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PCP, nel senso di...

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Ok, allora visto che volete proprio mettermi nei guai, mi ci metto da solo. Sì, il nuovo ministro dell'economia lo conosco. E se proprio volete saperlo, visto che siamo qui, fra quattro mura, a me è sempre stato simpatico. Son fatto così: a me piacciono i burberi, e PCP indubbiamente lo nacque. Capita che io abbia iniziato la mia carriera nel dipartimento nel quale lui era ordinario. Ho lavorato molto, e molto volentieri, con un suo allievo, Stefano Manzocchi (ci ho scritto le mie prime pubblicazioni internazionali, sulla dinamica dell'indebitamento estero), poco con lui (mi ricordo che mi dette da leggere Fagerberg, che all'epoca era recente - passa il tempo - e che volevamo fare delle ricerche sull'impatto della competitività non di prezzo sulle esportazioni italiane, ma la cosa si arenò), poi, molto tempo dopo, quando forse ero già a Pescara, mi è capitato di insegnare econometria a sua figlia (perché per lungo tempo ho continuato a insegnare a Roma), che presumo stia facendo o abbia già fatto un dottorato all'estero (constato che l'ultima email che mi è arrivata da lei era del 2011, e già lavorava da qualche parte - come passa il tempo)!

Ho un ricordo molto plastico di lui che saliva le scale della facoltà a piedi con una borsa zeppa di libri, sempre sul punto di esplodere (come la mia, ora), e un altro ricordo di una volta che, di ritorno dal Fmi, saliva sempre quelle scale, che io, in tanti anni, non ho mai, mai, mai potuto salire senza che mi venissero in mente questi versi, con un fascio di scritti di Economia I da correggere. E io, che all'epoca vivevo in una nicchia relativamente protetta, quella del corso di Econometria, che di studenti ne aveva pochi, essendo una materia non obbligatoria e piuttosto difficile, e che sono nato bastardo dentro, lo prendevo in giro dicendogli: "Non ti passa più!"

Poi andò all'OCSE.


Contenti?

Guardate che non è l'unico VIP che mi sia capitato di incontrare, stando alla Sapienza! Econometria la insegnavo nel corso di laurea diretto da Carlo De Vincenti (avete presente?). Quando ero lì, Economia monetaria la insegnava Marcello De Cecco (quello che non si può scrivere euro negli appelli altrimenti si arrabbia, come ci disse Brancaccio a Napoli, ma che rimane uno dei nostri economisti monetari più reputati all'estero), e Economia politica la insegnava Baldassarri, allievo di Modigliani, che poi iniziò una carriera politica, come sapete, e al dipartimento arrivò Fiorella Kostoris Padoa Schioppa, che proveniva dall'ISAE, ecc. ecc.

Tutte persone che stimavo e che mi stimavano, probabilmente perché mi vedevano solo ai consigli di dipartimento dove avevo un'abitudine che con l'età ho perso: quella di stare zitto. Ma l'ho persa solo perché ho fatto dei figli. Se non li avessi, continuerei a stare zitto, e assisterei abbastanza impassibile al massacro dei figli altrui. Non fatemi migliore di quello che sono, e non fate Padoan peggiore di quello che è!

Dove voleva andare a parare (avendo tutto il diritto di farlo, e ottimi titoli per farlo) lo capii quando uscì un certo articolo. Ora, al di là del merito scientifico del dibattito sulla corruzione, sul quale non abbiamo tempo di confrontarci, che in una crisi di domanda di proporzioni bibliche uno si ponga il problema della corruzione ti fa riflettere, no?

Dai, facciamoci del male fino in fondo. Ecco lo scambio che ho avuto appena adesso su Twitter, così poi, rovinatami del tutto la carriera, andrò a letto più tranquillo:



Qui, come al solito, la prospettiva corretta la pone la mia casalinga preferita (Rockapasso non è gelosa, perché come sanno le nostre domestiche a casa nostra la casalinga sono io): ma se gli elettori sono così stupidi, inavveduti, o criminali, da eleggere dei governi corrotti, perché mai poi non dovrebbero pagare il fio della loro colpa, sopportando l'insostenibile peso dei governi (corrotti) che hanno eletto?

No, non si può. Arriva la cavalleria e li toglie di mezzo (risparmio esempi recenti).

Strano, vero?

Ora, capiamoci. Chiunque voglia essere al governo oggi dovrà fare quello che gli chiede la Bundesbank, e la Bundesbank ha chiesto una patrimoniale perché il sistema bancario tedesco ha bisogno dei nostri soldi. Vi ricordo che Alessandro Guerani e Claudio Borghi ce lo stanno dicendo da mesi, quindi succederà.

Vi ricordo anche (anzi, ve lo dico, perché non credo di avervelo mai detto) che al dibattito che si è svolto a Leuven il 7 febbraio chi era il più preoccupato per la grande disuguaglianza dei redditi che affligge i paesi del Sud? Chi ha descritto con accenti dickensiani la grave ingiustizia sociale che ci opprime e che reclama vendetta? Quella ingiustizia che solo una patrimoniale sui grandi patrimoni di chi non ha la residenza in Svizzera o i soldi alle Cayman può sanare? Chi è stato? È lui o non è lui? Ma cerrrrrrrrrrrrto che è lui! Il mio amico Cordelius, cioè l'unico tedesco del panel (e tanto amico gli sono che, avendo io sostenuto durante la discussione che non era il caso di avere un atteggiamento troppo moralistico verso i greci corrotti, visto che i corruttori erano stati i tedeschi - amicus Plato sed magis amica veritas - e avendomi lui replicato seccamente, quando il giorno dopo il New York Times pubblicò questo articolo, che equivale a una testa di cavallo, mi guardai bene dal mandargli il link - contro l'avviso di un amico greco).

E vi ricordo anche (anzi, ve lo dico, perché non ve l'ho ancora detto, ma lo vedrete quando Ferdinando caricherà il video), che oggi, nel dibattito molto civile e costruttivo che ho avuto a Rouen con Jean-Paul Gauzès, lui non ha avuto particolari remore a ricordare una cosa che in Italia viene spesso "overlooked" (per la gioia di quel rompicazzo di Fausto) dai mezzi di comunicazione, ovvero che la Germania ha voluto escludere dai meccanismi di monitoraggio dell'Unione Bancaria le banche piccole, per i noti motivi.

E quindi, come dire, la Germania ha bisogno dei vostri dindi, e certamente PCP, essendo dove è voluto andare, non potrà fare altro che toglierveli per darglieli.

Non lo fa perché è cattivo: lo fa perché è lì, e chiunque sia lì non può fare che questo.

Niente di personale.

Quindi inutile litigarci, come è inutile litigare con Cordelius.

Le cose alla fine andranno come dico io (o, in alternativa, farò una bella figura di merda). Fino a che però le cose andranno come stanno andando, il problema non sarà cosa vuole fare chi va al governo, perché una volta arrivato lì non avrà scelta. Il problema sarà perché ci vuole andare. Queste però sono scelte personali, che nessuno di noi può sindacare. Una cosa posso dirvela. Di tutti (tutti) quelli che sono passati da lì negli ultimi 60 anni credo che PCP sia quello che l'economia la sa meglio di tutti gli altri.

Il resto riguarda la sua coscienza, quella di zio Weddy, e ovviamente il principale.

Dixi.



(...professore, chennepenZa? Penso che dopo l'uscita dall'euro PCP sarà un ottimo ministro dell'economia, migliore di tanti altri. Prima sarà un esattore come tutti gli altri. Niente di personale...)

QED 32: You're an errand boy...

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Avevo appena scritto questo, e guardate un po' che dice quest'altro? Che poi, a porte chiuse, il secondo ti dice che sa benissimo che il problema è la politica dei redditi tedesca, e che la MIPS serve appunto a rimettere le cose a posto (daje a ride').

Ma naturalmente in pubblico dice una cosa diversa.

Non ci restano che i grandi classici:



P.S.: mi dicono che il video qua sopra non è disponibile in Italia. Forse perché lo usammo per descrivere l'operato del governo Monti. Questo qua sotto è disponibile?


...ma comunque la scena ve la ricordate tutti. Con tanti auguri a Willard

Pp.Ss.: mi dicono che in Italia si vede questo (ma io qui non lo vedo).

Uscire dall'incubo dell'euro: le asimmetrie dell'Eurozona

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(da Alberto, che avete conosciuto qui, ricevo e pubblico...)


Passano i mesi, diventano anni, e la possibilità che i paesi periferici dell'Eurozona superino questa crisi attraverso un percorso diverso da una soluzione di rottura si allontana sempre di più all'orizzonte.

Contro quanti insistono nel sostenere che esistano soluzioni riformiste capaci di affrontare l'attuale situazione di deterioramento economico e sociale, la realtà si accanisce a dimostrare che la fattibilità di queste proposte richiede una condizione previa ineludibile: la modificazione radicale della struttura istituzionale, delle regole di funzionamento e della linea ideologica che guida il funzionamento dell'Eurozona.

Il problema di fondo è che questo contesto risulta funzionale ed essenziale al processo di accumulazione del gran capitale europeo; ma è anche funzionale, ed è qualcosa che dobbiamo avere sempre presente, al consolidamento del ruolo egemonico della Germania in Europa, e del ruolo al quale essa aspira nel nuovo ambito geopolitico multipolare in costruzione. Per questo motivo possiamo avanzare almeno due argomenti fondamentali per rafforzare la tesi della necessità della rottura del contesto restrittivo imposto dall'euro, se si desidera aprire il ventaglio di possibilità a percorsi di uscita da questa crisi che consentano una minima possibilità di emancipazione per l'insieme dei popoli europei.

Il primo argomento è che la soluzione alla crisi imposta da parte delle élite dominanti a livello europeo è, di per sé, una soluzione di rottura, attuata da queste in nome proprio e a proprio vantaggio. Le politiche di austerità costituiscono l'espressione più evidente del fatto che queste élite si trovano in una posizione di  forza tale, rispetto al mondo del lavoro, da potersi permettere di rompere in maniera unilaterale e definitiva il patto implicito in base al quale si erano creati, rafforzati e mantenuti i welfare state europei. Queste élitesanno perfettamente che una classe lavoratrice precarizzata, de-ideologizzata, destrutturata e che ha perso ampiamente la sua coscienza di classe, è una classe lavoratrice indifesa, priva della capacità di resistenza necessaria per  preservare le strutture di benessere che la proteggevano dall'inclemenza della mercantilizzazione dei bisogni economici e sociali essenziali. Le concessioni fatte durante il capitalismo fordista del dopoguerra sono a rischio di eliminazione perché, tra le altre cose, la privatizzazione del welfare state offre opportunità di guadagno tali da consentire il recupero della caduta del saggio di profitto.

Il secondo argomento è che non si può dimenticare, come invece sembra si faccia, la natura acquisita dal progetto di integrazione monetaria europea da quando venne posto in essere e da quando si cominciarono ad attuare le dinamiche economiche da esso promosse. Il problema essenziale è che l’eurozona è un ibrido che non evolve verso una federazione (con tutte le conseguenze che questo avrebbe in termini di cessione di sovranità), e si mantiene esclusivamente in un ambito di unificazione monetaria perché questa dimensione, insieme alla libertà di movimenti di capitali e di beni e servizi, è sufficiente per plasmare un mercato di grandi dimensioni che permetta un maggior livello di riproduzione del capitale, che elimini i rischi delle svalutazioni monetarie competitive da parte degli Stati, e che faciliti la dominazione di alcuni Stati su altri sulla base dell'apparente neutralità attribuita ai mercati...

Ponzio Ferrero e i nuovi farisei.

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Luca Cellai ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "QED 32: You're an errand boy...":

Mentre discutendo imperterrito di cambio fisso continuo a perdere 'amici' piddini e rifondaroli di vecchia data (ti tolgono anche il saluto quando gli fai notare il loro tradimento implicito dei lavoratori, degli interessi nazionali e della democrazia), cerco anche di razionalizzare le loro posizioni mentali.

La domanda che mi sono fatto è: come è possibile che argomenti di natura economica e scientifica contro il neuro provochino un rifiuto così totale ed apparentemente irrazionale in persone che fino a ieri consideravo intelligenti?

Ed ancora: come è possibile che la prospettiva di subire pure la patrimoniale li lasci profondamente indifferenti?

Poi ho trovato una possibile risposta: il fattore generazionale!

Tutti i miei amici (come i vari ministri dell'economia degli ultimi tempi) sono o figli del baby-boom come me (e come il Prof.) oppure persone nate poco dopo il 1940.

Si trovano cioè prossimi alla pensione (quando già non lo sono) ed in grandissima maggioranza lavorano nello Stato, negli Enti locali o nella media/grande impresa ancora in mano pubblica (oppure alimentata dalla spesa pubblica).

A tutti costoro la probabilità di essere espulsi dall'impiego prima della pensione (oppure di subire la deflazione salariale) appare minima.

Quindi perché rischiare di ricevere una pensione in Lire svalutate, in un probabile contesto con molta più inflazione di oggi quando in fondo in fondo la crescita interessa solo i giovani?

Molto meglio lo status quo (cioè la miseria montante degli altri), chi se ne frega dei giovani e degli esclusi, tanto chi sa che con le conoscenze giuste non si riesca a piazzare i propri parenti nel posto giusto (magari nella EC a Bruxelles!) e quindi 'nto culo' ai figli ed ai nipoti degli altri!

Questa riflessione, oltre ad aumentare il mio senso di correità generazionale (all'inizio fui anche io, da bravo ingegnere, tra i sostenitori del Fogno), mi fa anche sentire un perfetto estraneo rispetto alla mia generazione.

È in questi momenti di abbattimento che mi ritorna in mente quello che dicevano i vecchi partigiani: Quando è il 25 Apile? È sempre 25 Aprile!

Postato da Luca Cellai in Goofynomics alle 23 febbraio 2014 09:58 








(...impeccabile. Ora, a parte il fatto che, come già detto, il migliore argomento contro l'euro rimane lo squallore umano e morale, la grettezza, la piccineria, l'ottusità dei suoi difensori, che sono veramente disposti a passare sul cadavere di chiunque pur di difendere la loro pensioncina o i loro fottuti accordi di desistenza al comune di Mazzate di sotto, a parte questo, vorrei che rifletteste con me sul fatto che Natura, che è matrignissima, però non facit saltus. Normalmente chi è squallidamente gretto è anche platealmente idiota. Perché è sì vero, verissimo, che certi 'compagni' - de sto cazzo - temono per la loro pensioncina. Ma è altrettanto vero che difendere l'euro è il modo migliore per metterla in pericolo. Lo dice la semplice logica delle cose. Mentre abbiamo sperimentato - anche dentro l'euro - svalutazioni del 20% che non hanno particolarmente intaccato i nostri diritti, ora la rigidità del cambio impone politiche di austerità, come voi capite benissimo ma loro no perché sono gretti e stupidi, e oltre un certo limite non ce ne sarà per nessuno. Quando verrete a Roma, il 12 aprile, a vedere l'anteprima de "Il successo greco" al #midtermgoofy, vedrete come i piddini greci dell'ERT difendevano strenuamente il regime, e vedrete che dopo essersi trovati in mezzo a una strada qualcuno comincia a porsi delle domande. Qualcuno, ma non tutti. Non preoccupatevi: sarà una soddisfazione ben amara, ma sarà comunque una soddisfazione: se non riusciremo a cambiare le cose, avremo comunque l'opportunità di vedere queste persone grette, meschine e squallide, incapaci di unire i puntini, incapaci di un minimo sentimento di solidarietà per chi soffre, catapultate a calci in culo in mezzo a una strada dal regime che stanno difendendo. Pensano di essere aquile, e sono polli.

