuale fenomeno del decadimento del PRODONE sarebbe possibile indagare una regione DI DEBITO PUBBLICO attualmente irraggiungibile (circa 10^15 G€) ed eventualmente scoprire l'esistenza o meno di una unica MONETA fondamentale. Per questo motivo nel mondo sono attivi diversi esperimenti che hanno come obiettivo quello di misurare la vita media del PRODONE. Tale evento, però, se esiste è estremamente raro da richiedere apparati molto grandi e complessi. Attualmente esistono solo dei limiti sperimentali per i diversi canali di decadimento, tutti molto maggiori dell'età dell'universo."

(mutatis mutandis...)


Postato da porter in Goofynomics alle 31 gennaio 2014 22:50



(...in te complacui...)

Non piangere per noi, Italia!

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(...avevamo chiuso bene col prodone, e apriamo meglio con l'Argentina. Premessa: dopo il QED 28 ho ricevuto una meritata e articolata lettera di critica da Roberto Lampa. Invece del solito: "servo del capitalismo, chi ti paga?, voltagabbana liberista" ecc. - vedi alla voce "marxisti dell'Illinois", amanti tradite della Ciociaria e isterismi consimili, che poi ti portano ad ascoltare costernato sconclusionate supercazzole marxiane di chi fino a ieri ha diffuso informazioni lievemente distorte sulla posta in gioco, chiedendoti: "ma perché?" [caro MP, per essere meno deluso ti bastava far meno lo stronzo] - invece di esibire il logoro campionario di questo folclore polveroso, provinciale e perdente, la lettera era non solo ben argomentata, ma anche molto spiritosa, il che non guasta.

A uno al quale l'economia interessa quanto interessa a me, cioè:


l'isterismo dei marxisti dell'Illinois può anche strappare un sorriso, ma il confronto con ipocriti buonisti "de sinistra" politicamente corretti, quelli che non riescono mai a dire in pubblico quanto dicono in privato, è, vi assicuro, una sofferenza inutile. Non era il caso della lettera di Roberto, e valga a dimostrarlo la chiusa:

Un saluto cordiale (e un altrettanto cordiale vattelà a pijà 'nder culo per ciò che mi hai scritto fin qui, tanto per bilanciare il saldo commerciale tra insulti importati ed esportati, sennò mi tocca svalutare anche a me) 

 Al che mi sono detto: "Finalmente qualcuno col quale si può parlare", e ci ho parlato. La sintesi è che gli uomini son più o meno quelli dappertutto - nel caso dell'Argentina, poi, un motivo c'è, visto che il 70% degli abitanti, se non ricordo male, viene da qui direttamente o indirettamente - ma le economie capita che abbiano percorsi storici e quindi strutture diverse. In fondo era anche quello che cercavo di dire io. Corollario: chi non ha ambizioni politiche (vedi sopra) può dire le cose come stanno, e siccome alla fine i numeri sono numeri, anche se nel caso dell'Argentina molto incerti, è chiaro che chi non è "sotto padrone" (o "sotto sindacato" - rivedi sopra) fa abbastanza presto a stabilire un contronto costruttivo.Va anche aggiunto che la conclusione alla quale è giunta la scienza economica è questa, ed è una conclusione di puro buon senso, per cui i nostrani "scaltri difensori del cambio fisso" sono, come dire, sospettabili di un approccio quanto meno ideologico. Qui ci sono argomenti, qui ci sono numeri. Può sembrare strano che qualcuno parli di Argentina in un modo non "sentimental-populista", alla Marione, per capirci, ma se non è la prima volta che passate da qui vi ci sarete abituati...).




Da Roberto Lampa e Alejandro Fiorito ricevo e volentieri pubblico nella certezza di aiutare il progresso delle nostre conoscenze:




L’intervento “palla o piede” sulla situazione argentina di Alberto dello scorso 25 gennaio, oltre che onorare e rinverdire i fasti della tradizione dello stopper italiano – quello che, da Scirea a Bergomi fino a Tassotti e Giacomo Ferri, andava dritto alle gambe dei fantasisti latinoamericani di turno, senza tanti complimenti o melliflui ghirigori – ha il grande merito di rompere il velo d’ipocrisia che da mesi avvolge il dibattito sul nostro paese, del quale si parla molto e a sproposito, perché in realtà ogni riferimento è puramente strumentale a giustificare o demonizzare le decisioni di politica economica che investono l’Eurozona e l’Italia.  

In questo modo, i pasdaran del rigore europeista dicono in soldoni “se abbandonerete l’unione monetaria, farete la fine dell’Argentina del 2001!” mentre sul fronte opposto si controbatte “se non usciremo dall’Euro, non potremo mai riprenderci come invece ha fatto l’Argentina, svalutando la sua moneta nel 2003”.

Pur non essendo equidistanti da queste posizioni (ed anzi, ritenendo la prima un non senso, dato che vari paesi periferici hanno giàfatto la fine dell’Argentina del 2001) confessiamo, in tutta sincerità, di non aver mai voluto essere parte di questa dialettica tutta primo-mondista. Quello che a noi interessava nel famoso articolo apparso su “Il Manifesto” (ops…si può dire su goofynomics? [NdC: sarebbe meglio di no...]) era in soldoni smentire la ridda di voci catastrofiste che circolavano sull’Argentina (un titolone del Fatto parlava addirittura di default imminente!) e, in secondo luogo, criticare la teoria Neo-Strutturalista degli argentini Frenkel e Rapetti (ripresa da Alberto), che in quei giorni (Rapetti sembra essersi smarcato, nel frattempo) chiedevano a gran voce un cambio drastico della politica economica argentina attraverso una forte svalutazione del peso, l’aumento dei tassi d’interesse, la riduzione della spesa pubblica ed il raffreddamento della domanda domestica per abbassare l’inflazione, aumentare la competitività e continuare così a crescere attraverso le esportazioni.
Riteniamo che i recenti sviluppi della congiuntura economica argentina più che smentire confermino il nostro punto di vista, che, vogliamo ricordarlo, si basava su un’altra diagnosi, denunciava altri rischi e suggeriva un’altra direzione per superarli. È tuttavia indispensabile una premessa per il lettore del primo mondo: capire la particolarità delle economie latinoamericane significa scordarsi per un po’ i dibattiti convenzionali tra grandi economisti ed aver letto almeno un pochino i classici della scuola strutturalista: Raul Prebisch, Celso Furtado e la teoria non-monetaria dell’inflazione di Julio Olivera. Ciò che accomuna questi pensatori è, in estrema sintesi, che ciò che vale nelle economia sviluppate non può essere traslato sic et simpliciteral Latinoamerica dove certi luoghi comuni (o perfino certe evidenze empiriche) vengono puntualmente smentiti.