Quando un regime crolla gli ignavi si dividono in due insiemi dotati di ampia intersezione: quelli che "non potevamo sapere" (come i giornalisti dell'Ert), e quelli che "eseguivamo gli ordini" (e vi risparmio esempi). Nell'intersezione c'è Eichmann. Auspico un esito pacifico della vicenda. Nessuno mi parli di Norimberghe o altre fesserie simili. Ma sia chiaro che grazie al lavoro che stiamo facendo qui, con l'aiuto di amici come Alberto Montero Soler, nessuno potrà dire che "non poteva sapere". E chi ha eseguito gli ordini ci farà il piacere di ammettere che erano ordini sbagliati. Anzi: l'ha già fatto.

Ma tutto questo er Nutella non lo sa. Come vedrete, è più facile che un deputato dell'UMP ammetta che l'Europa è in una impasse politica, piuttosto che er Nutella acceda al regno dei cieli. Lui e Tsipras sono la terza generazione di gatekeepers, dopo gli ortotteri e gli anatroccoli. Vae vobis...)


Facciamo i conti

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(...no, ma che avete capito! Facciamo i conti in senso buono. Nel senso, appunto, che ci facciamo due conti in tasca...)




Carissimi,

finalmente possiamo parlare di soldi, il che, in un blog di economia, non dovrebbe essere strano. Posso darvi le cifre della gestione 2013, e il preventivo della 2014, ma prima di annoiarvi con i dettagli vorrei fare diverse premesse indispensabili per inquadrare l’arida contabilità nel contesto appropriato.

Premesse
Intanto voglio ringraziare tutti: quelli che hanno partecipato coi soldi, e anche quelli che hanno partecipato con una parola di incoraggiamento o di ringraziamento. Per noi è stato importante sapere che quello che stavamo facendo vi stava aiutando.

È necessaria un’altra premessa. Sulla parte contabile/amministrativa dell’associazione lavora essenzialmente Paolo Cianciabella (con il supporto di Vanna per quanto riguarda l’evento per il quale è stata assunta, cioè il compleanno, e del commercialista per gli aspetti fiscali). Non è stato un anno semplice per nessuno di noi, ma il suo è stato più complicato per due motivi, che non vi dico (se vuole ve li dirà lui, qualcuno già li sa), motivi piuttosto gravi e dolorosi (in vari sensi) che hanno reso il lavoro che è riuscito a fare qualcosa di più di un lavoro eccezionale: direi che è stato un lavoro eroico. Paolo ha definito lo statuto, trovato il notaio, lavorato con Luca Centra per definire schemi di controllo, rendicontazione e pianificazione delle spese, gestito le piattaforme Eventbrite e PayPal, aperto il conto dell’associazione, gestito il libro dei verbali, ecc. Ognuno ha le sue trincee, io ho potuto intuire in quale trincea fosse lui e vi posso dire che una volta di più ho avuto modo di benedire l’euro, che mi ha permesso se non altro di conoscere persone come voi e come lui.

Il che non mi renderà particolarmente triste il giorno in cui saremo riusciti a togliercelo di torno (l’euro). Rimarranno tante belle asimmetrie da studiare...

Ve lo voglio dire anche perché sappiate che sono perfettamente cosciente di quanto resta ancora da fare. Ad esempio, siamo ancora scoperti in alcuni settori, in particolare riferiti alla comunicazione (ufficio stampa, redazione web, per capirci, ma non chiamate voi, vi facciamo sapere, chiamiamo noi...), e siamo arenati, per mancanza di tempi tecnici, sulla questione dell’elaborazione di un regolamento che disciplini le vostre eventuali iscrizioni all’associazione. Ora abbiamo un paio di urgenze organizzative da regolare (sostanzialmente riferite al midtermgoofy). Poi spero di avere modo di regolare anche questo aspetto con Paolo e gli altri soci. Chiunque sia disposto a fare un centesimo di quello che ha fatto lui sarà bene accetto (tenendo presente che quanto ho scritto sopra è appunto un centesimo di quanto lui ha fatto, quindi preparatevi)!

Voglio anche ringraziare tutti gli altri soci per il loro sostegno e il loro consiglio. I consigli non li sopporto quando non li chiedo, ma quando mi servono li chiedo, e in Marco (Bessi), Claudio (Borghi) e Alessandro (Guerani) ne ho sempre trovati di ottimi. Li ringrazio anche per aver accettato il mio invito a imbarcarsi in questa avventura.

Un’altra premessa, questa volta “tecnica”. Noi siamo un’associazione di promozione sociale, quindi non abbiamo scopo di lucro e infatti siamo poveri. Tuttavia, nel rispetto della legge, una parte della nostra attività è di tipo “commerciale”, ad esempio quando vi chiediamo di pagare un biglietto per partecipare a un evento come il compleanno. La legge esige (giustamente) che proventi e spese delle due attività (quella istituzionale e quella commerciale) siano messi in evidenza nei rendiconti, per garantire la prevalenza in termini economici dell’attività istituzionale. Se così non fosse, ognuno potrebbe aprire una società di servizi senza sottostare a tutti gli obblighi fiscale ecc. previsti per quel tipo di attività. La morale della favola è che il conto economico “ufficiale”, redatto a termini di legge, presenta separatamente costi e ricavi delle due attività, il che ne rende un po’ ostica la lettura. Il documento ufficiale è nel sito di a/simmetrie e potete consultarlo cliccando qui.

Io però, col vostro permesso, e per facilitarvi la lettura, dopo avervi fatto vedere che abbiamo fatto tutto a regola d’arte, volevo presentarvi i conti riclassificati in modo che voi poteste avere una visione di quanto grazie a voi abbiamo fatto che fosse più sintetica, e più facilmente “raccordabile” al budget di previsione per il 2014. In questo senso ho pensato, su suggerimento di Paolo, di suddividere le spese in spese di avvio (start-up), spese di funzionamento, e spese di progetto, legate a eventi o progetti specifici. Questa distinzione ci servirà a misurare meglio la distanza fra alcuni obiettivi che vorrei sottoporvi, e i mezzi che abbiamo per raggiungerli.

Il 2013
Ci siamo costituiti a luglio e da agosto abbiamo partecipato, come organizzatori, o come consulenti scientifici, a quattro eventi, due dei quali internazionali, pienamente in sintonia con lo spirito di apertura al dialogo che caratterizza il nostro statuto. Abbiamo invitato in Italia, direttamente o in cooperazione con altre associazioni, economisti coinvolti con un ruolo di spicco nel dibattito pubblico dei rispettivi paesi, come Joao Martins Ferreira do Amaral, Alberto Montero Soler, Jacques Sapir, Gennaro Zezza, e altri meno esposti mediaticamente, ma ugualmente qualificati scientificamente, come Brigitte Granville o Cesare Pozzi (ovviamente non ho messo in lista Claudio Borghi, perché è socio, quindi rientra nell’“abbiamo”, e non nella lista...).

Abbiamo allargato il dibattito a altri campi disciplinari, invitando a confrontarsi giuristi come Luciano Barra Caracciolo, filosofi come Diego Fusaro, storici e antropologi come Panagiotis Grigoriou, mettendo le loro testimonianze a disposizione via streaming e attraverso il nostro sito.

Abbiamo riunito e fatto dialogare politici di orientamenti disparati, da Gianni Alemanno a Stefano Fassina, e ci siamo messi a disposizione, per fornire consulenza scientifica sui temi dell’euro, a chiunque ce l’abbia chiesto, dall’IDV di Ignazio Messinaalla Lega Nord di Matteo Salvini. Salvo errori, solo Scelta Civica e qualche partito comunista non hanno mostrato interesse per la nostra attività. Ne siamo tanto addolorati quanto sorpresi. Perfino esponenti del Partito Democratico, pur consapevoli dei costi politici che questo oggi comporta, hanno manifestato interesse e volontà di dialogo e di coinvolgimento.

Non credo ci sia altro da aggiungere, se non che questo è stato fatto in cinque mesi. Va da sé che chi vuole fare il gesto eclatante può accomodarsi. Non do suggerimenti perché sarebbe reato. Chi non capisce quanto sia eclatante quanto è stato fatto qui è persona fondamentalmente inutile, quindi, come dire...

Quanto ci è costata tutta questa attività?

I documenti ufficiali li trovate dove vi ho detto. Come potete vedere, le donazioni (entrate istituzionali) sono state pari a 41250 euro. Grazie.

Le entrate “commerciali”, derivanti essenzialmente dai biglietti per il compleanno di Pescara sono state pari a 11624 euro (sfasamenti contabili con il rendiconto dell’evento presentato quisono dovute all’imputazione degli oneri di riscossione PayPal e delle spese bancarie – minime). Dal lato delle entrate la parte istituzionale è nettamente prevalente, e infatti, come ricordate dal consuntivo del compleanno, per finanziare quell’evento è stato necessario utilizzare una parte delle donazioni. Abbiamo ricambiato lo sforzo di chi ci ha sostenuto a distanza rendendo disponibili a distanza, attraverso il nostro sito, le relazioni presentate in quella sede. Non vi parlo dello streaming se non per ringraziare Simone Curini, che non c’è stato modo di pagare.

Il consuntivo economico riclassificato è una cosa di questo tipo:




Un applauso per le spese di design, piuttosto contenute data la qualità grafica di a/simmetrie, grazie alla generosità di Massimo Porcedda, che ha praticamente lavorato aggratise (in rapporto alla qualità e all'impegno, si intende, altrimenti vedreste un bello zero), salvo ogni tanto essere saldato da qualche cazziatone allucinante (incolpevole parafulmine del mio stress, ma anche a Paolo non è andata sempre bene).

Nelle spese di funzionamento entra di tutto: dai canoni per l’hosting del sito, alla parcella del commercialista, alle provvigioni PayPal (che stiamo cercando di capire come ridurre), alla predisposizione di materiale pubblicitario.

Questo per quanto riguarda il 2013.

Il 2014
Il 2014 sarà un anno impegnativo per un motivo tecnico. Abbiamo bisogno di alzare il livello qualitativo e quantitativo del nostro impegno, ma le risorse sono quelle che sono (poi ne parliamo) e l’interesse eventuale di “grandi” sponsor, attraverso la deducibilità fiscale delle donazioni, come pure la possibilità di beneficiare del 5 per mille, sono inibiti dal fatto che dobbiamo avere almeno un anno di attività per poter essere riconosciuti come “associazione di promozione sociale”. Quindi dobbiamo farcela da noi.

Anche nel 2014 organizzeremo eventi. Ad oggi ne abbiamo in programma tre:

1.       Il “mid-term Goofy”, cioè il mezzo compleanno, che festeggeremo il 12 aprile a Roma, dove presenteremo i risultati di analisi di scenario condotte con i colleghi del Manifesto di solidarietà europea, ma anche l’anteprima del documentario Il successo greco, e inviteremo Panagiotis a raccontarci come stanno andando le cose lì.

2.      Il convegno scientifico dell’INFER, dal 28 al 31 maggio, per il quale forniremo soprattutto un supporto organizzativo e scientifico (essendo finanziato per lo più di fondi di ricerca e dalle quote dei partecipanti), e che comunque toccherà anche i temi che vi sono cari (cercheremo delle modalità per coinvolgervi, tenendo presente però che i lavori saranno svolti in inglese e non potremo permetterci di assicurare un servizio di traduzione). Sono previste relazioni invitate di economisti come Dominick Salvatore (al quale vorrei chiedere di parlarci della crisi dell’Eurozona, se non ne ha abbastanza, visto che, come sapete, ne parla fin dal 1997!), Joe Brada (al quale vorrei di parlarci dei suoi ultimi lavori sulla distribuzione del reddito), Gianni De Fraia (al quale chiederò di condividere con noi la sua analisi economica del sistema universitario), Mathias Thoenig (che ci parlerà della sua analisi economica delle guerre civili), e Gary Jefferson (al quale vorrei chiedere di parlarci della Cina, e in particolare di come ha gestito gli investimenti diretti esteri). Per il resto, sono arrivate già 120 comunicazioni spontanee, che il comitato scientifico sta valutando, mi sembra con soddisfazione. Ci sarà una sessione speciale sulla moneta comune, coordinata da Gennaro Zezza, e per la quale Luca Fantacci ci ha già inviato un lavoro, una sulle asimmetrie nell’Eurozona, alla quale parteciperà Andrea Boltho con un’analisi comparata dell’unificazione italiana e di quella tedesca, ecc.

3.      E poi, naturalmente, il compleanno, al quale quest’anno cominceremo a pensare in tempo, cioè, sostanzialmente, fra un paio di settimane.

Stiamo valutando l’opportunità di cooperare ad altri eventi, ma questi credo possano bastare, considerando che di lavoro ne daranno parecchio, e speriamo diano anche buona visibilità.

Il fatto è che comunque quest’anno dobbiamo fare uno sforzo diventare più propositivi e visibili. La diagnosi ormai è chiara, bisogna passare alla terapia (con tutto il rispetto per chi la diagnosi ancora non l’ha capita, va da sé).

I punti da affrontare, a grandi linee, sono questi:

1.      all’attività di promozione di incontri, dobbiamo associare quella di produzione di ricerche e proposte indipendenti, sui temi che ci interessano.

2.      L’attività di divulgazione va potenziata,producendo materiale di più facile assimilazione e ristrutturando completamente questo sito.

3.      L’attività di comunicazione va strutturata,prevedendo risorse per un addetto stampa e una redazione web.

In previsione, questo dovrebbe alzare le spese di funzionamento, via via che il personale che ci occorre viene individuato e strutturato (chiamiamo noi).

Allo stato attuale la situazione è questa.

Per quanto riguarda l’attività di ricerca, l’associazione ha assunto con un contratto di collaborazione a progetto un ricercatore che è stato mio studente di dottorato e coautore, Christian Alexander Mongeau Ospina. Dopo un periodo al CER e a Roma III, quest’anno era disponibile e gli ho proposto di  venire a lavorare con noi. Ha accettato, e da febbraio sta aggiornando il modello dell’economia italiana che avevo usato in questo lavoro. Lo stiamo adattando per effettuare analisi di scenario riferite all’impatto sull’Italia di cambiamenti delle regole europee, a vario titolo (inclusa la fattibilità di percorsi dentro l’euro, sulla quale sapete come la penso, ma che va comunque considerata in termini scientifici e non di sogno, e a questo proposito mi sto confrontando ad esempio con Piergiorgio Gawronski e con Giorgio La Malfa). Christian è una spada di fuoco, sta aggiornando il database del modello, creando macro che consentono di automatizzare l’estrazione dei dati dalle basi dati pubbliche e di aggiornare i parametri in automatico, ecc. Fra circa un mese potremmo essere in grado di fare le prime analisi di scenario, che mi farebbe molto piacere presentarvi al “mid term goofy” (ma non so se ce la faremo, eventualmente organizzeremo un evento ad hoc). Nel frattempo farò col piede sinistro una cosa tipo questa (ottima e abbondante per la truppa), ma noi possiamo e dobbiamo fare di più, mantenendo i nostri standard di penetrazione nel dibattito pubblico e nella letteratura scientifica.