Che cos’è accaduto dunque, in Argentina?

A partire dal 2003, lo sganciamento dal dollaro e l’andamento favorevole dei prezzi delle materie prime alimentari hanno reso possibile un cambio drastico della politica economica, in precedenza dettata dal FMI: espansione fiscale invece dell’austerità; espansione monetaria invece degli alti tassi d’interesse; fine dell’indipendenza della banca centrale; integrazione regionale e un maggior grado di protezionismo verso il resto del mondo invece del libero mercato imposto con la forza militare a partire dalla fine dei Settanta. Ciò si è tradotto in altissimi tassi di crescita e drastica riduzione della disoccupazione, oggi al 6,8%.
In maniera non dissimile dal passato, questa strategia di crescita impone però il massimo di attenzione per quanto riguarda le riserve internazionali in dollari, sennò si rischia di cadere dalle stelle alle stalle, in base al paradosso del ciclo stop and go:  la forte crescita del Pil innesca un’impennata delle importazioni (maggiore della crescita delle esportazioni) che genera un crescente disequilibrio di conto corrente della bilancia dei pagamenti. Per arrestare questo fenomeno si ricorre a una drastica svalutazione, che, dato il contesto di crescita, fa schizzare l’inflazione fuori controllo, peggiora la distribuzione, raffredda l’economia e annulla gli effetti della crescita economica precedente, condannando il paese a un perenne sottosviluppo

Tra il 2003 ed il 2011, le importazioni sono cresciute in media del 16,6% annuale mentre le esportazioni soltanto del 6,3% annuale. Ciò ha determinato un deficit nelle partite correnti, tuttavia la forte crescita ha permesso di contenerlo a livelli inferiori al resto della regione



Tuttavia, tra l’agosto e il dicembre 2011 un fortissimo attacco speculativo colpisce duramente le riserve. In vista delle imminenti elezioni presidenziali, i media oppositori iniziano una campagna martellante in base alla quale la presidentessa starebbe pensando ad una mega svalutazione post-elettorale del peso. Nel pieno rispetto della legge, avviene così un’enorme “corrida cambiaria”, che determina una fuga all’estero di quasi 11mila milioni di dollari.

Come conseguenza, il governo introduce rigidi controlli ai capitali e al mercato della valuta straniera, di fatto ristretto alle sole imprese e non più ai cittadini.

Come contro-conseguenza, nasce quindi un mercato nero del dollaro, con quotazioni molto superiori di quella ufficiale.

Entrambi questi elementi permettono la nascita di una enorme macchina della speculazione finanziaria e fondiaria (gestita da imprese multinazionali, banche estere come HSBC e grandi proprietari terrieri) che nel 2013 ha portato a un crollo delle riserve in dollari, passate da 42.000 milioni a 30.000 milioni. Che cosa è successo?    

Le banche estere con filiale negli Stati Uniti, garantivano l’afflusso di dollari al mercato nero attraverso un meccanismo simile al pronti contro termine: il cliente comprava in pesos un titolo della Borsa di Buenos Aires ma quotato anche a Wall Street; quindi apriva un conto corrente all’estero e lo rivendeva a New York ricavando dollari, da rivendere in Argentina al mercato nero o da depositare all’estero.

Dal lato delle importazioni, le tante multinazionali che operano nel paese (automobilistiche, farmaceutiche etc.) sono costantemente ricorse alla sovrafatturazione delle componenti inviate dalla casa madre per approvvigionarsi di dollari extra da rivendere al mercato nero o trafugare all’estero. In più, la quasi totalità delle imprese hanno anticipato le quantità da importare per avere subito in mano dollari, che avrebbero più avanti rivenduto al mercato nero, confidando nel continuo apprezzamento del dollaro illegale.

Dal lato delle esportazioni, infine, le grandi esportatrici della soja e del settore primario hanno letteralmente smesso di esportare nel 2013, confidando nella forte meccanizzazione che permette di conservare il raccolto per anni, sotto vuoto in enormi silos. Visto infatti l’andamento del mercato nero del dollaro il loro interesse era aspettare il punto più alto della svalutazione per vendere il raccolto e approvvigionarsi di dollari, da rivendere al mercato nero o nascondere all’estero.

Ma perché le imprese hanno potuto anticipare l’import e il settore primario ritardare l’export senza fallire o soffrire perdite? Perché per eccesso di “zelo keynesiano” il governo ha mantenuto tassi d’interesse reali negativi che hanno permesso ad entrambe di finanziarsi prendendo prestiti vantaggiosi, in attesa della speculazione.

Del resto, cosa ancor più grave, anche in termini nominali è esistito un differenziale tra tasso d’interesse domestico e resto del mondo.

Attenti, non vogliamo qui affermare che sia giusto il rigore della politica monetaria o che gli economisti keynesiani abbiano torto a priori, ma solo che l’esistenza di un differenziale nominale negativo col resto della regione (e talvolta lo stesso primo mondo) ha determinato che questi stessi capitali, frutto della speculazione, prendessero, in ultima istanza, la via della fuga all’estero (FAE).

Questo differenziale di rendimento (linea rossa nel grafico) si può agevolmente costruire sottraendo dal tasso di interesse base nazionale (i) la sommatoria di tasso d’interesse base internazionale (i*),  spread sui titoli (ρ) e tasso di svalutazione attesa nel mercato spot (Sе):




Insomma, la forte differenza di rendimento nominale tra pesos e dollari ha determinato l’inefficacia dei controlli di capitale.

Di fronte a questo scenario complicato, il governo ha giocato lo spariglio: ha svalutato il peso sul dollaro  fino a quota 8 ed ha liberalizzato l’accesso all’acquisto di dollari (ovviamente esiste un tetto massimo in base al reddito dichiarato). Allo stesso tempo, ha aumentato il tasso di interesse di riferimento per il settore agricolo (il cosiddetto tasso Badlar, attualmente al 21%).

La strategia del governo mira a tenere il cambio inchiodato ad 8 per far fallire il mercato nero ed obbligare gli esportatori a esportare. Allo stesso tempo, esiste anche la convinzione che le importazioni saranno ora più care e che, di fronte a un cambio stabile, non verranno più anticipate. Ovviamente, mantenere questo cambio implicherà il sacrificio di ulteriori riserve, stimato tra i 5mila e i 10mila milioni di dollari, una cifra senza dubbio importante. Al riguardo, si vocifera però che la banca centrale brasiliana si stia preparando a venire in soccorso, dati l’abbondanza di riserve (oltre 320.000 milioni di dollari) e il fatto che il crollo argentino avrebbe l’effetto di una tsunami sulla regione.

Se questi sono i fatti, a noi interessa rimarcare una serie di implicazioni.

In primo luogo, che questi interventi non implicano necessariamente l’abbandono del modello di crescita che l’Argentina ha sin qui adottato se, per esempio, verranno implementate misure compensatorie per i redditi più bassi colpiti dalla svalutazione e se venisse segmentato il tasso d’interesse, in modo da contenerne gli effetti recessivi su consumo e impiego, mantenendolo basso per le famiglie e gli investimenti produttivi. Del resto, il permanere a zero dei tassi d’interesse nei paesi sviluppati permetterebbe anche ad un aumento moderato del tasso argentino di essere efficace, specie se accompagnato da una riduzione dello spread.

La presentazione, questa settimana, dei piani di intervento PROGRESAR(sussidio per i giovani neet che si riscrivano alla scuola o all’università, per un totale equivalente a 1.375 milioni di dollari) e FONDEAR(credito agevolato per le imprese che operino in settori ad alto valore aggregato, per un totale di 1.250 milioni dollari) sembrerebbero rafforzare questa ipotesi.

In secondo luogo, che la situazione attuale non smentisce nessuna delle nostre critiche alla diagnosi di Frenkel e Rapetti.

Intanto, perché la svalutazione appena compiuta non aveva affatto come obiettivo né l’aumento dell’export né stimolare la crescita economica (per la cronaca, il PIL quest’anno chiuderà al +5,1% e la disoccupazione è al minimo storico del 6,8%). Il suo obiettivo era infatti interrompere la fuga di capitali e spezzare le reni alla speculazione fondiaria e finanziaria per salvare questo modello di crescita. A che serve dunque sacrificare oltre misura il salario reale se come mostrano differenti contributi (Fiorito, Guaita & Guaita; Berretoni & Castresana; Vernengo) le esportazioni e le importazioni argentine sono inelastiche rispetto al tasso di cambio?
Del resto, a nostro avviso la stessa inflazione non dipende da eccesso di domanda ed emissione (come argomentano a più riprese Frenkel e Rapetti) ma, piuttosto, dall’effetto trascinamento del forte prezzo dei prodotti primari esportati sui prezzi interni (anche a noi piace mangiare la carne argentina e mangiamo pane e farinacei!),dal conflitto distributivo (a partire dal 2009, anno in cui il salario reale recupera il potere d’acquisto perso nel 2003) e dal ritmo della stessa svalutazione (che a dispetto dei luoghi comuni è stata del 61% rispetto allo scorso gennaio 2013) Del resto, anche l’utilizzo della capacità produttiva installata oggigiorno è ben al di sotto delle possibilità dell’economia argentina, che pertanto non si trova in una condizione artificiosamente surriscaldata. Nemmeno può dirsi che il tasso di cambio reale fosse in ritardo rispetto al resto della regione determinando un problema di competitività, ad esempio data l’enorme apprezzamento nominale del real.

Tasso di cambio reale bilaterale con USA (100=2000)
Fonte: Frenkel & Rapetti, (2011), p.16

Infine, neanche il deficit fiscale rappresentava un problema tipicamente argentino, che anzi poteva contare su un saldo primario  di parte corrente  in linea con la media del resto della regione:



Insomma, il 2014 sarà pure un anno complicato per l’Argentina ma non ci sentiamo di fissare già la data del funerale di questo paese. Non piangete per noi dunque, amici italiani.

P.S. Roberto Lampa è un italiano cui ai 33 anni “pe’ potè campa’ j’ha tuccate emmigrà” (parafrasando un capolavoro del trash anni 80). Alejandro Fiorito è invece figlio di padre italiano ed esperto nella coniazione di neologismi italo-argentini. Li pagano, rispettivamente, l’Università di Buenos Aires e quella Nazionale di Lujan. Entrambi, guardano con dolore alla situazione italiana e auspicano che la vicenda Argentina possa stimolare risolutezza e decisioni drastiche per uscire dalla crisi che sta stritolando il paese.
 



(...e ora vado a fare le valigie, altrimenti mi toccherà partire per Rouen con uno spazzolino nel taschino, come in un altro immortale capolavoro:



Armand: All right, I'll bite, where are you going?
Albert: To Los Copa.
Armand: Los Copa? There's nothing in Los Copa but a cemetery.
Albert: I know, that's why I'm packing light.

Armand: Oh I see, so you're going to a cemetery with your toothbrush. How Egyptian.