Per quanto riguarda l’attività di divulgazione, è chiaro che intanto va ristrutturato questo sito. Bisogna inserire una sezione “didattica”, le FAQ, la videoteca, percorsi di lettura, e naturalmente mantenere il mio spazio di libertà. Vorrei migrare su piattaforma Wordpress, ecc. Ho già qualche idea in testa, e anche qualche preventivo. Poi dovremo preparare del materiale divulgativo semplice, di facile distribuzione, ma di qualità: spero di potervelo presentare già al “mid-term”, ma anche questo è da vedersi.

Infine, questa storia di farsi un mazzo così perché poi non ne parli nessuno deve finire. Mi sto attrezzando per affiancare ai nostri eventi un ufficio stampa, in modo che i simpatici giornalisti vengano informati di quanto facciamo, e quindi escano definitivamente dalla categoria di quelli che “noi non sapevamo”, magari per entrare nella categoria di quelli che “abbiamo eseguito gli ordini”. Ma di non aver saputo non potranno più dirlo. Voglio essere molto chiaro su questo punto, perché è un punto importante, che non deve essere letto né in chiave polemica, né in chiave di chiusura. Quella che segue è una breve lista di giornalisti con i quali ho avuto e intrattengo nei limiti del possibile dei rapporti cordiali (in no particular order):


Vittorio Feltri
Marcello Foa
Giorgio Dell'Arti
Mario Giordano
Massimo Rocca
Francesco De Dominicis
Stefano Feltri
Marco Palombi
ecc.


Possono piacere o non piacere, piacersi o non piacersi, ma non credo che nessuno possa dire che non sono dei professionisti, no? Bene. Allora se poi succedono cose tipo queste, o se, come mi scriveva questa mattina Claudio, “Comunque è fantastico: mille persone che si picchiavano sabato per entrare a Milano e il silenzio totale sulla stampa...”, è evidente che un problema c'è, ed è un problema di democrazia, è il problema. Il mio punto di vista è molto obiettivo e molto sereno, e ve lo dico come l'ho detto ai soci: "Faccio notare due cose. La prima è che non serve a un cazzo avere giornalisti amici se poi non hai il tempo materiale di fargli una telefonata per avvertirli degli eventi. L'addetto stampa a questo serve. La seconda è che non serve a un cazzo avvertire amici e nemici se poi la 'linea editoriale'è che di te non si deve parlare. Quindi l'addetto stampa potrebbe essere inutile. Quando DOVRANNO parlare di noi lo faranno E BASTA."

Questo è quanto ci ha spiegato mille volte su queste pagine Massimo Rocca e non vedo alcuno scandalo nel ripeterlo in questa sede. Semplicemente, a me piace giocare a carte scoperte. Sappiate che sappiamo. Sono le regole del gioco, non le giudichiamo e non ci scandalizzano (o comunque questo non è un posto dove ci si stracciano le vesti, ma un posto dove ci si rimboccano le mani, ma sul serio, non come la 'zdora).

La sintesi è semplicemente che dobbiamo arrivare preparati (e quindi anche con una comunicazione strutturata professionalmente) al momento in cui si potrà parlare di noi.


Bisogna anche che intervenga prima o poi una redazione web a liberarmi dal peso della gestione di questi siti, che per ora condivido da solo con Massimo, e anche della gestione di altri social. Dei simpatici troll non potrò occuparmi più io (con mio grande dispiacere, caro Peter): se ne occuperà un mastino.

Infine, bisognerà anche strutturare un minimo di supporto amministrativo, dotarsi di una sede operativa (oltre a quella legale), e di qualche attrezzatura minima.

Questo è.

Quanto costa? Più dell’anno scorso. Vi do un’idea così, a spanna, di quanto ho potuto capire grazie al lavoro di Paolo e Luca. Sono cifre indicative, ma in alcuni casi abbastanza fedeli, perché almeno i budget dei due primi eventi, il contratto con Christian, e quello per l’affitto della sede operativa li abbiamo “chiusi”.



Qualche commento rapido. Le stime sono piuttosto prudenziali.

Comincio dalle uscite. Le spese di funzionamento, come vi dicevo, aumentano abbastanza: diciamo, da poco più di 700 euro al mese dello scorso anno (considerato che abbiamo “funzionato” solo 5 mesi), a circa 2200 euro al mese. La differenza la fanno le spese messe in conto per sede, personale di comunicazione e personale amministrativo. Fra le spese di progetto c’è il contratto di Christian (che è partito a febbraio), poi gli eventi di cui sapete. Il costo di INFER2014 in realtà è prudenziale, perché ho ragionevoli aspettative di coprire questa parte con ulteriori sponsorizzazioni.

Lato entrate, le stime relative alle iscrizioni a eventi sono piuttosto attendibili (si basano sull’esperienza dello scorso compleanno). Per quanto riguarda le donazioni, so che la crisi sta mordendo tutti, ma siamo sempre di più, e spero che a mano a mano che i risultati di quello che facciamo diventeranno sempre più visibili, potrò contare sulla generosità non solo vostra, ma soprattutto della famosa piccola e media impresa, che forse, magari, comincerà a capire che quello che stiamo facendo è qualcosa di concreto e di utile anche per lei. Stanno arrivando rari segnali. Dopo il salasso del team Padoan-Weidmann sono sicuro che i segnali si moltiplicheranno. Anche le elezioni faranno la loro parte. Aspetteranno (purtroppo per loro) di avere pochi soldi per darceli... ma poi ce li daranno!

(...so che sembra paradossale, ma accetto scommesse, e finora non ne ho perse molte...)

In ogni caso, ho previsto di ricevere in dodici mesi meno del doppio di quello che quest’anno abbiamo ricevuto in cinque mesi. Penso sia una stima prudenziale.

Ho previsto anche l’incasso di un certo numero di quote associative. Va da sé che prima di metterci a gestire le iscrizioni (pagamenti, registrazioni, ecc.) dobbiamo avere un minimo di struttura amministrativa: non posso fare la segretaria. Ecco, forse una voce sottostimata riguarda il costo del personale amministrativo. Su quello non sono ancora in grado di capire come regolarmi, ma presto sarò costretto a prendere una decisione.

Voglio farvi un discorso molto “spicciolo” (in diversi sensi). Se ognuno dei 2592 lettori fissi del blog desse 5 euro al mese (cinque), cioè 60 all’anno, avremmo coperto le spese senza chiedere niente a nessuno. Sono spiccioli, appunto, però c’è un problema, anzi, ce ne sono due.

Il primo è che purtroppo per molti di voi questi probabilmente non sono spiccioli, e allora preferisco che ve li teniate da parte. Il secondo è che, quando anche lo fossero, non è giusto che a pagare siate sempre e soltanto voi.

NON È GIUSTO.

Questi problemi hanno svariate soluzioni. La prima, come vi ho detto, è quella di coinvolgere chi ha più da dare perché ha più da perdere. A questo scopo però è essenziale presentarsi con studi e risposte concrete (vedi alla voce Christian), e con una visibilità di un certo profilo. Ci stiamo attrezzando. Come vi ho già detto, avere i vari benefici fiscali ci aiuterà, ma solo dal 2015: per ora dobbiamo tirare avanti. La seconda è quella di coinvolgere le istituzioni del territorio, perché se io porto in Abruzzo economisti da 23 paesi del mondo, vorrei che l’Abruzzo e chi ci lavora manifestassero un minimo di attenzione per questo lavoro di promozione dell’immagine regionale (e confido che lo faranno).

Sponsor di questo tipo, però, si possono coinvolgere su un progetto. Alle spese di funzionamento dobbiamo pensare noi. Una cosa che ci tranquillizzerebbe molto sarebbe poter contare su un flusso di donazioni piccole, ma regolari. Su PayPal potete già da adesso decidere di attivare una donazione mensile

Considerando che, per problemi economici o di free riding, non è detto che tutti possano o siano disposti a dare 5 euro al mese, se ce ne fosse, che so, un decimo di voi disposto a darne poniamo 15 già staremmo più tranquilli (soprattutto Paolo)! Vi faccio presente che l’abbonamento a Repubblica costa 23.25 euro al mese. Voi direte: “Ma quelli se lo meritano di pagare così tanto! Sono piddini!”

Ma io vi sto chiedendo di pagare molto di meno...

Tenete presente che il progetto è prudenziale dal lato delle entrate, perché è prudenziale dal lato delle uscite. Già se prevedessimo un amministrativo full-time(e prima o poi bisognerà pensare a farlo, perché non avete idea di cosa significhi organizzare un evento, soprattutto a Roma), e un addetto alla comunicazione con un part-time decente, staremmo ampiamente fuori. Considerate anche che per fare le cose per bene di addetti alla comunicazione ce ne servono due: uno ggiovane, da spendere sul fronte social, e uno più navigato, da spendere sul fronte mainstream. Tanto per dire.

Io non ho idea di se e quanto spenda un ortottero, per fare un esempio, per farsi dire che uno vale uno, e poi non contare un cazzo. Mi hanno detto però quanto si guadagna mettendo pubblicità sul sito (e da lì glie ne arrivano di bei soldi).

Io questo non voglio farlo, perché parto da un altro principio: qui non c'è uno che vale uno, ce ne sono molti che valgono molti, e almeno uno ve lo ha dimostrato coi fatti, perché è arrivato, prima di cominciare a chiedervi qualcosa, dove voi mai avreste immaginato che sarebbe arrivato da solo. Pensateci un po’ su, e datevi una regolata.

So che lo farete come lo avete fatto finora, e se c’è una cosa che non mi preoccupa per il 2014 sono i soldi. Comincio invece a sentire il peso di dover essere all’altezza delle vostre aspettative, perché se chiedo devo anche dare. Ma questo riguarda me. So di poterlo sostenere, anche perché non sono solo: ci sono Claudio, Alessandro, Paolo, e Marco, e poi ci siete tutti voi, fuori o (presto) dentro l’associazione.

Dobbiamo resistere, e resisteremo.

Graziee en avant!

(...seguono informazioni sul mid-term Goofy...)

Lo stato sociale italiano e la Repubblica Sociale Italiana

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Ricevo, non vi dico da chi, per ovvi motivi di privacy, e condivido con voi questa lettera allegra, una delle tante, appunto, che ho ricevuto dopo aver pubblicato questo tweet.



Grazie per il tweet.

Bisogna passarci per la pena e la solitudine della malattia. Per la vergogna di abbandonare tua madre in una struttura ospedaliera. 

E lì capisci cosa vuol dire "stato sociale", lo capisci nella carne viva. Lo capisci nello sguardo di comprensione degli infermieri che cambiano il pannolone a tua madre, che la lavano che le danno da mangiare. Sanno della tua pena, della tua vergogna e non ti giudicano.

Stato sociale significa che ci si prende cura dei più deboli, tutto qui. Un po' di Irpef per uno per alleviare, dove possibile, il dolore di qualcun altro.

La cosa che mi ha fatto più male in questi anni credo che sia la stessa che ha sconcertato te: l'indifferenza assoluta delle cosiddette "persone di sinistra". Purtroppo non è una battuta osservare che oggi sono l'ossatura di questo sistema e in altri tempi sarebbero stati l'ossatura del fascismo. Con i medesimi alibi.

Perdona lo sfogo, so che si tratta di una delle solite letterine allegre che ti tocca leggere.


Allora, un paio di note.
 
La prima è metodologica. Non fatemi migliore di quello che sono. Il tuo caso mi tocca non perché tu sia un mio amico. Io non ho amici. Certo, la prima volta che ci siamo incontrati ti ho caricato, insieme a quella simpatica corte dei miracoli dei nostri figli, e ce ne siamo andati a Maccarese a pranzo in spiaggia perché ci dispiaceva interrompere il discorso che stavamo facendo. A quei tempi la vita non ti aveva ancora troppo la corda al collo. Ma io non ho amici. Il tuo caso mi interessa semplicemente perché presto toccherà a me. Tutto quello che sto facendo lo sto facendo per egoismo, perché sono in conflitto di interessi. Questo blog è un inno al fondamento metodologico dell'economia neoclassica: l'assunto che gli uomini agiscano per il proprio tornaconto personale. Lo ho sempre detto. Chi attacca lo Stato attacca me, perché lo Stato mi paga lo stipendio, e perché, con i soldi delle tasse che non posso non dargli, mi toglie un bel po' di rotture di coglioni. O, per lo meno, me le toglieva, ma da qui in avanti lo farà sempre di meno, come la vicenda che è oggetto del tweet dimostra, e chi ringraziare lo sappiamo. Quindi non fatemi migliore di quello che sono: sono molto più egoista di voi, solo che per lavoro sono portato a individuare meglio di voi dove sia il mio interesse.

La seconda è terminologica. Ci sarà anche un motivo se quelli di sinistra ogni tanto ci capita di chiamarli "repubblichini", no? Il motivo è che chi attacca con tanta leggerezza etica e scientifica lo Stato sociale, in fondo trova la sua naturale collocazione nella Repubblica. Questa e questa.

Dio non paga ogni sabato. Vedremo anche la loro sofferenza. Poi starà a noi decidere se essere o meno compassionevoli. Per quanto riguarda me, vedi al punto uno. Non prendetemi ad esempio.

Mid-term Goofy

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...e finalmente ce l'abbiamo fatta!

Allora: per chi vuole, ci si vede a Roma il 12 aprile alle 10, e si sta insieme fino alle 19.

Ci saranno diversi amici: Panagiotis, Claudio, Brigitte, ecc. Ci saranno gli economisti del Manifesto di Solidarietà Europeo, quelli che conoscete, come Stefan (che era a Pescara), e altri che conoscerete, come Costas Lapavitsas, o Antoni Soy. Ci saranno altri economisti che non sono molto d'accordo con quanto sta succedendo in Italia, e che hanno avuto il coraggio di intervenire da tempo nel dibattito, come Paolo Savona, o Piergiorgio Gawronski. Ci saranno anche persone che su tante cose la pensano in modo diverso da alcuni di noi (se andate a vedere il programma, ne troverete).

Pensate! Per la gioia dei marxisti dell'Illinois ci sarà perfino lui. E sto aspettando altre gradite conferme.

Immagino lo scandalo nei sottoscala della sinistra critica! "Ecco, vedi, Bagnai è diventato liberista...". Fate un po' come vi pare, tanto nessuno vi ascolta, ormai non vi ascoltate più nemmeno fra voi. Di non cooperare a questo progetto siete voi che lo avete scelto: per noi non è stata una gran perdita. Sed de hoc satis.