"How Egyptian!" Per me è la battuta più bella della storia del cinema. Certo, va saputa capire... Any other proposals?) 

Il crotalo

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Dopo quasi tre anni di strada percorsa insieme, penso che ormai avrete imparato a conoscermi. Come in ognuno di noi, si sommano anche in me caratteristiche genetiche e culturali, contribuendo a formare il mio carattere, pessimo, come quello di chiunque ne abbia uno. Avrete capito che è più facile diventare mio amico mandandomi a prenderlo nel culo, piuttosto che facendomi tanti complimenti. Non ve lo nascondo: quando uno mi dice “Bravo!”, la mia reazione istintiva è, quasi sempre: “Ma tu che cazzo ne sai?” E mi infastidisco.  Questo penso sia genetico. Avrete anche capito che non c’è nulla sul quale ritenga proibito scherzare. Appartengo a un popolo poco superstizioso, e questo, in effetti, ritengo sia culturale. Vi sarete resi conto del fatto che non mi interessa poi così tanto cambiare il mondo o le persone, e così come non mi interessano i loro complimenti (mi bastano i miei), non mi interessa il loro rispetto (mi basta il mio). E penso che vi sarete resi tutti conto del fatto che, come ogni Bagnai, anch’io sono paziente come un crotalo.

Era così mio nonno, è così mio padre, ed è così mio figlio, per la disperazione di sua madre, la povera Rockapasso. A nulla son serviti, attraverso le generazioni, gli apporti di altro sangue: dei Fioravanti, dei Procicchiani, dei Capasso. Nei Bagnai il gene della pazienza è assolutamente dominante.

La pazienza del crotalo, però.

Povero crotalo! Va saputo capire. Anch’io amerei essere capito, ogni tanto, tutti noi lo ameremmo, e tutti noi sappiamo che è impossibile. Se proprio ci va bene, ci potrà capitare di incontrare qualcuno che ci conosca meglio di come noi ci conosciamo. A me è successo. Ma che si possa incontrare qualcuno che ti conosca e ti capisca come tu ti capisci e ti conosci è un evento assolutamente impossibile. I matematici (ma non gli ingiengnieri) avranno già capito perché. Che nel continuum dei caratteri umani qualcuno possa azzeccare l’ascissa giusta è un evento di probabilità zero, esattamente come quello che una variabile casuale con distribuzione assolutamente continua assuma come valore un dato numero reale x, dato che l’integrale definito da x a x di f(x) ecc. (ma son sicuro che qualche matematico avrà da ridire...).

Quindi, poveri noi, nessuno ci capirà mai, c’est purement mathématique. La felicità umana, la stessa possibilità di vivere un’esistenza accettabile, dipendono in gran parte dall’elaborazione di questo lutto. Risolto questo equivoco, il resto sono bazzecole. D’altra parte, bisogna anche dire che molto di quanto rende la vita interessante scaturisce proprio dall’ostinato rifiuto di accettare questo semplice fatto matematico. Noi vogliamo comunicare, intuendo o sapendo che è pressoché inutile, ma è da questo conato che nasce l’arte, per fare un esempio.

Del resto, capirete anche che uno che quattro anni fa si è messo di traverso al PUDE evidentemente non manca di una certa amabile opiniâtreté, è abituato ad abbattere i muri con la cerbottana, e non sarete sorpresi se questa sera cercherà di abbattere quello dell’incomunicabilità.

Dovevate aspettarvelo.

Non ho difficoltà ad ammettere che qualora una limitata capacità di comprensione, o limiti di tempo, o una sana economia di pensiero, vi impediscano di capire due cose alla volta, nel dubbio, dovendo scegliere, fra me e il crotalo, è meglio capire il crotalo. Le conseguenze di eventuali equivoci sono molto più severe (come dicono oggi gli analfabeti, quelli che dicono “decade” e “domestico”) nel secondo caso (ah, per chi non ci avesse rinunciato, nell’ordine: “gravi”, “decennio”, “interno”. Grazie). D’altra parte, siccome la gens Bagnaiaè geneticamente paziente come un crotalo, se farete la fatica di capire il crotalo, capirete anche me.

Povero crotalo!

Lui, fondamentalmente, si farebbe i cazzi suoi in santa pace, nel deserto. E già qui me lo sento così vicino, fra i tanti animali che tribolano nel gran mare dell’essere. Lui, di base, non avrebbe alcuna intenzione di interferire con esseri animati che non ricadano nella sua catena alimentare (a valle, naturalmente: va da sé che nessuno di noi vuole interferire con gli anelli a monte, che nel caso del crotalo sarebbero, ad esempio, certi rapaci). Anche lui, come me, è uomo di pace (o, più precisamente, crotalo di pace): se può evitare un conflitto, lo evita, ci prova in tutti i modi. Lo sapete, no, perché il crotalo si chiama crotalo, vero? Perché il crotalo è il noto idiofono. Osservate, amici, la Natura, ed inchinatevi illuministicamente ad essa. Sì, la stessa Natura matrignissima con gli eurofili, nella sua infinita sapienza e misericordia ci dà una lezione straordinaria, che tutti dovremmo apprendere: nel sorprendente laboratorio dell’evoluzione, attraverso millenni ed ere geologiche, ha lasciato che si affermasse una creatura che tutti ricordiamo per una caratteristica di estremo buon senso: se può, evita il conflitto, e affinché tu capisca che non è il caso, ti avverte. Del resto, lo stesso vale, se pure con un diverso linguaggio, per le vespe, tanto per dire.

Certo, bisogna avere orecchio (o occhio, a seconda dei casi).

E se non ce l’hai?