Panagiotis aprirà i lavori ricordando a tutti i presenti (incluso il de cujus) che cosa significa l'Europa che hanno costruito o nella quale comunque hanno creduto. L'esempio sarà quello della Grecia. Non che non lo sappiano, cosa sta succedendo là, ma ricordarlo servirà comunque a mettere il dibattito sul giusto binario.

Poi parleremo io e "lui", e io credo di sapere già quello che dirò. Dirò che io per lavoro insegno i fallimenti del mercato, ma che un mercato che non funziona è sempre meglio di un mercato sistematicamente distorto a tuo svantaggio. E dirò che chi invece credeva così tanto nel mercato finanziario, al punto di pensare che questo avrebbe colmato da sé tutti gli squilibri che si sarebbero manifestati (l'idea per cui importare un sommergibile tedesco in Grecia sarebbe stato come importare un camembert in Lozère), ha dimostrato quanto meno una certa schizofrenia credendo così poco al mercato dei cambi, al punto di vedere nell'inibizione del suo funzionamento l'unico scopo, la testata d'angolo della costruzione europea. Dopo di che dirò che ora, se vogliamo, possiamo parlare, partendo dal principio che con il "meno Stato più mercato" siamo andati contro un muro, e che il vero liberismo reale oggi esiste solo in Somalia (come ci ricorda spesso Alessandro Guerani). Un po' di rule of law male non fa, anche in ambito economico, e bisogna ripartire da lì, altrimenti è tutto inutile.

To', che sorpresa! Non dirò che basta uscire dall'euro e tutto si risolve con un colpo di bacchetta magica! Delusi, vero? Voi che non mi sentite ripetere altro da mesi e mesi... E invece, improvvisamente e inopinatamente, mi sono accorto che il mondo è più complesso, ne ho finalmente, molto in ritardo, preso atto, grazie, va da sé, a Brancaccio e Bellofiore (chi?). Che ingenuotto sono stato! Si vede proprio che non ho fatto "il percorso". E quanto è bello poter contare sul franco avviso di leali colleghi. E questo è solo l'inizio, perché le mie memorie voglio scriverle molto prima di morire.

Ma torniamo sul pezzo (ah, a proposito: basta dire: "Ho sbagliato" e tutto torna a posto, sapete? Così, tanto per dire. Tanto le cose andranno come dico io, chiavatevelo in testa. Sed de hoc ri-satis).

Poi ci saranno tre panel nei quali forniremo qualche numero, riferito in sostanza a tre possibili scenari: uscita dall'alto, segmentazione in due, piano B (uscita "dal basso"). Io sto lavorando in particolare su quest'ultimo, come vi ho spiegato. Il benchmark saranno le ultime proiezioni dell'IMF, e da lì articoleremo l'analisi dei controfattuali. Che succederebbe se?

Avremo poi una tavola rotonda con politici di tutti i colori: rossi, verdi, bianchi e neri. Va bene così? Volete gli arancioni? No, guardate, di quelli faccio a meno: sono utili tsiprioti, credo, allo stato attuale, quindi non servono a portare avanti il discorso, per i motivi che Alberto ci ha spiegato molto bene qui (a proposito, lo ho invitato a Pescara a presiedere la sessione sulle asimmetrie nell'Eurozona, visto che il tedesco "de sinistra" che avevo invitato non mi risponde perché sono andato al Parlamento europeo su invito dell'EFD... Paese che vai, sinistra che trovi... ma è sempre la stessa! E come sempre, chiusa una porta, si apre un portone...).

Coordinerà la tavola rotonda Mario Giordano, che, come forse non ricorderete, era uno di quelli che l'avevano detto.

E la giornata terminerà in bellezza, con la proiezione dell'anteprima de "Il successo greco", il documentario dei 101 dalmata, il cui backstage abbiamo tutto seguito con trepidazione e affetto. Faremo, una volta di più, il lavoro che altri non vogliono fare per noi, essendo chiamati a farlo e avendo volontariamente scelto di farlo: informare. Dimostreremo che c'è gente che è disposta a spendere se stessa, che è una cosa un po' diversa dal vendere se stessa. Sono piccole nuance, ma d'altra parte, lo sapete, la poesia non è fatta di colori, ma di nuance, diceva uno che se ne intendeva, quello che diceva che l'arte è essere semplicemente se stessi.

E quanta gente incontriamo che non ha nulla da essere perché non è nulla... Comunque, non ricominciamo il solito discorso, altrimenti poi ci dicono che siamo razzisti. Ma noi non siamo razzisti...

E poi? E poi ce ne andremo all'osteria, va da sé. È un evento in qualche modo ufficiale, ma è e resta un evento nostro, un'occasione per vederci, per scambiarci idee e numeri di telefono, per sapere chi siamo.

Solo una parola sui costi.

I lavori si svolgeranno in inglese o italiano.

Noterete che per chi vuole la traduzione chiedo un contributo di 30 euro (25 per gli altri), che è poco meno di quello che ho chiesto a Pescara, dove l'evento durava due giorni, e erano compresi pranzo, cena e pause caffè. Le ragioni ve le immaginate. Per dirvene una, la sala a Roma costa quattro volte più che a Pescara (5000 invece di 1200 iva esclusa), gli interpreti un po' meno del doppio, ecc. Inoltre, questa volta voglio un ufficio stampa (e sto ancora valutando offerte, ma per voi solo il meglio). Sto comunque cercando sponsor per potervi offrire almeno un caffè e due biscotti, e sono sicuro che li troverò. Abbiate fiducia, e comunque vi prometto un compleanno ugualmente sontuoso, ma più economico, a Pescara, in autunno.

Altro punto importante: i tempi sono corti, l'idea mi è venuta a dicembre su uno stimolo dei colleghi del Manifesto di Solidarietà, e poi ci son stati tempi biblici di organizzazione (Roma non è Pescara). Hanno aiutato in tanti e ringrazio tutti. Per noi è importante sapere presto quanti siete. Notate quindi che ho applicato una "early bird policy", per cui se aspettate troppo, rischiate di pagare un po' di più.

I posti non sono tantissimi: 400 con traduzione, 100 senza. Avrei voluto una sala da mille persone, ma i costi sarebbero andati alle stelle. Io sono abbastanza un risk lover, ma per fortuna Paolo è risk averse, e mi ha impedito di andar troppo fuori finanziariamente.Non siamo ancora una multinazionale farmaceutica, e nemmeno un'associazione di categoria. Siamo solo delle persone che cercano di sopravvivere. La nostra forza per ora sia questa. Quella del numero seguirà.

Un'altra rivoluzione copernicana! Say reloaded...

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Dunque.

Voi credevate che l'Unione Europea fosse il regno del liberismo friedmaniano più spinto, fosse il sogno di un Chicago boy che ha mangiato troppa peperonata, fosse un inno alla sconsiderata fiducia nel mercato (quella che faceva credere a Jean-Pisany Ferry e Daniel Gros nel 1990 che all'interno dell'eurozona non ci sarebbero mai state crisi di bilancia dei pagamenti, perché i mercati privati avrebbero sempre provvisto i finanziamenti necessari a saldare tutti i conti), che l'Unione Europea fosse quindi il regno assoluto e incontrastato dei supply siders, quelli che "l'importante è produrre, l'importante è la produttività", e che quindi poi il cuneo non sanno dove metterselo, quelli che l'offerta crea la domanda.

Voi credevate tutto questo.

E lo credevo anch'io.

Ma questa mattina, svegliandomi, ho dovuto ricredermi.

L'Unione Europea ha ammesso che è la domanda che crea l'offerta.

E ha reagito nell'unico modo in cui sa reagire: reprimendo la domanda.


(chi è il politicamente scorretto di turno oggi? Velo di Maya o Alex? Andateci piano, ragazzi...)

Dio c'è! (3)

Dio c'è (4)

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(...il 3 era qui...)


Da servi a schiavi è un attimo.


(...arrendetevi, siete circondati dai fatti, sapete, quella cosa che dovreste separare dalle vostre opinioni...)

(...sed quibus ipse malis careas quia cernere suavest...)

(...moriremo tutti. E allora perché mentire? E soprattutto, brutti cialtroni, perché prendersi tanto sul serio? Potendo scegliere, meglio morire con la schiena dritta che travolti da un tornado di pernacchie, no? Tutti possono scegliere. Finché non diventano schiavi...)

Tradimento e redenzione

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...che poi, per lo stesso motivo per il quale non ci sono free lunch, non c'è nemmeno il male assoluto. Guardate ad esempio da un tradimento quante cose belle possono venire fuori: questaè una, e questaè un'altra (più nota).

Io ve lo dico sempre: un giorno avremo tutti bisogno della misericordia di Dio.

In proporzioni variabili.




(...e ora quelli che vogliono sentirsi tanto fichi parlando di cose che di base non capiscono, quelli che non hanno capito che questa non è una tragedia dell'economia, ma dell'intelligenza, chissà come scalpitano! L'Illinois, in effetti, è terra ferace di teste di cazzo di ogni forma - per lo più ogivale - e di ogni età. Voi, invece, ascoltate se vi va, e se non vi va, soprattutto, non fate finta che vi vada: siate voi stessi, sempre...)

Un petit exercice

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Le crin
L'écrin
L'écran
Le crâne


(...on voyage pour apprendre...)

(...si vede che stasera non ci sono economisti...)




Et un palindrome:

élu par cette crapule

(...Berlusconi...)

(...Erick santo subbito...)



Une contrepéterie:

Un métier, professeur!

Un fessier prometteur!



Une autre:

Je vous laisse le choix dans la date.

Je vous laisse un doigt dans la chatte.

Passeggiata aleatoria (1)

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(...questo lo dedichiamo ai cucciolotti con la sindrome di Dunning-Kruger, che lamentano tanto l’assenza di quei bei post tecnici che, quando li leggi, ti fanno sentire tanto intelligente. Proviamo a dargli la misura di quale sia il passo da varcare per arrivare all’inizio di un percorso di reale comprensione della letteratura economica. Voi potete farcela, loro no, perché pensano di avercela già fatta. Erore, co’ du ere, come bira...)

Sono due anni che leggete questo blog, è ora che sappiate non chi era vostro padre, ma perché son stati dati un paio di Nobel per l’economia. Per capirlo, vi servono due cose: una moneta, e un po’ di tempo. Come moneta potete tranquillamente usare anche un euro. Anzi, direi che se la moneta è l’euro, probabilmente avrete anche risolto il problema di avere molto tempo a disposizione, perché aumenta la probabilità che siate, purtroppo per voi, disoccupati.

Una moneta ha due facce. Il rovescio della medaglia dell’euro è la disoccupazione, ma non mi riferivo a questo. Mi riferivo al fatto che con una moneta potete giocare a testa e croce.

Ora ci serve il concetto di variabile aleatoria. Che cos’è? È una funzione, una regola matematica, che attribuisce un valore numerico all’esito di un evento. La variabile aleatoria più semplice si chiama indicatore di un evento, ed è quella variabile che prende valore uno se l’evento si verifica, e zero se non si verifica. Semplice, no?

Chiamiamo questa variabile X, volete?

Ora applichiamo questa variabile al lancio della moneta. Diciamo che l’evento che ci interessa è ottenere testa. Se è testa, la nostra variabile varrà uno, cioè X=1. Se è croce, la nostra variabile varrà zero, cioè X=0.

Mal di testa? Ma siete voi che volete diventare scienziati! Io vorrei, che so, un bel flame su Bach! Ma siccome chi è musicista in genere è anche una persona per bene, qui non siamo ancora riusciti a creare un simpatico ambiente tipo Radio CoattaClassica (ma ce la faremo). Quindi se avete il mal di testa prendete un cachet e andiamo avanti.

Notate una cosa. Prima dell’evento, prima che la SStoria faccia il suo corso, noi ovviamente non sappiamo che valore assumerà la variabile aleatoria. Per sapere se Xè 0 o 1 bisogna sapere se si è ottenuto testa o croce, il che presuppone che tu abbia lanciato la moneta. Prima di lanciarla, non c’è modo.

Attenzione: non puoi sapere che valore assumerà la variabile. Però puoi sapere con che probabilità lo assumerà. Se la moneta non è truccata, la probabilità di avere testa è uguale a quella di avere croce: fifty fifty. Ovvero: la probabilità di avere testa è del 50% (0.5), e quella di avere croce è del 50% (0.5). Notate che le due probabilità sommano a uno: 0.5+0.5=1. Uno è la probabilità dell’evento certo. Cosa significa? Significa che se lanci in aria una moneta, fatto salvo l’improbabile caso che essa leviti all’infinito a un palmo dal suolo, necessariamente otterrai o testa o croce. La probabilità che tu ottenga qualcosa è uno. La probabilità che tu ottenga testa è 0.5. La probabilità che tu ottenga croce è 0.5.

Altro dettagliuzzo.

Supponiamo che tu abbia molto tempo da perdere, e che tu lanci la moneta due volte. Sapere che hai ottenuto croce al lancio precedente di dà qualche informazione su quanto otterrai al lancio successivo?

No. Non c’è alcun motivo fisico o matematico per il quale il lancio di una moneta debba risentire della propria storia precedente. In termini formali, i due lanci successivi di una moneta sono eventi stocasticamente indipendenti. Ovviamente ci sono molti motivi sentimentali per credere che un’estrazione casuale risponda alla propria storia. Su questi motivi sentimentali si basa lo Stato, che da tempi remoti (chi ha letto Casanova lo sa) li sfrutta per fare un sacco di soldi col gioco del lotto.

Aggiungiamo un altro dettaglio.

Così come la storia dei lanci passati, anche la distribuzione di probabilità non ti permette di sapere che valore otterrai al prossimo lancio. Ti permette però di stimare quale sarà la media dei risultati, il valore atteso. Diciamo, per capirci, che se lanci la moneta un centinaio di volte, è abbastanza plausibile che la media dei valori ottenuti sarà 0.5. Pensateci. Su 100 lanci a spanna dovremmo ottenere una cinquantina di teste. Siccome ogni testa vale 1, la media di quello che otterremo sarà appunto 50/100=0.5.
Non è un caso. Formalmente, il valore medio di una distribuzione di probabilità si ottiene appunto moltiplicando ogni valore per la rispettiva probabilità e sommando i risultati. Ora, capita che le cose stiano così: prob(X=1) = 0.5 = prob(X=0), quindi la media sarà:

E(X) = 1´0.5 + 0´0.5 = 0.5

Fico, no?

Dice: ma E() che significa? Significa expectation, valore atteso, della cosa che sta fra parentesi.

Bene.

Ora facciamo un’altra cosa. Centriamo la distribuzione. Non nel senso che le spariamo e la prendiamo in pieno. Nel senso che vogliamo una variabile che come media abbia zero. Perché? Fatevi un po’ i fatti vostri, scusate! A cosa serve ve lo dico dopo, ora cerchiamo di capire come si fa. È molto semplice: basta sottrarre a ogni possibile valore della X la sua media. Cioè basta creare una variabile aleatoria Z = X– E(X) = X– 0.5.

Insomma, la nuova variabile Z varrà 1-0.5 = 0.5 se esce testa, e 0-0.5 = -0.5 se esce croce. Ci siamo?

Dai, su, e se non ci siamo fino a qui poi non mi potete fare gli espertoni! E siamo solo all’inizio! Pensa quando parleremo di variabili assolutamente continue e vi dovrò presentare il nostro amico Lebesgue...

Allora: domandina ina ina. Qual è la media di Z? Dai, non dovrebbe essere difficile arrivarci: se in media su 100 lanci ti escono una cinquantina di teste e una cinquantina di croci, gli 0.5 si compenseranno con i -0.5 e come media dovresti avere zero, no?

Se vi piacciono le formule (cosa che ritengo probabile, visto che leggete paper difficili), allora ve la metto giù formale:

E(Z) = 0.5´0.5 - 0.5´0.5 = 0

Media zero. Ma avrei potuto mettervela formale anche in un altro modo, più filosofico.

E(Z) = E(X– 0.5) = E(X)- E(0.5) = 0.5 – 0.5

Z infatti è X-0.5, quindi la media di Zè la media di X-0.5. Ora, 0.5 non è una variabile aleatoria. È un numero. Quindi la sua media è semplicemente se stesso (la media di una costante è la costante stessa). Da qui consegue il risultato.

Notate un altro dettagliuzzo. La media di una somma è uguale alla somma delle medie. La media di X+ (-0.5) è uguale alla media di X più la media di -0.5. Questa è una delle due proprietà che fanno della media un operatore lineare.

Bene. Ora armiamoci di santa pazienza e lanciamo cento volte la nostra moneta, segnando -0.5 se esce croce, e 0.5 se esce testa.

Io l’ho fatto, e mi è uscita una cosa del genere:


cioè, in tabella, questo:


Mastica, direte voi.

Giusto.

Ora però facciamo un’altra cosa, volete? Sommiamo tutte le zeta. Chiamiamo questa variabile Y, e quindi Y sarà uguale a:

Y1 = Z1= 0.5
Y2 = Z1+ Z2 = 0.5 – 0.5
Y3 = Z1 + Z2 + Z3= 0.5 – 0.5 – 0.5
...
Y100 = Z1 + Z2 + Z3+ .... + Z100 = 0.5 – 0.5 – 0.5 + ... + 0.5

Ora, pensate a cosa sono le Z. Sono variabili a media nulla, giusto? Le abbiamo costruite così. Quindi la loro somma in media sarà la somma di tanti zeri, qualcosa che non dovrebbe scostarsi da zero, giusto?


































































Infatti:


Ooooops!

Ma cosa succede? Succede che la somma di tante variabili a media zero in realtà non si comporta come una variabile a media zero, ma come una variabile che cresce seguendo una tendenza più o meno lineare, simile a quella di molte variabili economiche.

Diciamolo in un altro modo.

Se Yè la somma di tutti le Z, la loro somma integrale, il loro integrale (sento Fausto fremere di piacere, anche se poi dovrà necessariamente rompere le palle perché matematici si nasce), allora ogni Zè la sottrazione di due Y consecutive.

Esempio:

Y2 - Y1 = (0.5 – 0.5) – 0.5 = -0.5 = Z2

e in generale Zt= YtYt-1. In altre parole: le Z sono gli incrementi dalla Y (ed è anche normale, visto che la Yè la somma delle Z).

Ci siete? Dai, che siamo alla fine.

Allora, il grafico della Y vi mostra che una variabile costruita lanciando in aria la monetina, e che quindi dovrebbe avere media nulla, mostra invece una media crescente nel tempo. Insomma: un tracciato i cui “passi” successivi sono stati estratti a casaccio, “flippando” una moneta, e che quindi, in quanto tale, non ci avrebbe dovuto portare da nessuna parte, invece ci porta verso l’alto.

Doveva essere una passeggiata “aleatoria” (anche se abbiamo lanciato una moneta e non un’alea), e invece è una tendenza con un R2maggiore del 90%.

Invece...

Be’, se sia “invece” o “infatti” questo lo vedremo dopo.

Intanto, vi faccio una domanda. Ma secondo voi la media di Y in effetti quanto è? E ci serve a qualcosa saperlo? Se volessimo prevedere il 101° valore d Y quale sarebbe la cosa più razionale da fare? Che senso ha modellizzare una variabile supponendo che i suoi incrementi siano puramente casuali e stocasticamente indipendenti?

Ok, avevo detto una domanda, e invece sono tante.

Voglio la risposta da chi non la sa, e se qualcuno che la sa fa finta di non saperla me ne accorgo subito, quindi nun ce provate. In classe questo gioco funziona. Ma io non ho bisogno di guardarvi negli occhi per capire quando non avete capito una mazza (e nemmeno per capire quando credete di aver capito tutto...).
Stampate e rileggete. Vi sembrerà un esercizio futile. Replicate l’esperimento, se volete. Vi sembrerà la cosa più idiota che abbiate mai fatto in vita vostra.

Scommettiamo che poi cambierete idea? Scommettiamo che riuscirò a dimostrarvi che perfino il lancio di una monetina in aria può essere “de destra” o “de sinistra”?

Alla faccia delle scienze “dure”, dure come la testa degli epistemologi della domenica.

Have fun. Io, con tutto il rispetto, ho un amico per cena e non voglio farlo aspettare...


(...scommettiamo anche che fra una settimana tutti i blog dei dilettanti parleranno di processi stocastici? Il motivo c'è: se ne fai a meno, se non li usi, puoi parlare di economia solo come un dilettante. E non c'è nulla che un dilettante detesti tanto quanto palesarsi per ciò che è...)

Passeggiata aleatoria (1bis)

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Solo per darvi un'idea di quanto il numero di osservazioni (non) c'entri, questi sono alcuni grafici fatti con 50000 lanci:








Allora: premesso che la media della Y intesa come E(Y), come valore atteso, cioè come valore che mi aspetto che la Y prenda quando io sono al tempo zero e non ho alcuna informazione (le monete non sono state lanciate), in effetti dovrebbe essere zero, come hanno intuito correttamente alcuni di voi, vedete bene che, a differenza di quanto pensavano altri, non è che aumentando il numero delle osservazioni si osservi necessariamente una maggiore mean reversion, cioè un ritorno verso la media, cioè verso lo zero. Forse l'idea che hanno in mente alcuni di voi, cioè quella di applicare una legge dei grandi numeri, qui non funziona. Aspettiamo fiduciosi il parere di un matematico (ma li vedo tutti volare bassissimi...).


Se volete divertirvi anche voi, potete continuare qui. Basta premere F9, che è esattamente quello che fece l'Altissimo sulla sua tastiera il famoso giorno del fiat lux, per vedere una nuova serie. Molte, ne son sicuro, somiglieranno in modo soprendente a dati "veri" che abbiamo commentato.

Eritis sicut Deus...

Vostro,

Crotalo.

Passeggiata aleatoria (1ter)

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(...post inutilmente tecnico. O lettore, se capiti oggi per la prima volta su questo blog, sappi che esso non è sempre così. Spesso è anche peggio. Chi rimane mi fa un favore, chi se ne va me ne fa due...)

(...prima di raccontarvi la vera storia del pollo di Trilussa, cosa della quale, come vedo, c’è un gran bisogno, chiamo a rinforzo i matematici e cerco di chiarire col loro aiuto un piccolo punto. Chi è interessato alla sostanza del problema – che poi sarebbe come si fa a prevedere una variabile economica, e che cosa certi comportamenti delle variabili ci dicono sul comportamento degli agenti economici, e che cosa c’era scritto nel two Charlies paper che vi ho citato spesso, e perché Granger e Fama hanno preso il Nobel, ma anche che cos’è una bolla, come si fa a vedere se c’è, e perché tutto questo e molto altro ci dovrebbe interessare – può tranquillamente saltare questo post. Ci metto apposta un po’ di formule a mo’ di spaventapasseri...)

[ESPERTONE MODE ON]

Alcuni di voi (e.g., Alberto Lattuada) hanno evocato la LLN (no, scusate, volevo dire la LLN) con riferimento alla variabile Y, argomentando che la media campionaria delle Ydovrebbe asintoticamente convergere alla media non condizionata di Y.

Posto che:

dove Zjè stato costruito come un white noise  usando una distribuzione bernoulliana centrata (espediente didattico: volevo evitare di usare distribuzioni assolutamente continue, ma questo non credo cambi la sostanza del problema, no?), accade che la media non condizionata sia:
e che, peraltro, anche volendo considerare che quando si evoca l’infinito la diventa majala di molto, tutto lascia pensare che sarà anche:
(dove 0 si legge in realtà zerantazeromilazeranta zeri). Quindi la media non condizionata è zero.

Ora però dobbiamo ragionare sulla media campionaria. Intanto, chiariamo come nonè fatta. La media campionaria della Ynon sarà:
perché questa è la media campionaria delle Z (essendo che ogni Yè la somma delle prime tvariabili Z, e quindi se la dividi per t ottieni una stima della media non condizionata delle Z che è appunto zero).

(nota: per la notazione "t alla meno uno" mi sono ispirato a un grande classico).

La media campionaria delle Ysarà viceversa:
Quindi, ad esempio, con riferimento al grafico in questo post, sarà 601/100=6.01.

Ora, siccome come altri di voi (e.g., Marco85) hanno chiaramente visto, le Y non sono i.i.d., cioè non sono distribuite in modo né identico né indipendente, la domanda è: siamo sicuri che esista una qualche LLN che ci garantisca che:

(dove con la freccia indico un qualche tipo di convergenza in probabilità)? Voi quale LLN usereste per dimostrare la convergenza in probabilità della media campionaria delle Y alla media non condizionata delle Y che dovrebbe essere zero?

Occhio, perché quando Fausto vi dice questo:


Fausto di Biase ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Passeggiata aleatoria (1bis)":
Un calcolo non difficile mostra che la media DEL QUADRATO di Y_n è uguale a n.

Non c'è bisogno di osservare che IL QUADRATO di Y_n è per forza di cose un numero positivo, perché non solo più per più fa più, ma anche meno per meno fa più.

Dopo n passi, il nostro ubriaco stocastico (senza offesa parlando) si trova a una distanza dal punto di partenza pari a circa la radice quadrata di n.

In alcuni dei tuoi grafici questo è visibile. La radice quadrata di 50000 è circa uguale a 223. La radice quadrata di 100 è uguale a 10.

Postato da Fausto di Biase in Goofynomics alle 01 marzo 2014 10:59


diciamo che vi sta dando un avvertimento. Ecco, queste poche righe leggetele mentalmente con questo accento. Il quadrato è una specie di testa di cavallo...

Ovviamente la mia offerta a pensarci sopra è un’offerta che potete rifiutare (a proposito, mi avete fatto ricordare che devo telefonare a Luca). Adesso si esprimano Marco Basilisco e Enrico Pesce, e poi parliamo del pollo di Trilussa, perché vedo negli astanti un certo ondeggiamento fra momenti campionari e momenti della distribuzione...

[ESPERTONE MODE OFF]




(N.B.: la rima in espertone è la stessa per tutti, pure per me, quindi io sto parlando di cose delle quali fondamentalmente non capisco un cazzo, però so come si usano. Un po’ come la maggior parte di noi quando spinge l’interruttore per accendere la luce, mi spiego? La conseguenza è che adesso sciogliamo la muta dei matematici... Mentre loro mi inseguono per le strade della ville lumière, dove io percorro traiettorie rigorosamente ergodiche - ma loro, essendo dei teorici e non degli applicati, non realizzano che la cosa migliore da fare per raggiungermi è stare fermi - e prima che io spieghi a Nat la vera storia del pollo di Trilussa – Nat: se uno legge Tolstoj deve sapere cos’è una martingala, mi dispiace: l’umanesimo è una croce più pesante di quanto possa esserti sembrato al classico! – ricordo alla colonna parigina che domani se vedemo a cena. Che probabilità avete di trovare il ristorante lanciando una monetina a ogni fermata del métro?)

(...siete la classe che ho sempre sognato di avere: a una certa età bisogna anche cominciare a volersi bene e farsi ogni tanto un bel regalo...)

(...prima conseguenza del post: una telefonata di gelosia di Marco che mi dirà: "Ma cos'ha quell'Enrico che io non ho!?"È tanto un bravo ragazzo, Marco, un giovane geniale, segnato dalla vita, con le sue piccole, scusabili fragilità...)

(...n.b.: io un'idea sulla risposta tecnica ce l'ho e ha a che fare con memoria del processo e esistenza dei momenti. Sono fuori strada? Domanda seria per persone serie - quindi non avrò risposta...)

Balzac

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Il avait, bien qu’il ne le crût pas, un style et un très beau style – le style nécessaire, fatal et mathématique de son idée ! Théophile Gautier.

Quelles sont donc les mœurs que peint M. de Balzac ? Des mœurs ignobles et dégoûtantes,  ayant pour seul mobile un intérêt sordide et crapuleux. Chaudes-Aigues.

Un mot de moins, un mot autre que celui employé par M. Balzac, serait un acte de vandalisme, un sacrilège. Quelle puissance que celle qui fait faire de telles évocations avec une plume et un chiffon de papier ! Alida de Sarignac.

Qui êtes-vous à la fin ? Un fanfaron malheureux ou un niais de bonne foi ? Avez-vous le sentiment de vos ridicules folies ? Le Nouveau Figaro.

M. de Balzac comprend admirablement toutes les ressources de l’expression. Il la varie avec un art ingénieux, il la crée quelquefois avec bonheur. Adrien Brun.

Il y a deux hommes dans M. de Balzac. Edouard Thierry.



(...sono uscito da quella stanzetta con un inesprimibile serrement de cœur. Lì era successo qualcosa di vero, qualcosa di irreversibile. Non erano stati firmati i Trattati di Roma, o quelli di Bretton Woods, o quelli di Westfalia. No. Erano state scritte e riscritte dieci, venti volte le pagine delle Illusions perdues - tanto per restare in argomento - svegliandosi ogni sera alle otto per non esser disturbato dagli infiniti rumori della vita quotidiana, e tirando avanti a scrivere per dieci, quindici, venti ore, bevendo litri di caffè, in una stanzetta entre cour et jardin, con una comoda porta di servizio dalla quale defilarsi, laddove i creditori fossero venuti a pignorare il tavolo sul quale si stavano scrivendo quelle pagine delle quali molti miei colleghi fanno tranquillamente a meno. Ma sono uscito da quella stanzetta anche con una certezza: ogni epoca ha i suoi Melanzana. E ogni epoca successiva li dimentica. Restano le opere di chi ha operato con onestà. Dalle centinaia di pagine che vi ho scritto vorrei che traeste solo questa certezza, e che la tramandaste alle persone che amate)

(...vi avevo promesso la prima puntata del "Keynesianesimo per le dame", ma reprimerò la mia vena algarottiana e non manterrò la promessa. Sono in una casa bellissima, piena di libri. E fra scrivere Bagnai e leggere Maupassant so ancora cosa scegliere. Capisco che a un certo livello di mediocrità sia impossibile rendersene conto - vedi le citazioni sopra - ma son certo che voi sappiate che io ancora so collocarmi. Così lo sapessero i vermi che mi denigrano. Chi non si colloca da solo viene collocato dalla SStoria. Son giorni difficili...)