Be’, anche qui, come dire, mi riconosco abbastanza nel crotalo. A lui, come a me, non piace partecipare ad inutili tenzoni. Ha poco tempo e gli piace vincere. Madre Natura, sempre attenta ai checks and balances, ha fatto sì lo sforzo di dotarlo di strumenti che gli consentano di evitare lo scontro. Poi, però, lo ha dotato anche di strumenti che gli consentono di sopraffare rapidamente gli avversari: quei due dentini scanalati, sapete... L’anagrafe del crotalo è molto semplice: o lo senti in tempo, e sei vivo, oppure no, e sei morto. Notate anche che ci sarebbe da chiedersi perché Natura matrigna abbia dotato di un simpatico sonaglio un essere che in effetti, prima facie, non ne avrebbe tanto bisogno, perché chi lo disturba fa rapidamente la nota fine dei figli del cavaliere bianco. Chissà. Sicuramente lo avrà fatto nell’interesse del crotalo, ma a me piace pensare che lo abbia fatto nell’interesse generale: perché, come dire, se il crotalo non avesse i sonagli, le sue vittime sarebbero randomizzate. Verrebbe morso chi passa da lì per caso. Dando invece al crotalo la virtù della pazienza e della prudenza, e il modo di esercitarle (il sonaglio di avvertimento), madre Natura ha deciso di adottare una strategia diversa, più selettiva. Viene morso (e quindi muore) chi passa da lì ed è così coglione da non cogliere l’avvertimento.

Se poi chi passa da lì, al crotalo, addirittura gli pesta la coda, be’, in questo caso, ne converrete, sarebbe un po’ troppo chiedere al sullodato rettile di esercitare quella che pure è la sua (e la mia) virtù più appariscente: la pazienza (del crotalo).

Voi direte: “Ma chi può essere così sprovveduto da pestare la coda a un crotalo?” Eh, ragazzi, il mondo non finisce mai di stupirci...

Guardate ad esempio questo articolo di scenarieconomici.it, e poi ricordatevi l’articolo sull’asse dei piddini. Notate qualche analogia? Notate qualche differenza?

Cominciamo dalle differenze.

A me, come a scenarieconomici.it, l’articolo di Romano Prodi era passato del tutto inosservato. Ce lo aveva fatto notare (a noi) il buon Tiziano Diamanti. Ora, vedete, io sto cominciando ad affermarmi, e se scrivo mi pubblicano. Le repentine conversioni a U che da qui in avanti si produrranno potrebbero essere, per me, materia di articoli di giornale, tanto per dire. Più in generale, voi avete così tante idee, che potrei campare su questo blog per il resto della mia vita letteraria, semplicemente sfruttandole, cioè rubandovele.

Solo che, come il crotalo, anch’io sono intellettualmente onesto, cioè non voglio né essere, né sembrare, qualcosa di diverso da quello che, purtroppo o per fortuna, sono. E quindi, invece di scrivere con l’idea di Tiziano un articolo per il Fatto Quotidiano, o magari per il Foglio, ho semplicemente pubblicato il suo commento, riconoscendogliene la paternità, come è successo con tanti di voi, esclusi quelli che me lo hanno chiesto (va da sé: a differenza del crotalo, io sono un po’ dispettoso). Poi, mi son fatto due conti, e mi sono accorto di una cosa che in effetti è, o potrebbe sembrare, agli ingenui, uno scoop. In effetti, citando un valore ottimale del tasso di cambio euro dollaro, Prodi aveva praticamente detto che per l’Italia l’euro funzionerebbe se fosse la lira.

Notate bene, cercate di capire cos’è l’onestà intellettuale, quella virtù che chi fa ricerca deve imparare sul campo, ed è suo interesse farlo presto, perché farsela insegnare dagli altri può essere doloroso.
Nel mio articolo io riconoscevo due cose: il contributo di Tiziano, verbatim, ancora una volta, e il mio specifico, modesto, contributo originale. Si fa così, sapete, a noi ricercatori viene naturale. Ogni volta che scriviamo qualcosa, esponiamo rapidamente lo stato dell’arte, e poi chiariamo in che cosa pensiamo di contribuire al suo avanzamento. Nello specifico, Tiziano aveva meravigliosamente descritto le contraddizioni del pensiero prodiano. Io, da tecnico, aggiungevo il dettaglio quantitativo: la svalutazione auspicata da Prodi per l’euro coincide con quella che ci si attende per una ipotetica nuova lira, e naturalmente questa svalutazione, compatibile col nostro equilibrio, è incompatibile con quello della Germania. Aggiungevo anche il dato politico: i nostri politici sono evidentemente ignari, inconsapevoli (o schiavi) del fatto che le dinamiche economiche e politiche sono dominate dai rapporti di forza. Altro che battere i pugni sul tavolo!

Questo era il mio contributo, era, ed è, né cangia stato.

Ora, io nell’articolo di scenarieconomici.it vedo copiata l’impostazione del ragionamento di Tiziano (e fin qui). Vedo annunciato come uno scoop nel titolo il mio contributo specifico. L’unica cosa che non vedo è il mio nome, quello del crotalo.

Allora, cerchiamo di capirci, cari amici. Con la mia intervista vi ho fatto fare un bel po’ di contatti (non dovete dirmelo, lo so da me, succede sempre così). Buon senso vorrebbe che se vi servite di una mia idea diceste che è mia, e questo non nell’interesse mio, ma vostro.

Vedete, cari amici, quello che avete fatto è qualcosa di più di una lieve scorrettezza. È una gigantesca metafora. Per voi, usare le mie idee, è come per l’Italia adottare una valuta troppo forte: è, insomma come per la cornacchia mettersi le penne del pavone. Un’operazione che è non solo ridicola, ma anche e soprattutto foriera di gravi problemi.

Tranquilli, non siete i primi e non sarete gli ultimi. Questa correzione fraterna non servirà né retrospettivamente a voi, né preventivamente ai tanti altri (vedi alla voce incomunicabilità). Ma sapete com’è, oggi è la giornata della saggezza, sto arrivando a Rive Droite e vi regalo un’altra perla non mia: la cosa più terribile che ti possa capitare è che un tuo desiderio si avveri. Chi cerca notorietà sfruttandomi l’avrà. Poi non vi lamentate...

(scritto fra St Lazare e Rive Droite. Erick m'appelle, je vous quitte...)