Il keynesianesimo per le dame (e, soprattutto, per i cicisbei) – Capitolo primo

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Lunga premessa (astenersi piddini, espertoni, e “hai-visto-quant’è-interessante-questo-paper”-isti)

È giunto il momento di far intuire a Nat, ma anche a tutti i cucciolotti in preda alla famosa sindrome di Dunning-Kruger, à quoi ça rime il discorso “tecnico” che stiamo portando avanti in parallelo, soffermandoci in particolare su uno dei suoi risvolti più “filosofici” e profondi, ma anche più semplici da formalizzare. Prima, però vorrei fare una lunga premessa, per mettere un po’ di ordine nella discussione e per evidenziare il percorso passato e l’auspicabile percorso futuro di questo blog.

Do per scontato che se siete qui avete intuito la differenza fra semplice e banale, il che mi fornisce una ragionevole certezza di riuscire a interessarvi con quello che sto per dirvi. Do anche per scontata un’altra cosa: che se siete qui, non vi interessa la cronaca, semplicemente perché, avendo letto questo articolo (che numerosi epigoni oggi possono far apparire come scontato), negli ultimi tre anni avete avuto l’opportunità di apprezzare come il ragionamento estremamente rettilineo in esso svolto interpolasse con buona approssimazione tutti gli infiniti puntini della cronaca (l’esplosione di Marine Le Pen, le tensioni economiche che diventano politiche, l’aporia del più Europa confermata e riconfermata a ogni piè sospinto dall’atteggiamento tedesco, i fallimenti ripetuti dei governi che danno la risposta giusta alla domanda sbagliata, il prevalere della destra – ancorché camuffata da sinistra – a causa dell’insistere su politiche di destra, ecc.). La cronaca quindi mi aspetto che legittimamente vi interessi poco, perché per anticiparla vi è bastato leggere un articolo di economia (essendo questa il motore della Storia).

Quindi voi sapete, come io sapevo e so (e, vi assicuro, non da solo: ripeto, non fatemi migliore di quello che sono. Ah, come? Perché gli altri che sapevano non parlavano e non parlano? Be’, amici, non fate nemmeno gli altri migliori di quello che sono...).

Sì, naturalmente ogni tanto ci divertiremo con i QED, ma cosa può succedere ormai che possa sorprenderci?

“Io l’avevo detto” è, per quanto puerile, l’unico piacere di un economista, e resta inoltre, per quanto di pessimo gusto, l’unico strumento che un economista oggi abbia di affermare la propria credibilità. Sarebbe bello se “er popolo” potesse apprezzare la credibilità laddove essa si manifesta: nello stile. Questo può capitare a Nat, che ce lo ha anche detto (grazie). “Er popolo” apprezza la credibilità dove essa non si manifesta: nella mancanza di stile. Però ogni tanto bisogna anche farlo contento, “er popolo”, ma con giudizio. A luglio dello scorso anno dissi che il menù dell’anno solare successivo sarebbe stato il crollo dei paesi virtuosi. Se mi leggete da un po’ sapete che le mie frasi generalmente sono sentenze (Finlandia e Francia peraltro erano già state condannate nel libro, porelle...). Ora, andare a scrivere dieci articoli a mano a mano che Francia, Finlandia, Danimarca, Austria, Belgio, ecc. avranno i loro problemucci mi sembra non solo ingeneroso, ma, soprattutto, ininteressante.

Ottimo lavoro per i garzoni di bottega.

Io vorrei fare altro, perché da fare c’è tanto.

La prima cosa da fare, ora che la diagnosi che abbiamo divulgato in Italia è condivisa in tutto l’universo mondo, con la limitata eccezione di un areale stepposo compreso fra via di Tor Bella Monaca e via Anagnina, e ora che le conclusioni alle quali questa diagnosi inesorabilmente portava sono diventate ortodossia, è studiare come gestire la transizione.

La mia idea di cosa fare dopol’ho già condivisa con voi nelle ultime cento pagine del libro. Non pretendo, ovviamente, che quella sia larisposta. Visto che cosa fare dopoè un dato politico, e visto che personalmente credo (o faccio finta con molta dignità di credere) nella democrazia, accetto volentieri che del dopo ci possano essere infinite visioni. Se, per il momento, ce n’è una sola, è perché quelli che fanno finta di criticare il prima, porelli, per difendere il prima (che è quanto loro interessa) non studiano il dopo (e fanno anche un certo giochetto sporco sul quale non mi dilungo, perché come finirà è scritto qui). Quindi, per ora, per quanto ne so, la risposta sul dopo contenuta nelle ultime 100 pagine del Tramonto dell’euro rimane l’unica sul mercato italiano. Ma si sa, i marziani nel mercato non ci credono, e i keynesiani credono solo nella domanda. Sarà per questo che l’unica offerta è la mia. Se mi lasciano il monopolio della verità, ovviamente lo sfrutto, ma, vi assicuro, sarò sollevatissimo quando evolveremo verso forme di mercato più concorrenziali. Insomma, sul dopoho la coscienza a posto e quindi insisto sul fatto che la prima cosa da fare adesso è studiare il durante, per limitarne i costi, che inevitabilmente ci saranno (con buona pace dei simpaticoni che mi attribuiscono l’idea contraria per motivi scopertamente strumentali). Ci stiamo attrezzando per questo col convegno del 12 aprile.

Ma c’è da fare anche un altro lavoro, un lavoro che a tanti sembrerà inutile.

Come siamo arrivati qui?

Ci siamo arrivati per tante vie, ma sicuramente una delle chiavi di lettura più semplici ma profonde che vorrei condividere con voi me l’ha data il preside della facoltà di Rouen, parlando di una doppia tragedia: della cupidigia e dell’intelligenza.

Della tragedia della cupidigia abbiamo già parlato, ad esempio qui.È l’idea, non particolarmente originale, che ogni squilibrio finanziario storicamente è preceduto da uno squilibrio distributivo, ovvero, in altri termini, da un capitalismo che non funziona come dice di voler funzionare (va anche detto che di quello che dice potrebbe anche importarcene poco, visto che quello che conta sono i risultati...).

Anche della tragedia dell’intelligenza abbiamo già parlato, l’ultima volta qui.Diciamolo pure: la tragedia dell’intelligenza è stata il fil rouge di questo blog, quello che, attraverso la creazione della figura del piddino, inteso come l’uomo che sa di sapere, l’antisocratico par excellence, vi ha consentito, una volta approdati qui, di sentirvi qui in un’oasi felice, despicere unde queas alios passimque videre errare atque viam palantes quaerere vitae, certare ingenio, contendere nobilitate, noctes atque dies niti praestante labore ad summas emergere opes rerumque potiri, e poi fare il botto, come la ‘zdora, e ora il buon Renzi.

Quindi, se ci siamo detti tutto, che ci dobbiamo dire?

Be’ (o, per i curdi, bhè – a proposito, avete mica notato che Word mette delle strane ondine rosse sotto bhè ma non le mette sotto be’? Credo sia il caso di interrogarsi su questo interessante fenomeno...), be’, dicevo, qualcosa da dire rimane. Quelli che dicono che uscire dall’euro non basta (fondamentalmente per insinuare che io dico che basti) e che ci sarà “tanto” da fare, e che bisogna vedere come l’economia sarà gestita dopo, e via luogocomuneggiando, generalmente non capiscono, perché non ponno, cosa ci sia effettivamente da fare: c’è da riconoscere quale sia stata la più devastante vittoria della terza globalizzazione.

A me pare che questa sia stata la distruzione, tuttora in corso, della classe media come laboratorio di coscienza ed elaborazione culturale. Insomma: come hanno fatto a trasformarvi in piddini?

Dovremmo capire come ci sono riusciti, e capire come rovesciare, se possibile, questa tendenza, che ha fatto di quella che una volta era la classe rivoluzionaria par excellence (la borghesia) una specie di sottoproletariato lobotomizzato, tutto buonismo cosmopolita e distintivo, il luogo, come dice Diego Fusaro, di riproduzione culturale del capitalismo (molto ben camuffato da luogo di opposizione “estetico-sentimentale” al capitalismo, del resto). Non so nemmeno dirvi se in questa follia ci sia stato o meno del metodo, se sia stato un processo cosciente o meno. Se mi guardo indietro, vedo che il simpatico XIX secolo è stato un primo discrimine. Forse sbaglierò, sono in “espertone mode on”, va da sé, ma a me pare che lì il quadrivio sia definitivamente uscito dalla “cultura”, nella limitata accezione di “bagaglio di conoscenze e di prassi di quello che viene percepito come uomo di cultura”. Insomma, è dal secolo dell’idealismo che abbiamo ereditato la simpatica idea che l’uomo di cultura sia uno che “io pe’ lla matematica nun ce so’ portato” e che “me piace tutta ‘a musica, er gezz...” (e poi l’enumerazione si ferma lì, salvo forse includere la lirica). Ma naturalmente guai a perdersi l’ultimo romanzo dell’ultimo premio Nobel per la letteratura, soprattutto se uzbeko! Culture oblige, s’intende (nota a margine: inutile dire che la critica “estetico-sentimentale” del capitalismo, oltre che a una difesa senza sé e senza ma dell’euro, si nutre di uno sterminato disprezzo verso l’eurocentrismo... Quello culturale, va da sé, perché quello monetario invece va bene). È da quel secolo che abbiamo dimenticato Cardano e Fibonacci, e fino a lì forse potremmo anche rassegnarci, ed è anche da quel secolo che abbiamo imparato a vedere nelle “lettere” (musica inclusa) la manifestazione del “genio”, inteso come un disadattato che parla sentimentalmente alle fibre più riposte del nostro io stitico, anziché come una persona che ci fornisce una chiave di lettura della realtà (e ri-Diego santo subito quando rivendica il ruolo della filosofia come strumento di lettura del reale: ma tale è anche l’arte, e come tale non viene più percepita).

Non so, quelli che dicono “decade” invece di decennio e “domestico” invece di interno, quelli che dicono “store” invece di negozio (Fausto docet), ma anche le maestre elementari che festeggiano Halloween, come pure il casting delle ministre di Renzi, e via dicendo, mi sembrano tutti sintomi di una colossale sconfitta, di un processo di colonizzazione profondo, del tipo di quello del quale parlavamo qua (se seguite la discussione), ed è a questa colonizzazione che dovremmo opporci, semplicemente non dimenticandoci di essere noi stessi.

Ma cosa siamo “noi stessi”, i “borghesi eurocentrici che leggono libri senza figure”, gli eredi “d'Aristotile e di Plato e di molt'altri”? Siamo spiriti critici, o almeno ci proviamo. Siamo i figli bastardi (and proud of it) di una tradizione che ha fatto dell’unire i puntini e del non specializzarsi un motore di conoscenza e di approfondimento. Questo vi è piaciuto, no, leggendo il primo articolo? Il fatto che si univano i puntini.

Non mi pare che a Ovest, né a Est (ma soprattutto a Ovest) ci sia altrettanta capacità, e soprattutto altrettanto bisogno, di farlo (un esempio qua sotto a proposito dell'UCLA).

Ora mi metto in “espertone mode off” e torno a parlarvi di quello che so, in un modo tale da farvi capire cosa c’entrino le passeggiate aleatorie, e cosa c’entri un certo modo sentimental-superficiale di discettare di scienze delle quali si ignora la rava e la fava, e di quanto l’approccio sentimental-superficiale sia nefasto, dal momento che ci nasconde, disperdendosi in infiniti dettagli pseudo-tecnici, la dimensione più profonda della sconfitta che stiamo subendo.

L’economia keynesiana e l’economia di Keynes
Qualche giorno fa, nel corso di uno dei tanti simpatici quarti d’ora del dilettante che sono il sale di Twitter, mi sono imbattuto in questo articolo, scritto da un economista il cui blog era stato incidentalmente citato nel discorso. Senza entrare (per ora) nei tecnicismi, fin dall’abstract mi ha colpito immediatamente una cosa: il fatto che l’autore rivendicasse come proprio contributo originale, e come presupposto per la sua riscoperta del vero significato di Keynes, l’idea che l’economia keynesiana “never was about sticky prices” (non ha mai insistito sul concetto di prezzi rigidi, non è mai dipesa intrinsecamente da esso).

“Fischia!”, ho subito pensato “E chi è ‘sto gegno!”. Allora sono andato a vedere, e ho scoperto che è uno molto bravo (senza ironia alcuna) che insegna alla UCLA. Ora, per insegnare alla UCLA devi avere un PhD statunitense (di norma), il che significa che molto probabilmente non ti sei laureato alla Sapienza. Ecco, il problema è proprio lì. Perché la Sapienza, quando era la Sapienza, era un ambiente così culturalmente vivo, con insegnanti così stimolanti e disponibili, che poteva capitare che perfino uno come me, al quale l’economia non interessava, e che diversificava il portafoglio dei propri interessi fra letteratura (40%), musica (40%) e gnocca (20%, ma sarebbe inutile dirlo), fosse spinto a leggersi la Teoria Generale, anche se non era in nessun programma, e perfino Leijonhufvud, anche se non era in nessunissimo programma. Alla Sapienza, insomma, l’idea che l’economia di Keynes non fosse un caso particolare dell’economia mainstream(quello nel quale i salari sono rigidi), si respirava con la polvere dei gessetti, e come questa di restava nei polmoni, quella ti si incrostava nel cervello.

Mai, venendo dalla Sapienza, avresti pensato a Keynes come a un Walras a prezzi rigidi, e mai avresti chiamato, se non per convenienza, “modello keynesiano” la sintesi neoclassica di Samuelson, Hicks, Hansen, e Modigliani (per dirne alcuni). Sempre e solo, rigorosamente, modello IS/LM.

Ora, definire chi sia stato Keynes è un compito interessante, ottimo per passare un pomeriggio in una mansarda del 10emearrondissement, quando lo strappo al polpaccio ti sconsiglia una promenade, e questo perché è palesemente un compito impossibile, un po’ come costruire un veliero in una bottiglia tappata, per il semplice e buon motivo che nemmeno Keynes è riuscito a definirsi. Ci sono opere di Keynes il cui titolo è una domanda che l’autore rivolge a se stesso, e la cui risposta lo stesso autore non riesce a trovare se non per esclusione (esempio)! È piuttosto paradossale (sì, lo so, oggi si direbbe “è ironico”... Sarà così per le prossime decadi, la nostra lingua domestica sta cambiando, ma “ironico” in italiano si usa in un altro modo...), è piuttosto paradossale che ci siano così tante persone che sanno così bene chi sia uno che di se stesso non sapeva chi fosse! O forse no. Non è detto che un artista sappia esattamente cosa sta facendo: forse lo sanno meglio gli altri.

L’interpretazione autentica ha un senso nel diritto, ma non credo ce l’abbia in altre manifestazioni del pensiero.

Comunque, oggi capire chi è Keynes è diventato importante, perché, come dire, ognuno ha il suo Keynes, e ognuno lo denigra a propria guisa. Orientarsi, anche se, per quanto detto sopra, è impossibile, purtroppo è necessario, quindi proviamoci insieme.

I nostri amici marziani, si sa, detestano in Keynes quello che è riuscito a tenere insieme i cocci del capitalismo. Loro aspettano, fiduciosi, la palingenesi, e il fatto che ci sia uno al quale in qualsiasi momento si può ricorrere per rinviarla proprio non gli va giù. Quindi Keynes è “de destra”, e nel frattempo teniamoci l’euro che fa esplodere le contraddizioni del sistema e affratella algonchino e samoiedo. Ne abbiamo parlato.

I nostri amici meinstrim (main stream), in versione Alesina o Giannino, hanno interessi diversificati ma convergenti nel banalizzare Keynes come uno che vuole risolvere tutto con la spesa pubblica improduttiva, uno che vede solo la domanda e non l’offerta, uno che crede nell’efficacia delle politiche anticicliche, che invece creano problemi di time consistency (lunga promessa con l’attender corto), amplificano il ciclo economico, ecc. Meglio le regole fisse che le regole di feedback per gestire un sistema complesso come quello economico, tanto più che il modello keynesiano non è scientifico perché non è costruito su fondamenti assiomatico-deduttivi solidi (di questo parliamo dopo).

I nostri amici neokeynesiani, a loro volta, trovano questo pensatore che non ha scritto molte formule sia metodologicamente vetusto, sia un po’ polveroso. Insomma: ricordate le parole di Keynes che vi ho citato tante volte, quelle sul successo dell’economia neoclassica (lui la chiamava ricardiana):

“That it reached conclusions quite different from what the ordinary uninstructed person would expect, added, I suppose, to its intellectual prestige. That its teaching, translated into practice, was austere and often unpalatable, lent it virtue. That it was adapted to carry a vast and consistent logical superstructure, gave it beauty.”


La bellezza e il prestigio intellettuale, insomma, il potersi divertire con un po’ di matematica, e il potersi dire che si è “scienziati”. Ecco: questo Keynes ai keynesiani non lo offriva. E i neokeynesiani hanno rimediato, nel modo che vedremo.

Partiamo però da un principio molto keynesiano: quello di definire Keynes come lui si è definito, cioè per esclusione. Facciamo quindi l’ipotesi che Keynes non sia (fosse) un economista main stream, e del resto nemmeno un marxista, e proviamo a definire cosa siano oggi gli economisti main stream.

Il main stream(nella sua vulgata, non necessariamente nelle sue punte più avanzate) si basa fondamentalmente su tre principi.

Il primo è che il sistema dei prezzi sia un meccanismo di coordinamento efficiente delle azioni individuali. L’ipotesi sottostante è che gli individui siano interessati al proprio tornaconto e siano altrimenti scoordinati (mi riferisco ovviamente al caso “classico”, quello di mercati concorrenziali, perché altrimenti il coordinamento, soprattutto dal lato dei produttori, diventerebbe ovviamente un’opzione da considerare; esempio: comportamento collusivo tramite accordi di cartello. Sì, lo so benissimo che il mondo inveceè fatto così, ma qui stiamo parlando dei principi...). Sono i prezzi, e solo loro, a realizzare il miracolo di convogliare tutti questi “atomi” economici verso la realizzazione di un bene comune, perché i prezzi convogliano tutta e sola l’informazione necessaria a prendere decisioni razionali.

Il secondo principio è l’individualismo metodologico. La chiave per interpretare i fenomeni economici, anche nella loro dimensione collettiva ed aggregata, è lo studio del comportamento individuale. In altre parole, per prevedere come si comporteranno i consumi della nazione, devi partire dallo studio del comportamento di un singolo consumatore, una specie di “italiano medio” che in economia si chiama “agente rappresentativo”. Questo modus operandi ti permette di “microfondare” (si dice così) il ragionamento macroeconomico, cioè di richiamare le dinamiche degli aggregati macroeconomici all’agire del singolo operatore, il che, si suppone, rende questo ragionamento più scientifico e anche più attendibile, in quanto rinvia a parametri “profondi” (e, per ipotesi, invarianti) dell’animo umano e delle tecniche produttive, anziché a semplici regolarità statistiche che possono essere smentite dai dati. Insomma: il fatto che in un paese in media gli individui consumino il 60% del proprio reddito non può essere utilizzato per stimare cosa succederà al consumo se aumenta il reddito, perché questa regolarità statistica potrebbe essere perturbata dalle reazioni dei consumatori alle politiche fatte per stimolare il reddito (critica di Lucas). L’unico modo sicuro per sapere cosa succede in risposta a una politica economica (di solito, nella risposta del mainstream, niente), è entrare nella testa del consumatore rappresentativo, dandone una rappresentazione assiomatica, e deducendone more geometrico le reazioni agli stimoli esterni.

Il terzo principio è che gli individui agiscono razionalmente, il che significa sostanzialmente due cose: la prima è che hanno una funzione obiettivo ben definita (una funzione di profitto, se sono imprenditori, o di utilità, se sono consumatori), cioè una legge che associa un risultato monetario (profitto) o psicologico (utilità) a ognuna delle loro infinite possibili scelte, e che conoscono questa legge (per cui sanno come massimizzarla). Il secondo è che, visto che cosa fare oggi dipende anche da cosa succederà domani, gli individui sono dotati di aspettative razionali,ovvero, formano le loro previsioni sul futuro sulla base di tre elementi:

(i) la conoscenza esatta e completa di tutte le informazioni rilevanti disponibili al momento della decisione;

(ii) la conoscenza esatta della struttura “vera” del sistema economico (che quindi si suppone data come fatto di natura, e come tale “scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola” – era pisano, ma era tanto un bravo ragazzo...);

(iii) la conoscenza esatta della distribuzione di probabilità di tutti gli elementi futuri incerti, cioè della distribuzione di probabilità di variabili aleatorie quali il prezzo del petrolio fra un mese, il tasso di interesse della Fed fra una settimana, il verificarsi del Big one in California, ecc.

Insomma: la fortuna è cieca, la sfiga ci vede benissimo, ma l’agente razionale ci vede anche meglio.

In termini tecnici, le aspettative razionali sono il valore atteso (o speranza matematica) di una o più variabili di interesse (prezzi, ad esempio), condizionata a tutte le informazioni disponibili, compresequelle sulla struttura esatta del modello.

Che vuol dire condizionata? Vuol dire: valore atteso calcolato conoscendouna serie di informazioni.

Aspettative razionali, mercati efficienti e prezzo delle attività
Detto così, sembra una cosa complicatissima, e spesso lo diventa, ma se avete fatto da bravi i compiti a casa vedrete che ci capiremo subito, con un semplice esempio.

Partiamo dai due principi: il prezzo convoglia tutte le informazioni disponibili e le aspettative sono razionali.

Cosa significa che le aspettative sono razionali? Non significa che la previsione fatta oggi del prezzo di domani necessariamente coinciderà con il prezzo di domani. Significa però che qualsiasi scostamento da questa previsione sarà imprevedibile a priori. Se io avessi oggi un elemento che mi permette di  prevedere che domani mi sbaglierò... be’, evidentemente rivedrei la mia previsione in modo da non sbagliarmi!

Quindi Pt+1= E(Pt+1|It) + et+1 cioè: il prezzo al tempo t+1, ovvero Pt+1, è per definizione uguale alla previsione che faccio oggi, con le informazioni disponibili in t, cioè con It, più un errore et+1 totalmente imprevedibile. Attenzione, non sto dicendo una totale banalità. È ovvio che il prezzo di domani sarà sempre uguale alla previsione che ne faccio oggi (quale essa sia) più un errore. Ma se la previsione è razionale, l’errore sarà imprevedibile, esattamente come il lancio di una monetina. Esattamente come se ora lancio testa, questo non mi dice nulla sul fatto che dopo esca croce, se oggi mi sbaglio per eccesso, ciò non mi dice nulla sul fatto che domani io possa sbagliare per difetto.

(...tecnici: l'errore è un white noise, certo...)

Cominciate a vedere il nesso con questa storia?

Riflettiamo su un altro punto. Il prezzo convoglia tutte le informazioni che permettono agli agenti economici di raggiungere un equilibrio, e riflette appunto il risultato di questo equilibrio, determinato da comportamenti razionali. Ora, visto che per definizione, nel modello mainstream (un modello walrasiano con aspettative razionali) gli individui sono sempre in equilibrio e il prezzo riflette questo loro equilibrio, cosa potrà far cambiare il prezzo? Ma è semplice: il manifestarsi di un evento inatteso e totalmente imprevedibile(altrimenti, se fosse stato previsto, sarebbe già stato incorporato nel prezzo). Non so, per dire: arriva uno tsunami e ti frigge un reattore nucleare, nessuno se lo aspettava e le azioni della società esercente scendono. Altri esempi ve li potrete facilmente immaginare da voi.

Ora, se il mercato è efficiente, i prezzi sono un veicolo efficiente di comunicazione di tutte le informazioni disponibili e quindi, per definizione, il prezzo di oggi già incorpora tutte le informazioni che abbiamo (se così non fosse, lo cambieremmo). Ne consegue che la nostra migliore previsione del prezzo di domani è appunto il prezzo di oggi, cioè che E(Pt+1|It) = Pt.

Mal di testa? Dai, so che sembra assurdo, ma gli economisti ragionano così. Come ho fatto a capitarci in mezzo? Eh, è una lunga storia, ve la racconto un’altra volta. Da piccolo volevo fare il musicista...

Quindi, mettiamo insieme i pezzi.

Primo pezzo: per la definizione di razionalità, il prezzo di domani sarà uguale alla nostra previsione più un errore imprevedibile (il lancio di una monetina):

Pt+1= E(Pt+1|It) + et+1

Secondo pezzo: per la definizione di efficienza, il prezzo di oggi incorpora già tutte le informazioni rilevanti per prevedere il prezzo di domani, tranne quelle assolutamente imprevedibili (le news):

E(Pt+1|It) = Pt

Mettendo insieme, ricaviamo che se gli agenti sono razionali, e se i mercati sono efficienti, succederà che i prezzi si muovano in questo modo:

Pt+1= Pt + et+1

Notate bene. Questo è appunto il modello “vero” dell’evoluzione del prezzo se sono vere le ipotesi di partenza (efficienza del mercato e razionalità). Notate anche che il modello “vero”, se usato appropriatamente (cioè conoscendo la distribuzione di probabilità dell’errore, e in particolare sapendo che esso in media è nullo), ci fornisce la previsione “giusta”. Infatti:

E(Pt+1|It) = E(Pt + et+1|It) = Pt + E(et+1) = Pt

(dove nel primo passaggio ho sostituito la definizione di Pt+1, nel secondo ho sfruttato il fatto che al tempo tPtmi è noto e quindi non devo prevederlo – calcolarne il valore atteso – e nel terzo passaggio ho sfruttato il fatto che la previsione condizionata dell’errore è uguale a quella non condizionata ed è zero – cioè il fatto che sapere che l’ultima volta è uscito “testa” non mi dice nulla sul fatto che al prossimo lancio possa uscire “croce”).

Questo modello dei prezzi è appunto una passeggiata aleatoria unidimensionale. Si passa da oggi a domani attraverso un incremento (un "passo") totalmente aleatorio, imprevedibile:


Pt+1 - Pt = et+1


Ve piace? Siete abbastanza masochisti? E questo è solo l’inizio...

Ora, srotoliamo all’indietro il grande rotolo del creato del quale Giacomo il fatalista parla al proprio padrone. Qui dovreste prendere carta e matita, perché se lo fate a mente vi viene il mal di testa, lo so. Però dai, prendetelo come un esercizio: vi tiene la mente fresca.

Applichiamo quella che chi dice “decade” chiama “recursività”, e chi dice “decennio” chiama “ricorsività” (...visto dove sta l’ondina rossa, amico? Dai, su, prova anche tu a parlare italiano: all’inizio fa un po’ male, ma poi è bellissimo...), e chiediamoci: ma se Pt+1 = Pt+ et+1, allora Pt a cosa è uguale?

Be’, evidentemente il prezzo in Pt sarà uguale alla previsione che ne avevo fatto in t-1 (cioè al prezzo in t-1) più l’errore fatto in t:

Pt = Pt-1 + et

E se sostituisco questa espressione nell’espressione del prezzo in t+1? Succede questo:
Pt+1= Pt-1 + et + et+1

Sapete i bambini quando a tre anni chiedono “Perché?”. Ecco. Ma il prezzo in t-1 a cosa sarà uguale? Ovvio:

Pt-1= Pt-2 + et-1

E se lo sostituisco nella prezzo int+1? Facile!

Pt+1= Pt-2 + et-1 + et + et+1

Dai, ancora una e poi basta: e il prezzo in t-2 a cosa sarà stato uguale?