Changement d'herbage réjouit le veau

Lo smaltimento differenziato dell'euro

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Mi sveglio questa mattina, e trovo un accorato tweet di Thomas Manfredi. Al che intuisco che si sta mettendo male. Reagisco quindi con la mia consueta scanzonatezza:




Poi vado nella timeline di Alessandro Guerani, dove trovo la conferma della mia intuizione, questo articolo della Stampa: "Dal 1° febbraio al via i controlli sui conti correnti". La ratio legisè come sempre ovvia e bifronte: la faccia presentabile è quella dei controlli contro l'evasionefiscalebruttochecihamessoincrisi (dettaglio: l'evasione fiscale, che è un crimine odioso, esiste almeno dal tempo del triumvirato - non Craxi, Andretti, Forlani: Cesare, Pompeo e Crasso - ma il nostro reddito ha cominciato ad slittare inesorabile verso il baratro dal 1997, data dell'aggancio all'Ecu con la parità sopravvalutata che avremmo mantenuto nell'euro:


tanto che ormai perfino a sinistra - quella vera - si parla di evasione di sopravvivenza, visto che le imposte raccolte si sa dove vanno a finire: nel salvataggio delle banche tedesche. E qui chiudo la parentesi).

Poi c'è la faccia impresentabile, quella vera. Quando si impone una moneta unica a paesi diversi, alla fine si è costretti ad intervenire a valle con trasferimenti, e se non ci sono trasferimenti di reddito dal Nord verso il Sud, che consentano a quest'ultimo di ripartire e di ripagare i propri debiti, ci dovranno necessariamente essere trasferimenti di ricchezza dal Sud verso il Nord, cioè espropri corrispondenti a un'esecuzione coattiva di debiti che sono stati per lo più contratti a seguito di comportamenti poco avveduti del creditore.

Questo è quello che ha chiesto Weidmann nel giorno della memoria, che è appunto il giorno nel quale ci ha ricordato chi comanda, e come intende esercitare la propria leadership.

Va da sé che l'esproprio deve avvenire per motivi giusti e santi, ovvero per ridurre la disuguaglianza, della quale improvvisamente si sono tutti accorti. Si è presentata così, inaspettata, come una vincita alla lotteria o uno tsunami, sul panorama dei nostri media, guarda caso proprio la sera del 27 (data delle dichiarazioni di Weidmann). Io stavo in pizzeria, marcio di fatica dopo una giornata passata a organizzare il #midtermgoofy con Vanna, prima di andare dai simpatici gesuiti di Pescara, e sento che il Tg5 titola sull'orrenda disuguaglianza, che certo, ora che si è presentata, eh, suvvia, occorrerà ben fare qualcosa...

Ma la disuguaglianza, siamo sicuri che esista dal 27 gennaio 2014? Io no, e del resto nemmeno l'istituzione per la quale il buon Thomas, che vedo un po' preoccupato, lavora.

Quindi il Tg5 del 27 gennaio 2014 puzzava di velina, ed era facile capire in questo caso chi l'avesse scritta: direttamente la Bundesbank, per la quale l'accettazione da parte del pubblico di una patrimoniale una tantum potrebbe essere assicurata presentandola come una misura volta a ridurre le disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza:

Mit Blick auf die gesellschaftliche Akzeptanz und politische Durchsetzbarkeit der einmaligen Vermögensabgabe könnte diese ferner eine gewünschte verteilungspolitische Ergänzung zu den übrigen Sparanstrengungen bilden, die die Vermögenden verstärkt an der Anpassungslast beteiligt, zumal da die konkreten Verteilungswirkungen für ein gegebenes Aufkommen mit Freibeträgen und dem Tarifverlauf gestaltbar sind (qui, a p. 53).

Una frase che, dopo l'accorata segnalazione da parte di Claudio Borghi, ha scatenato un patetico dibattito su Twitter fra improvvisati filologi, essendo abbastanza chiaro il senso, no? Se la crisi è, come ci conferma il vicepresidente della Bce, una crisi di debito privato dovuta al fatto che i mercati non si sono comportati come avrebbero dovuto, chi può credere alla favoletta della Banca centrale tedesca che improvvisamente si impietosisce per la terribile disuguaglianza che l'ira divina ha fatto abbattere sull'Italia, e che caritatevolmente ci suggerisce come rimediare ad essa, nota bene, per risolvere il problema del debito pubblico!?

Solo qualche porco collaborazionista, verrebbe da rispondere.

Quindi un dato è certo: ci metteranno le mani nei conti in banca, come qui ampiamente anticipato. E allora il controllo dei conti correnti ha un significato ben preciso, come nota Alessandro Guerani: monitorare, nell'Europa libertaria dei liberi movimenti di capitale, eventuali trasferimenti all'estero, fatti a scopo difensivo, anche se leciti.

Ma fino a qui, niente di nuovo.

Voglio invece parlarvi del mio nuovo tema di ricerca. Mi sto occupando dello smaltimento differenziato dell'euro. Voi direte: "Ah, sì, quella cosa dell'euro a due velocità, Neuro e Seuro... Ma è roba vecchia!". Certo che è vecchia, e non può, secondo me funzionare, nel senso che non ci risolve il vero problema. E infatti non mi sto occupando di questa roba qua, cioè della segmentazione dell'euro, ma del suo smaltimento differenziato.

"E che cos'è?", chiederete voi.

Semplice.

Giustizia vuole che chi è stato così imbecille da volere e difendere questo sistema, dopo essere portato a fare un bel giro nel boschetto di faggi, possa anche restarci dentro. Scusate: ma vi pare giusto che noi siamo qui da anni a dire quello che succederà (e poi succede sempre), a mettere in guardia tutti (e poi non ci ascolta nessuno), a sacrificare la nostra esistenza e la nostra carriera (mentre gli altri se ne battono il belino), per cercare di salvare tutto il nostro paese?

A me no.

Vi pare giusto che mentre noi eravamo fin dall'inizio preoccupati per le sorti del continente, solo oggi si sveglino i piddini, preoccupati per il loro fottuto conticino in banca? Vogliamo salvare della gente così miope, gretta, squallida, vile, meschina? Se lo merita? Ne siamo sicuri?

Secondo me bisogna rispondere in modo affermativo alla domanda provocatoria di Aldo Giannuli: la base della sinistra in effetti sembra fatta di deficienti, ed è quindi una strategia evoluzionisticamente superiore quella di lasciarla nel sistema che la sta portando allo sterminio.

Sto quindi occupandomi dello smaltimento differenziato dell'euro, cioè di un sistema che consenta a noi di tornare a fare una vita normale, con i suoi alti e i suoi bassi, una vita dove se sbagli paghi e se fai la cosa giusta guadagni, una vita dove ci saranno crisi, ma ci saranno strumenti per risolverle, una vita dove bisognerà prendere decisioni politiche, ma lo si potrà fare perché la democrazia avrà ripreso i suoi spazi, un sistema, insomma, che lasci a noi fare tutto questo, e permetta agli imbecilli piddini, confinati in opportune riserve indiane, di continuare a tenersi il loro fottuto euro e di andare felici incontro alla morte per difenderlo, che permetta ai piddini di continuare ad essere governati da altri nell'interesse di altri, che permetta ai piddini di continuare a crogiolarsi nel proprio ributtante autorazzismo.

Smaltimento differenziato, insomma, significa far sì che chi vuole l'euro possa tenerlo, perché non è giusto che, per salvare noi stessi, noi si debba salvare anche questa marmaglia di pezzenti intellettuali che si destano solo ora che viene intaccato il loro squallido particulare, questi esseri spregevoli che al calduccio dei loro tinelli hanno assistito inerti al massacro di intere nazioni, come la Grecia, e di intere generazioni di loro connazionali.

Loro l'euro se lo meritano tutto. Noi no. E quindi è giusto che noi ce ne liberiamo, e lo lasciamo a loro.

Non è un tema facile da affrontare, ma con un po' di impegno sono sicuro che riusciremo a risolverlo: nil difficile volenti. E intanto, forti del nostro aver poco da perdere, o del nostro esser disposti a metterlo in gioco per amore del nostro prossimo e del nostro paese, godiamoci lo spettacolo dello sbigottimento di questi poveri imbecilli...




(...ah, una notazione di metodo: avete visto quanto è facile essere originali, pur riconoscendo ad ognuno la paternità delle proprie idee? Anch'io stimo Thomas, Claudio, Alessandro. Quindi li nomino. As simple as that, e chi non lo capisce non lo vuole capire, e si merita l'euro!

Yours.

Job Rattlesnake)



(Nudus egressus sum de utero matris meae et nudus revertar illuc. Dominus dedit, Dominus abstulit; sicut Domino placuit, ita factum est: sit nomen Domini benedictum... Iob, 1, 21)

QED 28 e 29: l'Europa fa due pesi e due misure, il mercato no

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Ci sono mattine che cominciano meglio di altre. Uno si sveglia presto, perché ha dormito presto e bene, dopo una giornata di lavoro intenso e una passeggiatina per fare la spesa al Vieux marché (quello dove i primi europeisti bruciarono Jeanne d'Arc, per capirci), e al risveglio avverte nell'aria una piacevole melodia. Allora scarica la posta, e trova un tanto gradito quanto prevedibile messaggio di Malachia Paperoga:


Alberto,
 

2 note di cronaca.
 

1) Ti ricordi Simone Spetia, quello che trollava per vedere chi tra i goofynomisti era un troll?
Ti ricordi Barisoni, a cui hai fatto simpaticamente notare che il Sole a furia di sostenere panzane perde lettori?
Ecco, il Sole è - di nuovo - in stato di crisi. Vengono chieste 40 uscite forzate.

2) Quant'è bella la UE che apre agli investimenti esteri! Però, un momento, Alitalia aperta ai Quatarioti rompe un po' gli zebedei alla Lufthansa. E allora ecco là che si chiede alla commissione UE di bloccare le trattative!

Che bella quest'Unione Europea: siamo tutti fratelli.




Ora, vedete, io ricordo benissimo gli infami e diffamatori servizi radiofonici della desinenza in "oni", ma voi ricorderete che ho preferito farmici una risata sopra, e ora capite anche perché: perché sapevo come sarebbe andata a finire. A certi attacchi non si risponde se non con il disprezzo e la pazienza, quella del crotalo, ovviamente. Il povero "oni" smateriava perché Zingy non aveva vinto il Canova, e questo l'ho capito andando a ritirare il premio. Ma povero Zingy! Non è colpa mia se lui è solo un ottimo economista, e io sono soprattutto un ottimo scrittore, come ha giustamente notato Minosse, da me ricordato con affetto in quella lieta occasione. Oh, intendiamoci: fra questi quaranta sfortunati, ai quali va (fino a un certo punto, come poi vi spiego) la mia solidarietà, sicuramente non c'è la desinenza in "oni". Per ora. Ma rimane il punto di fondo: il mercato della menzogna, dell'attacco personale squallido e gratuito, del tentativo di screditare l'avversario, è in calo. E così per i giornalisti si sta mettendo male, l'è veramente maiala di molto...

E qui salterà fuori il solito buonista di questo paio, profferendo con contenuta indignazione: "Alberto, non puoi dire 'i giornalisti', non puoi fare d'ogni erba un fascio"!

(a proposito, cari analfabeti: si dice "d'ogni erba un fascio", non "di tutta l'erba un fascio", e chi non lo capisce è diversamente italiano...).

Ah, non si può? E chi lo dice? Voi? Voi che accettate di avere in seno alla vostra professione cialtroni che equiparano Stiglitz a Marine Le Pen, o, per quel che mi riguarda, me a Donald, e non fate nulla, ma proprio nulla nulla nulla per reagire, tranne arroccarvi in una squallida e miope difesa corporativa?