Pt-2= Pt-3 + et-2

E quindi il prezzo in t+1? Eccolo:

Pt+1= Pt-3 + et-2 + et-1 + et + et+1

Ci siamo? Se andiamo indietro con questo ragionamento, ci rendiamo conto che il prezzo ad oggi sarà in effetti la somma di tutti gli errori di previsione passati (“lanci della monetina”), più una condizione iniziale P. Facciamo per il momento l’ipotesi che il mercato sia iniziato cento giorni or sono, cioè che abbiamo accumulato cento errori: vedrete che il vostro prezzo ad oggi sarà una cosa del tipo:

 Pt = P + et-100 + et-99 + ... + et-1 + et
E abbiamo così ritrovato un nostro vecchio amico, la somma di 100 (o 50000) lanci di monetine.
Ci siamo? Il prezzo di un assetfinanziario è la somma di tutte le news(errori imprevedibili) passate, le incorpora, non le dimentica, e queste ne determinano gli andamenti a tratti tendenziali (con rotture di tendenza, ecc.).
Sì, insomma, per metterla in termini tecnici: la teoria dei mercati efficienti dice che i prezzi dovrebbero seguire una passeggiata aleatoria.
E con questo vi ho dimostrato che una passeggiata aleatoria, in realtà, è “de destra”, perché è la traduzione in linguaggio matematico del modello che incorpora le due ipotesi cruciali del turboliberismo: l’efficienza dei mercati, e la razionalità delle aspettative.
Bene, per oggi basta così.
Poi vi dimostrerò che la passeggiata aleatoria è anche “de sinistra”, non vi preoccupate...
Epilogo
Torniamo al nostro discorso, cioè al keynesianesimo per le dame e i cicisbei, ovvero al nostro tentativo di definire Keynes per ciò che nonè (aiutandovi così a districarvi nella folla dei vari Keynes à la carte proposti nel dibattito da scienziati più o meno consapevoli di cosa è successo negli ultimi 2000 anni).
Cosa abbiamo imparato su Keynes? Onestamente... non lo so!
Sì, adesso mi ci manderete, lo so, e farete bene. Ma meglio uno che vi dice “non lo so” piuttosto che uno che nel 2013 si accorge che Keynes non è tutto “prezzi rigidi e distintivo”!
Aspettate, mettiamo insieme i pezzi.
Intanto, cerchiamo di capirci su una cosa. Quando i neoclassici dicono che i mercati sono efficienti, ci stanno dicendo che essi fanno un uso efficiente dell’informazione. A Keynes invece interessava capire se i mercati fanno un uso efficiente del risparmio. Ora, il problema è proprio questo: a me pare che Keynes sostenga che fare un uso efficiente dell’informazione non significa necessariamente fare un uso efficiente del risparmio, mentre mi pare che essere mainstream significhi credere che fare un uso efficiente dell’informazione coincida necessariamente con il fare un uso efficiente del risparmio, cioè convogliarlo verso gli impieghi più produttivi (astenersi quelli che “Bagnai è l’investimento che crea il risparmio”: sì, lo so, poi però il problema è: una volta che il risparmio l’hai creato, dove lo metti? È mal posta la domanda?).
Inutile ricordarvi il fatto che la coincidenza fra uso efficiente dell'informazione e uso efficiente del risparmio è stata autorevolmente smentita. Ecco, credo di essere riuscito a darvi un'intuizione tecnicamente più profonda della famosa frase: "financial market did not perform according to the theory".
Alla razionalità degli agenti (più esattamente: di certe classi di agenti, non di tutti gli agenti, come nel modello mainstream) ci credeva anche Keynes, ve lo ricordate? Qui il riferimento è il capitolo che vi ho citato tante volte, fin dall’inizio della nostra strada insieme. Provate a rileggerloalla luce di quello che ci siamo detti oggi. Secondo voi, per Keynes, i prezzi seguono una random walk?
Io un’idea ce l’avrei, e secondo me il punto fondamentale del suo ragionamento rimane questo:
(4) But there is one feature in particular which deserves our attention. It might have been supposed that competition between expert professionals, possessing judgment and knowledge beyond that of the average private investor, would correct the vagaries of the ignorant individual left to himself. It happens, however, that the energies and skill of the professional investor and speculator are mainly occupied otherwise. For most of these persons are, in fact, largely concerned, not with making superior long-term forecasts of the probable yield of an investment over its whole life, but with foreseeing changes in the conventional basis of valuation a short time ahead of the general public. They are concerned, not with what an investment is really worth to a man who buys it “for keeps”, but with what the market will value it at, under the influence of mass psychology, three months or a year hence. Moreover, this behaviour is not the outcome of a wrong-headed propensity. It is an inevitable result of an investment market organised along the lines described. For it is not sensible to pay 25 for an investment of which you believe the prospective yield to justify a value of 30, if you also believe that the market will value it at 20 three months hence.
(4) C’è una caratteristica che merita particolare attenzione. Si potrebbe supporre che la concorrenza fra professionisti esperti, dotati di capacità di valutazione e informazioni che vanno oltre quelle dell’investitore privato medio, possa correggere le stravaganze che l’individuo ignorante lasciato a se stesso commette. Tuttavia capita che le energie e le abilità degli investitori e speculatori professionisti siano per lo più impiegate in altro modo. Il motivo è che la maggior parte di essi, in effetti, per lo più non si preoccupa di fare previsioni migliore sul probabile rendimento di un investimento in tutta la sua vita futura, ma di prevedere variazioni nella base convenzionale di valutazione (NdT: se leggete il capitolo, vedrete che coincide abbastanza col nostro concetto di attesa razionale) lievemente prima di quanto lo faccia il resto del pubblico. Loro non si preoccupano di quanto varrà effettivamente l’investimento per chi lo fa per mantenerlo, ma quale ne sarà il valore di mercato, per effetto della psicologia di massima, a tre mesi o a un anno di distanza (NdT: oggi anche a un quarto d’ora). Per di più, questo comportamento non è il risultato di una propensione a perseverare nell’errore. È l’inevitabile risultato di un mercato organizzato secondo le linee descritte sopra (NdT: quelle che ancora reggono i moderni mercati borsistici). Perché non sarebbe sensato pagare 25 per un investimento dal quale ci si aspetta che possa rendere ricavi tali da giustificare un prezzo pari a 30, se però si crede anche che fra tre mesi il mercato lo valuterà 20.

E la mia conclusione è che: per Keynes i prezzi seguono una random walk (anche se lui non l’avrebbe mai detto così, nonostante fosse un probabilista), ma questo indica per lo più l’uso efficiente dell’informazione "sbagliata", quella di breve, e non quella di lungo termine. Il neoclassico, viceversa, questo non lo ammetterà mai, per un motivo ideologico, e anche per un motivo tecnico, cioè perché il gran rotolo del creato può essere srotolato anche in avanti, non solo indietro.
Ad esempio:
Pt+2 = Pt+1+ et+2
e quindi la nostra previsione “efficiente” due passi avanti sarà:
E(Pt+2|It) = E(Pt+1+ et+2|It) = E(Pt+1|It) + E(et+2|It) = Pt
Insomma: siccome il prezzo di dopodomani (t+2) è quello di domani (t+1) più un errore imprevedibile, e la previsione migliore del prezzo di domani è quello di oggi, non c'è differenza fra l'aspettativa a breve e quella a lungo termine. Se parti dall’ipotesi che “sai” (un’ipotesi un po’ piddina, n’est-ce pas?), anche quando non lo sai, sallo! L’aspettativa a lungo termine coincide con quella a breve (come si potrebbe anche far vedere ragionando su altri modelli di asset pricing).
Una cosa molto panglossiana e molto utile per stupire mamme, fidanzate e dottorande. Dopo ci sarebbe da ragionare su tante cose, ma ora veramente basta. Ho pietà non di voi, ma di me...

(...e questo è solo l’inizio...)

Domanda

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Ma come posso credere, da economista, alla divisione del lavoro, se per capire cosa succede alla media campionaria di Y(t) mi tocca studiare matematica?


(...ars longa, vita brevis...)

Sunspots e Stiftungen: perché siamo in crisi.

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Ho detto che non mi sarei più occupato di chi non voleva capire, ma naturalmente scherzavo! Solo, ci perderò meno tempo (e voi con me).

Ricordiamo a tutti qual è il problema:



La derapata dell'economia italiana rispetto alla media europea (Unione Europea a 15 paesi) inizia nel 1996.

Non sto a ricordarvi cosa sia successo nel 1996:


Semplicemente, abbiamo rivalutato il cambio, e poi ci siamo agganciati all'Ecu con quella che sarebbe stata la parità fissa rispetto all'euro.

Ma tutti continuano a dirmi che questa spiegazione è futile. L'ultimo, questa mattina. Un gentile imprenditore che mi ha inviato una cortese lettera per dirmi che non capisco molto:




Lavoro da 35 anni per aziende italiane (aziende importanti, le ometto per privacy, NdC) con la Germania mi permetto di suggerire ancora uno spunto.

Capisco la voglia o la necessità di separare le finanze pubbliche da economie tanto diverse, ma dobbiamo chiederci perché sono diverse?

In Italia non ci mancano aziende tecnologiche ad alto valore aggiunto, ottimi imprenditori, grande voglia e capacità di migliorare ed esportare,e allora?

Affermare che i tedeschi lavorano più di noi, sono meglio organizzati, hanno una PA efficiente ecc. è consueto ma non è poi così vero, la grossa differenza è un’altra e NON se ne parla.

Se Lei acquista un prodotto della catena Lidl legge sul retro la ragione sociale: LIDL Stiftung

Stiftung è una parola magica

Significa “Fondazione di proprietà”

Il sig. Lidl quando si è ritirato la blindato l’azienda, nessuno ne è il proprietario se non l’azienda stessa, non può cambiare nome o essere venduta, utili rigorosamente reinvestiti.

Funziona perché esiste uno statuto e un comitato esterno che controlla la gestione del gruppo dirigente operativo. Lo stato favorisce e agevola tali strutture economiche.

Sono Stiftung la Volkswagen tutto il gruppo Bosch (290.000 dipendenti), gruppo Siemens (460.000 dipendenti) , la Thyssen, e altre 1500 aziende

In Svezia è Stiftung il gruppo Nobel

Conclusione: la forza dell’industria tedesca (per la quale lavorano già migliaia di imprese italiane) sono le Stiftung, passare da Euro a nuova Lira sarebbe come non avere capito molto.


Che dire?

Intanto, doverosamente, vielen Dank für die Übersetzung, ich wusste nicht was Stiftung bedeutet.



Poi, nel merito, be' certo, lo Stato aiuta molto le industrie, in Germania, credevamo di averne parlato. Solo che la sua spiegazione risente di un problemino, del solito problemino. Forse le Stiftung sono state adottate dall'ordinamento giuridico tedesco nel 1996 e messe simultaneamente in pratica in quell'anno?

Perché se lei me ne dà evidenza, io sposo la sua tesi. Allora separiamoci, rinazionalizziamo (velatamente) alcune aziende (tipo la VW, per capirci), e via andare, magari anche con l'euro.

Altrimenti la sua tesi non ha un forte appiglio con la realtà che osserviamo nel primo dei nostri grafici.

Guardi, se lei non vuole capire che l'euro è un problema, io la faccio contento, le propongo una spiegazione alternativa: il 1997 è stato un anno di minimo nell'attività solare, come potrà constatare qui:



Ora, mi permetta di entrare in modalità eurista per due righe: "Io non capisco niente di astronomia, ma secondo me la crisi dell'economia italiana dipende dalla ridotta attività solare".

Lei mi dirà: "Ma scusi! Che c'entrano le macchie solari con il calo del reddito pro capite?"

E io le risponderò: "Niente, come le Stiftungen, va da sé. Ma almeno il minimo è stato nel 1997!"

In altre parole: possibile che con tutte le cose che ci sono fra il cielo e la Terra, nessuno sia riuscito a trovare una spiegazione del primo grafico di questo post che non sia quella data dal secondo grafico di questo post?

La sua non lo è, per ovvi motivi di timing, e se nessuno c'è riuscito, avendo tutti tanto interesse a farlo, vuol dire che non c'è. Buona lettura.

Dal lato sbagliato della storia (o del servizio d'ordine sindacale)

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(da un lettore ricevo e volentieri pubblico)


Mio carissimo Alberto,

mentre tu eri impegnato ad assorbire nel tuo intimo migliaia di pagine (niente più di un corollario a un dolcetto di troppo) sul ruolo del tempo e della memoria io bighellonavo per le città consapevole di trovarmi dal lato sbagliato dell'adolescenza e delle classi sociali ma totalmente determinato a non morire povero e vergine.

Nella fattispecie posso confermare che i rischi più grossi non li ho corsi con la celere o con GiorgiaMeloni&Friends ma con i servizi d'ordine sindacali. Oscuramente intuivo che qualcosa non andasse nella difesa dei salariati.

Fai bene a trattarlo male, se le merita tutte.

Eppure vedere Cremaschi preso a calci in una riunione CGIL e poi vederlo tentare di rifarsi una verginità fuori tempo massimo (rapporto causa-effetto o correlazione spuria? Chiamo Bisin ...) mi intristisce.

Uno squallore infinito, sembra Giannino dopo il "conseguimento" del master.

Suggerisco di prevedere un corso di formazione per i dipendenti di a/simmetrie "Come accogliere i pentiti". Potrebbe tenerlo l'ANVUR!






(... aggiungo un breve corollario. La discussione di ieri su Twitter, della quale poi vi riferirò, ha avuto almeno il risultato di farci sapere dov'era Cremaschi mentre in Italia succedeva questo:


- la riconoscete, è la Fig. 38 del Tramonto dell'euro. Dice che era davanti ai cancelli delle fabbriche. Ora invece mi par di capire sia con Tsypras. Una scelta coerente. Non ho altro da aggiungere, o forse sì, perché Filippo - pippo74 per gli amici - ha bisogno di un ripassino su alcuni concetti fondamentali. Per esempio, dov'è finita quella bella cosa di sinistra che si chiamava autocritica? E dove erano questi qui mentre noi ci dannavamo l'anima per portare avanti un discorso critico? Ed è colpa mia se si sono dovuti muovere prima Alemanno, Salvini, Messina, Fassina, prima che si muovessero questi qui? Ed è colpa mia se prima di esprimersi copiando concetti dalla quarta di copertina del Tramonto dell'euro l'amico in questione ha dovuto prendersi uno schiaffo a destra dalla Camusso? Se poi te lo prendi a sinistra da Bagnai hai semplicemente porto l'altra guancia. Ah, già, ma tu sei un comunista, quindi per te Antonello Angelini, che mi ha messo in relazione con RadioRadio e con TgCom24, consentendomi di portare a migliaia di persone il messaggio che tu avresti dovuto portare, è un nemico, perché fa l'assicuratore, o il kulako, invece dell'operaio. Be', sì, mi rendo conto, il comunismo funziona così. Cioè, apparentemente, non funziona! Io con Antonello, che è una bravissima persona fino a prova contraria, mai mi sarei aspettato di aver niente da spartire, per la diversità dei nostri percorsi esistenziali, professionali, culturali. Eppure, quando tutti a sinistra facevano spallucce, lui mi ha dato una mano a dire su reti nazionali quello che tu hai scoperto solo ieri, compagno Cremaschi, per i tuoi 561 follower. E poi mi vengono a parlare di unità della sinistra! Il fatto è che voi quale sia il problema non lo avete ancora capito o non lo volete ancora realmente ammettere. Saresti tu, compagno, che appartieni a quelli ai quali mi sto rivolgendo da quattro anni, a dover portare in televisione il mio libro, non Salvini - altra persona che rispetto ma con la quale mai pensavo di aver qualcosa da spartire, per la diversità ecc. E non perché io abbia bisogno di piazzisti, non ne ho bisogno, il mercato della verità tira abbastanza, ma perché intorno a quel testo si è creato un movimento di opinione che non può più essere ignorato, e che è nato da una domanda posta alla sinistra e alla quale la nomenklatura - te compreso - non ha risposto, ma la base sì - guarda i numerini a destra di questa colonna! Inutile ora fare "Bagnai chi" o darmi della Le Pen!

Ah, già, dimenticavo. Purtroppo a pag. 211 c'è la figura qua sopra. Eh, sì, capisco l'imbarazzo. Vai, vai, continua a scoprire l'acqua calda per i tuoi 561 follower. Ce ne faremo una ragione. Non avrei mai voluto che finisse così, e posso dimostrare che se è finita così non è colpa mia. Questa battaglia avremmo dovuta farla insieme. Ora è vinta. La FIOM è stata sorpassata a sinistra dal FMI. Qualsiasi conversione tardiva è soggetta a un fondato sospetto di bandwagoning, che evidentemente, in politica, può avere effetti collaterali controproducenti, e voi che siete animali politici dovreste rendervene conto.

A meno che nell'ultima frase non ci sia un aggettivo di troppo...)

(aggiungo che fra stare davanti ai cancelli come il de cujus e lo stare dietro ai servizi d'ordine come l'amico lettore, starsene a casa propria a leggere Proust mi sembra comunque una scelta da rivendicare tuttora con orgoglio!)
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