Chi di voi ha detto qualcosa quando "oni" vomitava le sue abominevoli menzogne nei miei riguardi? Chi? Non ero "notiziabile", come dite voi? Cazzo, un libro che ha venduto 20000 copie parlando di una cosa della quale non si poteva parlare (voi, voi, non potevate parlare, e avete chinato il capo!) viene aggredito sull'organo di stampa della Confindustria, e questo non è notiziabile? Un outsider strappa un ambito riconoscimento al più "in" degli insider (col 70% di maggioranza), e questo non è notiziabile?

Cantiamo in coro...

Ah, capisco, non si può perché si rischia? Amici, ma io sotto concorso mi sono messo di traverso alla mia professione, e l'ho fatto a 50 anni. E voi, magari a 30, così giovani, così idealisti, non ce la fate a dire qualcosa di diverso dai ragli dei vostri colleghi più arrivati, non ce la fate a far notare loro che stonano? Come!? Io un lavoro ce l'ho e voi no? Be', intanto visto che credete così fortemente nel mercato, vi faccio umilmente notare che questo vuol dire che io me lo merito, e voi no. Poi, vi faccio rimarcare che se credeste veramente nel mercato, sapreste anche quanto potrebbe guadagnare, e ha guadagnato, in consulenze, uno che azzecca quasi tutte le sue previsioni, compresa quella che vi riguarda. Un danno economico l'ho avuto anch'io, cari. Non ne parlo per eleganza, cioè quando parlo con persone eleganti, ma parlando con voi mi sembra anche giusto, a fini didattici, usare l'unico linguaggio che sembrate capire: quello del (poco) soldo! Chiaro? Disegnino?

Quindi, se siete così compatti, se nessuno di voi, né dei nuovi arrivati, né dei sommi sacerdoti, ha il coraggio di dire qualcosa, una singola cosa, contro certi evidenti abusi, contro certe evidenti menzogne, definirvi come categoria non è razzismo.

Io ho dimostrato che non è giusto dire "gli economisti". Nessuno di voi ha dimostrato che sia ingiusto dire "i giornalisti".

Peggio! Come molti miei colleghi (la maggior parte) me lo avete dimostrato in privato, inter pocula. Ma in pubblico mai: zitti, muti...

Mi dite: ma c'è Marcello Foa!

E allora vi risponderò: cosa c'entra? Marcello Foa non è un giornalista. È un uomo.

Statemi bene. Prima dell'autunno molti altri di voi saranno sotto a un ponte. Anche voi, come me, non avete niente da perdere, credetemi, e quindi, se foste uomini, potreste anche dimostrarlo, senza aspettare l'autunno. Perché  in autunno, come due anni fa, arriverà la piena. Le bozze, questa volte, le legge l'avvocato (anche se i soldi per farmi causa non li avrete più).



(scusate: niente di personale. Hanno ucciso la verità e ci hanno privato della possibilità di esercitare in modo sereno e consapevole i nostri diritti democratici. Solo questo. E quel che è peggio non lo hanno fatto per cattiveria - non sono cattivi, vi assicuro - e nemmeno per soldi - nella maggior parte dei casi. Hanno cioè fatto il male senza trarne alcun tornaconto. Come li chiama, Cipolla, dei soggetti simili? Appunto...).



Ah, e l'altro QED? Eh, quello è triste. È la conferma che l'Unione Europea è in realtà un Reich a guida germanica, dove si può fare solo quello che piace al padrone tedesco. La conferma, se volete, del fatto che, come ho più volte scritto qui e in un certo libro di 414 pagine, l'euro è il principale, ma non l'unico problema. Lufthansa che si mette di traverso a Ethiad significa tante cose, ma per me significa soprattutto che la mia Cristinuccia, che avete conosciuto al Goofycompleanno, rischia di fare la fine di un giornalista.

Con la non trascurabile differenza che lei non se la merita.

Ma non può durare: per fortuna i piddini europei si stanno svegliando dal sogno. Si sono accorti che qualcuno fruga nelle loro tasche.Mea est ultio, dice il mercato. Abbiate fede.



(p.s.: si resta in gradita attesa di un giornalista che dimostrando di essere un uomo - or a woman - reagisca. La giornata è cominciata bene, ma potrebbe anche finire meglio: daje a rideee....)

Prossimi appuntamenti in Europa

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In Belgio: Leuven

Il 7 febbraio alle ore 20 presso l'Irish College di Leuven (in Janseniusstraat 1, a due passi dalla KUL), dibattito su Europe after the crisis organizzato da INFER, con Ed Shinnick, Elias Soukiazis, Andreea Stoian, Camélia Turcu, Cordelius Ilgmann, e er cavajere nero. Modera Jan Van Hove.

La partecipazione è gratuita, ma per registrarvi dovete mandare un'email a reception@leuveninstitute.eu.

Leuven è a 30 km a est di Bruxelles, meno di mezz'ora in treno.

In Francia: Parigi

Il 14 febbraio alle ore 14 presso il CEPN dell'Università di Paris XIII presentazione de Il tramonto dell'euro. Discussant: Paul Boccara. Dettagli qui.

In Normandia: Rouen

Stiamo organizzando un dibattito anche a Rouen. Piccolo problema: ci manca il contraddittorio (strano, eh?). Sarà nella terza settimana di febbraio. Se siete in zona, tenetevi liberi.


Per quel che mi riguarda, sono tutti incontri aperti al pubblico. Dite che vi mando io.

Amo svortato! (abbiamo risolto)

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Guardate che bella email mi arriva:




Confermare il tuo 500,000,00 di euro. Contatta crediti ufficiale claimsoffice2014@qq.com

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Dite che è una sòla? Peccato! Io ci tenevo proprio ad accogliervi al #midtermgoofy con una Jacuzzi piena di champagne...


(amoè contrazione di avemo, latino: habemus...)

(Thénardier forever...)
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